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Messaggi del 09/09/2021

 

S’è spento Nino Castelnuovo da cinecittànews

Post n°15947 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 
Tag: news

Germi, Lizzani, De Santis, Visconti, Comecini: sono questi grandi autori ad aver diretto nei primi anni della sua carriera cinematografica Nino Castelnuovo, nato Francesco il 28 ottobre 1936 a Lecco, e scomparso oggi a Roma, a 84 anni, dopo una malattia, come s’è appreso da una comunicazione della famiglia.

Ha partecipato a titoli che hanno scritto la Storia del cinema e della televisione, da Un maledetto imbroglio a Rocco e i suoi fratelli, da Tutti a casa a Il paziente inglese, per il grande schermo: mentre, per il piccolo, uno su tutti I promessi sposi di Sandro Bolchi, per cui è stato Renzo Tramaglino, ruolo che gli ha donato la grande popolarità. 

Ha partecipato, inoltre, alla rubrica pubblicitaria Carosello pubblicizzando nel 1968, con Laura Antonelli, Fabio Testi e Leo Gavero, la Coca Cola e nel 1976 l'olio Cuore della Chiari & Forti.

Nino Castelnuovo lascia un figlio trentenne, Lorenzo. 

 
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Fellini e l'ombra: regia e psicanalisi

Post n°15946 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 
Tag: news

Federico Fellini aveva un segreto. A indagarlo è Claudia, una documentarista portoghese, che ha intenzione di fare un film su di lui. Le tracce di questo segreto sono nel "Libro dei Sogni" e nel rapporto di Fellini con il dottor Bernhard, il suo analista e pioniere dell'analisi junghiana in Italia, senza il quale il capolavoro 8 ½ non avrebbe visto la luce. Appaiono nelle coincidenze, nelle testimonianze degli amici, nei luoghi cari a Fellini: Roma, Rimini, la Torre di Bollingen costruita da Jung. Ma quello che Claudia scopre è anche un ritratto tenero e magico: la certezza che per Fellini il sogno sia l'unica realtà autentica.

“Proprio dall’analista sono partita – dice Catherine McGilvray, la regista del film Fellini e l’ombra, coprodotto da Cinecittà, in occasione del passaggio della pellicola alle Giornate degli Autori di Venezia 78 – Bernhard è il fondatore della scuola dell’analisi junghiana in Italia, e in occasione del centenario abbiamo potuto raccontarlo attraverso la relazione terapeutica con Fellini. Fu proprio Bernhard a confermare a Fellini la necessità non solo di annotare i sogni, ma anche di disegnarli. Grazie a lui possiamo indagare quello che c’è dietro all’aspetto esteriore di Fellini, ovvero, la sua ombra. E’ una parte poco raccontata. Di Fellini conosciamo la leggerezza, la capacità di seduzione, la magia. Sappiamo che tutti volevano lavorare con lui, che fosse il faro del cinema italiano, ma non conosciamo la sua parte “oscura”. Che non necessariamente vuol dire negativa”.

E quanto questa parte è stata influente sul regista, forse è proprio l’argomento centrale del film: “Per Fellini l’analisi junghiana è una conferma. La conferma di qualcosa che gli veniva istintivo, ovvero il creare per immagini che venivano proprio dall’inconscio, fin da bambino, Bernhard diventa un confidente e un vero amico, e gli si apre questo magazzino che aveva dentro. I film che Fellini realizza sotto analisi sono due. Il primo è 8 1/2 , nato da una crisi e diventato un capolavoro, un punto sul mettersi in discussione in totale sincerità. Lo stesso finale è suggerito da Bernhard. La gioiosa passerella, invece dell’idea originale in cui si svelava che tutto si svolgeva su un treno dove tutti i protagonisti erano morti”.

