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Messaggi del 28/01/2017

 

Nastro d’argento alla carriera per Gianni Mina' da antidiplomatico

Post n°13602 pubblicato il 28 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Nastro d’argento alla carriera per Gianni Mina'
 
COMUNICATO STAMPA - IL NASTRO D’ARGENTO A GIANNI MINÀ
 
Dopo il Berlinale Kamera a Berlino nel 2007, Nastro d’argento alla carriera per Gianni Minà per premiare il suo lungo viaggio nella realizzazione di documentari, special cinematografici e racconti storici per immagini, iniziato oltre mezzo secolo fa.  Così ha deciso l’SNGCI (Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani) per premiare anche il più recente scoop giornalistico realizzato da Minà: “L’ultima intervista di Fidel”, una testimonianza concessagli dal leader cubano nel settembre del 2015 e che ora rappresenta un documento di grande importanza storica. 

In questa stagione, che lo ha visto premiato al Festival di Toronto lo scorso settembre a coronamento di un’attività giornalistica ancora una volta attenta all’attualità, Minà ha raccolto consensi anche con il lungometraggio “Papa Francesco, Cuba e Fidel” nel quale sono presenti tutti i protagonisti della controversa storia dell’embargo a Cuba: Da Barack Obama e Raul Castro all’ex Presidente Jimmy Carter, dal Sostituto Segretario di Stato Vaticano Mons.
Becciu, all’ex arcivescovo de La Habana Jaime Ortega, al teologo della Liberazione Frei Betto, fino allo stesso Santo Padre.

La cerimonia di consegna dei premi, alla Casa del Cinema di Roma, è prevista per il 3 marzo.

 
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Giornalisti contro Juventus – a pagare è la verità (Editoriale) da dotsport.it

Post n°13601 pubblicato il 28 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Giornalisti contro Juventus – a pagare è la verità (Editoriale)
Giornalisti contro Juventus: sono molti i professionisti dell’informazione che si scagliano contro la Vecchia Signora dimenticando deontologia e rispetto di verità e lettore. La caccia alla notizia viene rimpiazzata con il “confezionamento” della stessa,  ad uso e consumo di una strategia economica e strategica ben chiara. In tutto questo, a pagare è la verità.

Il vero scandalo dietro alle recenti rivelazioni di un giornale nazionale, noto per le posizioni giustizialiste che sovente strabordano nell’analfabetismo giuridico funzionale, non è quello legato alla notizia in sé (nell’occasione: “Agnelli incontrava mafiosi”), ma nel modo in cui essa è stata confezionata e nelle ripercussioni deontologiche che questo comporta.

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I fatti vengono palesemente distorti, le carte processuali vengono diffuse con malizia, tagli e cuciture “sinergiche”, manca totalmente la presunzione di imparzialità nei giornalisti che seguono la vicenda, così come quella di innocenza.

Raramente si assiste a mancanze tanto gravi: non parliamo di gente giovane, inesperta e ambiziosa. Parliamo di vecchie cariatidi rancorose che fanno dell’antijuventinismo e del colpevolismo un valore non solo d’opinione, ma anche e soprattutto economico.

Il tutto con il silenzio assenso del sistema, che si nasconde dietro la libertà di dare le notizie, anche se sono confezionate su misura per infangare qualcuno e (soprattutto) a fini di lucro.

La Juventus non è esente da colpe nella vicenda: pesa di sicuro la mancanza di un sistema di security che garantisca e tuteli chi comanda in Juventus da incontri “sconvenienti”.

Un sistema di security che a Milano, ad esempio, sventò lo scandalo legato a certe frequentazioni mafiose di giocatori e dirigenti dell’Inter all’epoca di Mancini (anche in questo caso vale la presunzione di innocenza, per quanto in galera per ndrangheta qualcuno che all’epoca frequentava la Pinetina ci finì sul serio).

Tornando però all’oggetto di questo editoriale, cosa resta della verità, in tutta questa facenda? Dove sta la notizia?

C’è una sola notizia che in questa storia dovrebbe fare rumore: il sistema ha sventato il tentativo di una infiltrazione mafiosa nella curva della Juventus. Il sistema ha quindi funzionato e vanno fatti i complimenti alle forze dell’ordine.