Questo rimanda anche al viaggio di Mastorna, il film ‘tanatologico’ e mai realizzato di Fellini. “Era una sceneggiatura stupenda – conferma McGilvray – era certamente un film sull’Aldilà ma Fellini non ha voluto né potuto aprire quella porta. Forse proprio perché aveva perduto il suo analista. Il periodo del rapporto tra Fellini e Bernhard è infatti relativamente breve, dato che Bernhard è morto nel 1965, mentre il regista emiliano sta finendo di montare il secondo film fatto sotto analisi, Giulietta degli spiriti. Fellini era rimasto in balia dei suoi demoni, che erano molto potenti. Sappiamo quanto fosse sensibile alla divinazione, all’astrologia, alla magia. E’ una parte in cui ho deciso di non avventurarmi. In questo secondo film emerge chiaramente la figura di Masina, un rapporto d’amore che trascende quello tra marito e moglie. Giulietta è parte di Federico, rappresenta il suo legame con l’infanzia, l’adolescenza, l’innocenza perduta”.

 
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Mario Martone: "Scarpetta, patriarca amorale e la tribù del teatro"

Post n°15945 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 

VENEZIA  - Il film più maturo e compiuto di Mario MartoneQui rido io, in concorso a Venezia 78, accolto con calore sincero dai giornalisti in conferenza stampa e alle proiezioni. La vicenda raccontata in forma di commedia è quella di Eduardo Scarpetta (1853-1925) e della sua tribù di teatranti, figli, legittimi e naturali, tra cui Eduardo De Filippo, la Napoli 'milionaria', del teatro e della canzone, il processo intentato da Gabriele D'Annunzio per plagio, quando Scarpetta osò parodiare La figlia di Iorio. L'intreccio continuo di arte e vita, con il camerino che è un prolungamento della casa e le camere da pranzo e da letto dove la rappresentazione prosegue. Il patriarcato con la sua amoralità spietata, ma anche la trasmissione di un sapere e di un potere che farà nascere un genio come Eduardo De Filippo e la sua straordinaria poetica.

E poi Toni Servillo, in un'interpretazione che lascia un segno indelebile, ma l'assolo è inserito nel perfetto concertato della messinscena corale con gli altri interpreti: Maria Nazionale, Cristiana Dell'Anna, Iaia Forte, Antonia Truppo, Eduardo Scarpetta (che discende direttamente dalla dinastia artistica degli Scarpetta, bisnipote di Vincenzo e figlio di Mario). E poi Roberto De Francesco, Lino Musella, Paolo Pierobon, Gianfelice Imparato. Tutti al servizio di una costruzione impeccabile (fotografia di Renato Berta, montaggio di Jacopo Quadri, costumi di Ursula Patzak, scene di Giancarlo Muselli e Carlo Rescigno) che afferra lo spettatore e non lo molla per due ore, neanche un attimo. Presi come siamo dentro un vortice di vitalità, energia, contraddizioni. Dietro le quinte della creazione artistica.

Il film, tra le altre cose, ci avvicina ai sentimenti del piccolo Eduardo, nato dalla relazione con la nipote della moglie di Scarpetta, Luisa De Filippo, un rapporto doloroso col padre, che chiamava zio e che lo spinse al sodalizio indissolubile con i fratelli Titina e Peppino. "Per tutta la vita - ricorda Martone, che lunedì 13 parte con le riprese di un film ambientato a Napoli, Nostalgia, da Ermanno Rea, con Pierfrancesco Favino - Eduardo De Filippo non volle mai parlare di Scarpetta come padre ma solo come autore teatrale. Quando suo fratello Peppino lo ritrasse spietatamente in un libro autobiografico, Eduardo gli levò il saluto per sempre. E poco prima di morire, quando un amico scrittore gli disse 'Ormai siamo vecchi, è il momento di poterne parlare: Scarpetta era un padre severo o un padre cattivo?'. La risposta fu solo questa: Era un grande attore". 

Per Toni Servillo, che è protagonista anche del film di Paolo Sorrentino E' stata la mano di Dio, "Scarpetta è come un animale, la sua brama di vivere lo porta a predare le donne, il teatro, le tournée, i testi, in uno scambio continuo tra vita privata e palcoscenico. Questo affresco dimostra di quanta vita sia fatto il teatro e quanto teatro ci sia nella vita". Prodotto da Indigo con Rai Cinema e Tornasol, Qui rido io arriva in sala il 9 settembre. 

Martone, la prima scintilla di questo film è nata con l'allestimento del Sindaco del Rione Sanità, portato a teatro e poi al cinema?

Sì, mi aveva colpito quanto fosse importante il tema della paternità negata in quel testo di De Filippo come anche in Filumena Marturano. Con Ippolita Di Majo abbiamo iniziato a pensare che c’era un mistero che si poteva affrontare, parlando di una tribù straordinaria con al centro un genio del teatro, un patriarca amorale, che spinto dalla sua fame di riscatto e di rivalsa, si era innalzato oltre il limite, tanto da far scrivere sul muro della propria villa 'Qui rido io'.

Che uomo era dunque Eduardo Scarpetta?

Una figura mitologica e primordiale, aveva avuto figli con la moglie, con la sorella della moglie e con la nipote della moglie, li fece studiare tutti, maschi e femmine, e diventarono tutti attori, Eduardo De Filippo divenne il genio del teatro italiano che sappiamo. Scarpetta era un divoratore, aveva divorato Pulcinella, il Teatro San Carlino dove ha visto morire Antonio Petito, e divorava la vita, i figli che non avranno mai il suo nome e la sua eredità, ma a cui trasmette misteriosamente il seme potentissimo della creatività. In tutto questo c’è anche molto dolore. Cosa potevano vivere queste donne, questi figli? Abbiamo provato a immaginarlo. Pensiamo, ad esempio, che tutti i suoi figli, legittimi e non, dovevano interpretare a un certo punto della loro infanzia Peppeniello di Miseria e nobiltà, che alla fine della commedia abbraccia il suo vero padre, Felice Sciosciammocca, cioè appunto Scarpetta. In questo c'è qualcosa di inconsciamente sadico.

Napoli è al centro della narrazione, anche con la canzone napoletana di cui il film fa largo uso.

A fine Ottocento Napoli ha una potenza incredibile con il teatro, il cinema che sta nascendo. I fratelli Lumière la filmano nel 1895 e sono le immagini che si vedono all'inizio del film. Elvira Notari, regista e produttrice, è napoletana. Qui rido io è un romanzo corale, con una città sullo sfondo, con tanti personaggi. E' scritto come una commedia, come il teatro di Eduardo De Filippo. La musica è parte della scenografia di questo film. Come in Noi credevamo con le opere di Verdi, Napoli è evocata dalle sue canzoni, in un viaggio sentimentale, perché alcune canzoni non hanno niente a che vedere con Scarpetta. La nostra città fa del canto una maschera per gettarsi nella vita.

Un romanzo corale con al centro un attore gigantesco come Toni Servillo.

Il personaggio di Scarpetta mi dava l'occasione di lavorare con Toni, che conosco da sempre: questo film ci aspettava da 40 anni. Abbiamo iniziato insieme, con il teatro d'avanguardia, con i testi di Enzo Moscato. 

Come avete integrato con Ippolita Di Majo documentazione e invenzione?

Ci siamo basati su tanti testi, dall'autobiografia di Scarpetta a quella di Peppino De Filippo fino ai documenti del processo. Ma con libertà. Per esempio i fratelli De Filippo erano più piccoli durante il processo. Invenzione e documentazione si tengono in equilibrio.

Chi sono i nemici di Scarpetta?

Sul piano storico c'è la nuova generazione di autori come Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco e Libero Bovio, tutti testimoniarono contro di lui al processo. Ma il discorso si allarga perché ogni artista che invecchia sa cosa vuol dire sentirsi superato. Ogni gesto artistico è destinato a essere scavalcato. E questo riguarda la vita di ciascuno di noi. 

Tra i nemici c'è anche il figlio Peppino.