Ce n’è poi un’altra, che rumore non dovrebbe fare, ma che deve essere ben chiara: il sistema Juventus per la vendita dei biglietti non funziona. Lo dico come azionista da sei anni, lo ribadisco da giornalista dopo essermi informato con fonti attendibili. Serve un cambiamento radicale, chi oggi gestisce il sistema deve essere licenziato perchè inadeguato.

Resta infine una notizia che non è una notizia: siamo nelle mani di giornalisti che in barba alla deontologia professionale, in nome di una prevenzione ben radicata, organizzano campagne mediatiche di fango senza essere puniti da un sistema che tende a privilegiare la casta piuttosto che la verità e l’onorabilità della nostra professione. Eppure tutti se ne fregano o (peggio ancora) invocano la libertà di opinione.

Auguri.

Giornalisti contro Juventus – Postilla: Se il sistema del giornalismo italiano è messo male, sicuramente è colpa di mancanze da parte dei giornalisti, ma anche di lettori che fanno petizioni se Pistocchi scrive le sue pirlate su twitter, mentre il vero problema sta altrove. Essere giornalisti contro Juventus non significa cazzeggiare sui social network. Sveglia.

 
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Fallito come giornale, il Corriere della Sera da oggi passa ai fotoromanzi? da antidiplomatico

Post n°13600 pubblicato il 28 Gennaio 2017 da Ladridicinema
 

Ci sono i “giornalisti” (molti come ha rilevato il collega tedesco da poco deceduto, Udo Ulfkotte, a libro paga della Cia) stipendiati per citare “fonti che vogliono restare anonime” all’interno del Pentagono o del Dipartimento di Difesa con l'obiettivo di preparare l’opinione pubblica alle prossime, scellerate, scelte di politica estera degli Stati Uniti, quindi dell’Unione Europea, quindi dell’Italia.


“Notizie” che tutti i giornali italiani rilanciano poi come un mantra.

Poi c’è chi per dare un tono allo “scoop” aggiunge un aggettivo davanti alla “fonte che vuole restare anonima”. Tipico del New York Times o del Washington Post (veline del Dipartimento di Stato Usa il primo, della Cia il secondo). E per i giornali spesso le loro fonti diventano: “un alto funzionario” o “un parlamentare del Congresso con importanti poteri decisionali”, oppure ancora “un rango di altissimo livello nell’intelligence”. L'obiettivo? Sempre lo stesso, leggi sopra.

Tutto per giustificare un racconto che con il giornalismo ha spesso pochissimo a che fare. Del resto, che credibilità hanno giornali o giornalisti che hanno sbagliato tutto, ma proprio tutto negli ultimi vent’anni, ogni previsione, ogni analisi, ogni “violazione di diritti umani”, ogni “arma di distruzione di massa presente nel territorio” e potremmo continuare per ore? 

Quello che fa oggi il Corriere della Sera con la telefonata tra Grillo e Virginia Raggi va anche oltre.
Il “giornalista” non cita il rango, l’aggettivo, ma tra due trattini scrive: “— racconta la fonte —“. 

Leggendo quello che sembra più un fotoromanzo di bassa qualità (con tanto di Raggi distrutta nel volto al telefono) che il resoconto giornalistico, viene da domandarsi come faceva quella “fonte” a conoscere nel dettaglio le azioni svolte dal sindaco di Roma all'interno del suo ufficio. “Poi entra nel suo ufficio, posa la borsa sulla scrivania e dentro la borsa inizia a squillare il cellulare”, scrive. 

La fonte era dentro l’ufficio? Il numero dei possibili sospettati si assottiglia, tanto da rivelarla la fonte e renderla per questo assolutamente non credibile. Allora il giornalista intercetta contemporaneamente il telefono di Grillo e della Raggi? Quel “— racconta la fonte —“ sa tanto di un classico "c'era una volta". 

Quello che è certo, ma non è ancora del tutto chiaro alle corporazioni mediatiche che non controllano più l’opinione pubblica, è che le persone hanno smesso di credere alle menzogne delle “fonti che vogliono restare anonime” con aggettivi altisonanti, figuriamoci a quelle del Corriere della Sera.

Alessandro Bianchi

 
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