Peppino De Filippo venne abbandonato per cinque anni quando era molto piccolo. Scriverà anche un libro su questo, Una famiglia difficile, di cui suo fratello Eduardo non fu contento.

Perché Scarpetta decide di sfidare D'Annunzio?

Per hybris. Perché è il più grande poeta d’Italia. L’incontro con il Vate è raccontato da Scarpetta nella sua autobiografia, come noi lo mostriamo nel film. E' un incontro ambiguo perché non si capisce se D'Annunzio autorizzi la parodia de La figlia di Iorio, e in effetti non la autorizza. Quando poi il testo viene portato a teatro, improvvisamente il pubblico si rivolta contro Scarpetta e da lì comincia l’incrinatura. Ci interessava questa malinconia, fino alla scena del processo, l'ultima grande recita in cui vince la sua battaglia ma inizia la sua depressione. A suo favore ci fu la perizia di Benedetto Croce che, con la sua statura, mise le cose in ordine, decretando che quella di Scarpetta era una parodia e quindi qualcosa di infinitamente piccolo. Ma questo lo umiliò.  

La contrapposizione tra commedia e tragedia è sempre presente nella nostra cultura.

Siamo in una fase molto diversa, però esiste tuttora questa dialettica. Su quali argomenti si può scherzare, quanto si può scherzare. Le cose cambiano sempre, il teatro è in movimento: in futuro, quando alcune questioni sociali saranno messe a posto, sarà ancora diverso.

I personaggi femminili sono qualcosa di più di un necessario controcanto. 

Erano donne atipiche - risponde Ippolita Di Majo - in una situazione patriarcale come era in quel tempo e come in parte è ancora, sono tutte donne che lavorano e studiano. La figlia Maria sarà drammaturga, Titina diventerà una grande attrice. La moglie Rosa gli tiene testa e si autodetermina.

Parliamo di paternità - aggiunge Martone - ma qui c’è anche la maternità. C’è un patriarcato terrificante e implacabile, poi però c’è anche la forza delle figure femminili, una sorellanza che queste donne mettono atto per gestire la situazione.

 
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'Qui rido io' film della Critica

Post n°15944 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 

Il film di Mario Martone distribuito da 01 Distribution –Rai Cinema Spa,è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani - SNCCI.

Motivazione: "Con Qui rido io Martone esplora intensamente il tema della paternità negata, romanzando con attenzione storica la figura del Padre del teatro napoletano, quell’Eduardo Scarpetta padre-padrone di una famiglia allargata di figli legittimi e naturali, tra i quali i tre fratelli De Filippo.

Espressione estrema di un’inconsapevole concezione utopica della famiglia, pur intessuta dei tradizionali valori patriarcali, la figura di Scarpetta arricchisce la filmografia di Martone di un'altra acuta riflessione sul Teatro e sul rapporto tra palcoscenico e vita, e sul ruolo della donna nella cultura napoletana del Novecento".

 
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Gassman regista di “un piccolo classico moderno”

Post n°15943 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 

VENEZIA - Il silenzio grande – titolo del film diretto da Alessandro Gassman, dall’omonima opera teatrale di Maurizio De Giovanni, che firma anche la sceneggiatura con Andrea Ozza e lo stesso regista – è quel silenzio che nasce da tanti piccoli silenzi, da tanti piccoli “poi glielo dico” mai detti, che – alla fine, qualsiasi fine – ne partoriscono uno grande (e spesso eterno), come spiega Bettina - un’eccellente Marina Confalone, storica domestica della famiglia – al professor Valerio Primic (Massimiliano Gallo), letterato, scrittore per cui “i libri sono gli arredamenti della mente”, amante del profumo della carta delle pagine e dell’immaginazione, infatti “tenete l’immaginazione perpetua” gli dice la donna, che sempre dietro una porta o fuori da una stanza della grande villa con vista su Capri gioca il ruolo della complice spalla e della confidente del personaggio di Gallo, versatile in un ruolo al contempo romantico, egoista, progressista, finanche inconsapevole del pragmatismo del vivere e della vita. 

“Io nasco lettore di De Giovanni. C'è una condivisione di pensiero e vedute, è vivace, attento ai cambiamenti e ha la dote di saper raccontare le azioni e le emozioni tra le persone. Il silenzio grande è un film per cui ci siamo resi conto che la scrittura di De Giovanni permette possa essere considerato un piccolo classico moderno”, commenta Alessandro Gassman, che ha diretto l’opera prima in teatro, passando poi al grande schermo: “per un risultato comune emozionale. Fare il film è stato più complesso: lo sforzo maggiore l'ha fatto Gallo - protagonista già sul palco - nel ridurre il personaggio per il cinema. Inoltre, avevo due grandissime come Marina Confalone e Margherita Buy: era inevitabile che portassero nel gioco profondità e sottigliezza, per un film che vive più di ascolti, infatti volevo far dimenticare il monologo (teatrale)”.  

“L'unica soluzione - dal teatro al cinema - era dimenticare il percorso precedente: era l'unico modo per restituire la verità sullo schermo. Siamo andati in sottrazione su tutto, era l'unica via percorribile”, spiega l’attore protagonista.  

“Noi due abbiamo trovato un'intesa per il comune lavoro fatto sul dialetto napoletano: anche questo è un pregio, avere una lingua comune ci fa stabilire immediatamente un gioco teatrale. Se si assorbe davvero il personaggio, tra due attori come Gallo e me, questa sintonia si stabilisce immediatamente”, spiega Marina Confalone. 

“Napoli è una città capace di grande empatia e la grande capacità di accoglienza continua fa sì che una fucina di talenti si contaminino, pur mantenendo identità territoriale”, rilancia Gallo. 

Lo stimatissimo professor Primic, che vive “soffocato” nell’idillio del suo polveroso studio di carta e velluti, luogo quasi impenetrabile per la moglie Rose (Margherita Buy) e i due figli, Adele (Antonia Fotaras) e Massimiliano (Emanuele Linfatti), così da esser detestato in quanto nido e universo dell’uomo: il suo studio lo assorbe a tal punto da renderlo sordo e silente con le persone della sua famiglia, costretta a mettere sul mercato la bella dimora per via dell’indigenza economica dettata dal di lui amore  per le Lettere, ricchezza culturale ma non dell’economia domestica quotidiana. Lo studio del Professore si fa scena centrale de Il silenzio grande, è infatti il luogo in cui non solo Primic “vive” la propria esistenza, ma anche quello in cui Rose, Adele e Max, così come Bettina, fendono l’ingresso e danno sfogo ciascuno alle proprie emozioni – quasi in forma di monologo, modalità strumentale allo svelamento del racconto: così la consorte lo accusa di saper solo stare in mezzo ai libri, mentre “un padre deve fare il padre”; il figlio maschio rivendica l’amore paterno additandolo di essere stato un padre che non ha mai avuto bisogno di un figlio, per poi confidargli di essere “come Garcia Lorca”, ovvero omosessuale; e infine Adele, che fin da bimba ha ammirato un papà che però le ha “rovinato la vita”, perché sempre posto come termine di paragone, tanto da averla perennemente indotta a cercare di essere “la bambina di qualcuno”, ricerca affettiva che la porta a scegliere affetti maturi e a “giocare” con la maternità. In questo confessionale di emozioni che è il suo studio, il Professore si dimostra accondiscendente, immaturo, ironico, modernissimo e tradizionalista al contempo, e – tra conflitti, silenzi e intimità – fa capolino in scena anche lo stesso Alessandro Gassman, con due brevi ma ilari siparietti, nel ruolo dell’attore Gianluca Fialeschi, protagonista di un carosello di successo dedicato alla pasta dentifricia, ma anche spartiacque delle sorti della famiglia. 

“Questo è il mio terzo film, quello che più riconosco anche vicino al mio gusto di spettatore, che ama toni un po' rarefatti e con un velo onirico. Sono poi stato aiutato dalle musiche di Pivio e De Scalzi: ci siamo conosciuti sul set de Il bagno turco e la capacità loro è di saper trovare il cuore, essere al centro del motore della storia, sviluppando temi che proprio mi piacciono”, dice il regista.  

“E' tardi, lei non sente”, confessa Bettina al Professore, riferendosi alla moglie Rose, che nelle ultime sequenze, quando la villa ha ormai un acquirente certo, passeggiando in solitudine nei metri quadrati dello studio ormai smantellato, dice espressamente a Primic: “ho bisogno di te”, un’invocazione di presenza cui però lui prende coscenza non faccia seguito l’accoglienza da parte della moglie delle sue parole, disfunzione emotiva che palesa la differenza tra il vivere presente e il vissuto passato, in cui per Rose “la casa è solo calce e legno”, mentre per Valerio “anche le mura hanno un senso”, e di certo, in questo caso, il Professore non ha torto: d’altronde, tutti loro hanno odiato lo studio ma alla fine l’hanno scelto quale luogo sacro in cui parlare… con lui

“Tutti i padri sono importanti e questo non vuole essere un film autobiografico: a me serviva raccontare una famiglia con all'interno uno straordinario talento per farlo distrarre da ciò che era più prossimo, gli affetti più vicini. Non sempre avere un talento straordinario aiuta a vivere meglio. Questo film vuole essere una carezza, racconta l'Italia del '65, un Paese in cui si stava bene e la gente aveva la possibilità di parlarsi, abbracciarsi: sicuramente i social stanno cambiando la società, possono essere bellissimi e utili, ma in chi non ha una forte consapevolezza creano paure o violenze”, riflette Gassman.  

Il film, presentato alle Giornate degli Autori da Paco Cinematografica e Vision Distribution, in collaborazione con Prime Video, Sky e Rai Cinema, esce in sala dal 16 settembre. 

 
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‘Freaks Out’, kolossal italiano di raro artigianato

Post n°15942 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 

VENEZIA – Roma, 1943. Matilde (Aurora Giovinazzo), Fulvio (Claudio Santamaria), Cencio (Pietro Castellitto) e Mario (Giancarlo Martini), ovvero una fanciulla “elettrica”, un uomo lupo, il giovane incantatore d’insetti e il clown “magnetico”, sono quattro artisti circensi, “fenomeni da baraccone”, che sotto la paterna cura di Isdrael (Giorgio Tirabassi) creano il Circo Mezzapiotta, anima prima di Freaks Out, film in Concorso, scritto, diretto e co-prodotto da Gabriele Mainetti, con Andrea Occhipinti per Lucky Red e Rai Cinema.  

“Penso sia un film spartiacque nel nostro cinema”, il commento di Paolo Del Brocco per Rai Cinema. 

“Noi abbiamo resistito il più possibile all'idea di realizzare un film kolossal, pensando potesse essere un film successivo per Gabriele: il soggetto ci ha convinti subito, però, così siamo partiti a costruire una coproduzione internazionale, a cui Rai Cinema è salita immediatamente a bordo, con una lavorazione più lunga e travagliata delle previsioni, ma penso sia una produzione di dimensioni e qualità d’artigianato che raramente si fa in Italia”, dichiara Occhipinti.

Dalla suggestione incantata delle magie circensi, dopo un’onirica galleria di sequenze d’incanto visivo, dopo una pioggia di luci dorate, la guerra della Roma occupata squarcia il tendone e dal ventre fatato del circo si esce nella città, e si entra nel distopico studio di Franz (Franz Rogowski), sublime pianista dello Zirkus Berlin di sede nella Capitale, anche lui “fenomeno” a sei dita, ossessionato dal Führer e dall’esperienza “dell’etere”, per cui guarda il futuro. 

Un’immersione nella narrazione che permette a Mainetti di giocare subito con la regia, fluidissima, sapiente, capace di volare e far volare gli occhi e la mente di chi guarda. “Tod Browning è maestro di un film meraviglioso, Freaks, che non è stato accolto come doveva: Freaks Out, il titolo del mio film, significa ‘impazzire’, come succede al protagonista; inoltre, i nostri freaks sono catapultati fuori dal loro mondo del circo, dopo lo squarcio del tendone, quindi sono ‘out’. Io cerco di raccontare film con una polifonia di strati, per poi permettere di andar più a fondo a chi ha gli strumenti”, commenta Mainetti.  

“L'idea di uomini che agivano come mostri, ma dall'altra parte di mostri che agivano come uomini, ci ha fatto brillare gli occhi”, aggiunge Nicola Guaglianone, sceneggiatore. 

La guerra incombe e con sé la necessità della fuga: il paterno Isdrael propone di salpare per l’America, Fulvio rilancia per unirsi al circo tedesco, ma infine “la famiglia” del Mezzapiotta s’accorda per l’oltreoceano, quando il capocomico ebreo sparisce e così comincia l’avventura, tra rocamboleschi scontri, “passeggiate” in una Roma deserta e rastrellata, fino a che Matilde – salutati i tre compagni in direzione dello Zirkus – viene aggredita/salvata dai Diavoli Storti, partigiani freaks, che ci permettono di conoscere la vicenda della fanciulla dal talento “elettrico”, potere potentissimo di cui la stessa soffre per un maldestro uso passato che ne ha scritto il destino. La sequenza culmina con il trascinante canto corale di Bella Ciao

“Se Jeeg Robot è stato lo scavo preliminare, questo film è la diga di un cinema fantasmagorico, capace di trovare anche la commistione di generi propria della nostra Commedia. I personaggi devono diventare straordinari, ma diventano eroi aiutando gli altri. Con Gabriele costruiamo sempre un passato del personaggio, non raccontato, ma che esiste e si esplica nel comportamento del personaggio stesso: dietro al ‘mio pelo’ c'era bisogno di una sostanza affinché non ci fosse la mono dimensione di un Chewbecca di Guerre Stellari, mentre Fulvio era erede di una famiglia aristocratica. Con Gabriele si lavora a sostenere la maschera con un'anima stratificata”, spiega Claudio Santamaria

Intanto, allo Zirkus, Fulvio Cencio e Mario sono accolti come in un harem, non fosse che sia l’anticamera di un’imminenza indubbiamente meno vitale: Franz brama per il suo circo Matilde e il suo talento, esaltandosi patologicamente al suo arrivo per essere così riuscito a costituire il team dei “fantastici 4”, nella sua mente “la nostra unica salvezza”, afferma dinnanzi ai gerarchi nazisti, sostenendo che “i talenti” di questi “super uomini” come lui possano sottrarre il Reich dal funesto sgretolamento. Il delirio, la derisione, e Franz ordina di bruciarli! 

È in queste sequenze che Gabriele Mainetti torna a spingere l’acceleratore sul gioco della regia e sulla Storia del Cinema, in particolare nella scena del volo di Matilde e Cencio in direzione della luna, malioso omaggio a E.T., forse anche a Peter Pan. “Il film affronta lo spettacolo, e non scappa. Questo film è un qualcosa di mai visto, in cui nello spettacolo enorme e variopinto si costruisce la sceneggiatura, una delle più belle che io abbia mai letto. Così ogni personaggio ha un proprio panorama di idee in cui gli si costruisce la vita. Per me è stato un master di recitazione e di regia: vedere Mainetti che riusciva a mantenere intatta la sua visione è stato un esempio per sempre”, dice Pietro Castellitto

E, come tutto il film, dalla fiaba si rientra nell’epica e nella ferocia: in sella ad un cavallo bianco si cerca di fermare un treno destinato ad un campo di concentramento, si cerca Isdrael, e Matilde, nella più spettacolare delle circostanze, si battezza eroina determinando il “game over” finale.  

“Il femminile è molto importante: qui c'è un personaggio che si muove nella pagina oscura della Seconda Guerra Mondiale. Aurora affronta un percorso trasformativo, da ragazzina ad angelo tremendo, che nel finale ci illumina tutti. Matilde diventa un'adulta e, nella diversità, la donna in generale, se libera, riesce davvero ad illuminare”, prosegue ancora il regista. “Siamo riusciti a definire Matilde, persona con un passato tormentato, che condiziona il suo presente: è una ragazzina fragile, come una guerriera inconsapevole”, per la sua interprete, Aurora Giovinazzo

Il film di un Mainetti in stato di grazia, con un formidabile cast che con le proprie interpretazioni contribuisce a omaggiare il grande cinema - Tirabassi porta con sé echi del miglior Manfredi e Aurora Giovinazzo sembra far intravedere eredità che potrebbe aver ricevuto dalla Magnani – esce in sala dal 28 ottobre

 
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Qui rido io

Post n°15941 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Qui rido io

Post n°15940 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 

Regista: Mario Martone

Genere: Biografico
Anno: 2021
Paese: Italia, Spagna
Durata: 133 min
Data di uscita: 09 settembre 2021
Distribuzione: 01 Distribution
Qui rido io è un film di genere biografico del 2021, diretto da Mario Martone, con Toni Servillo e Maria Nazionale. Uscita al cinema il 09 settembre 2021. Durata 133 minuti. Distribuito da 01 Distribution.
Data di uscita:09 settembre 2021
Genere:Biografico
Anno:2021
Paese:Italia, Spagna
Durata:133 min
Distribuzione:01 Distribution
Sceneggiatura:Mario Martone
Fotografia:Renato Berta
Montaggio:Jacopo Quadri
Produzione:Indigo Film e Publispei con Rai Cinema
TRAMA QUI RIDO IO

 

Qui rido io, il film diretto da Mario Martone, è incentrato sulla figura del celebre attore e commediografo Eduardo Scarpetta, interpretato da Toni Servillo, nonché padre di un altro grande del panorama teatrale italiano, Eduardo De Filippo. Scarpetta è stato una figura chiave del teatro italiano, che ha messo in scena opere diventate presto elementi storici saldi nella cultura nostrana e che l'hanno consacrato come uno dei grandi maestri della risata del Bel Paese.
Una vita dedicata al palcoscenico, che gli ha portato successi, ma anche controversie, memorabile infatti la diatriba con Gabriele D'Annunzio per una versione parodiata del Vate ne Il figlio di Iorio. Lo stesso De Filippo, suo figlio, non ha mai parlato di lui in termini di padre, ma ha sempre definito il genitore un grande attore, come se la grandezza attoriale di Scarpetta superasse il legame di familiarità tra i due.

CURIOSITÀ SU QUI RIDO IO

 

Le riprese del film si svolgono al Teatro Valle, storico teatro romano in cui nel 1889 debuttò Miseria e Nobiltà.

Presentato In Concorso al Festival di Venezia 2021.

 

INTERPRETI E PERSONAGGI DI QUI RIDO IO
AttoreRuolo
Toni Servillo
Eduardo Scarpetta
Maria Nazionale
Rosa De Filippo Scarpetta
Cristiana Dell'Anna
Luisa De Filippo
Antonia Truppo
Adelina De Renzis
Paolo Pierobon
Gabriele D’annunzio
Eduardo Scarpetta
Vincenzo Scarpetta
Lino Musella
Benedetto Croce
Roberto De Francesco
Salvatore Di Giacomo
Gianfelice Imparato
Gennaro Pantalena
Giovanni Mauriello
Mirone
Iaia Forte
Rosa Gagliardi
Roberto Caccioppoli
Domenico Scarpetta Detto Mimì
Chiara Baffi
Anna De Filippo detta Nennella
Alessandro Manna
Eduardo De Filippo
Lucrezia Guidone
Irma Gramatica
Elena Ghiaurov
Lyda Borelli
Gigio Morra
Presidente del tribunale

 
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Jodorowsky's Dune

Post n°15939 pubblicato il 09 Settembre 2021 da Ladridicinema
 

Regista: Frank Pavich
Genere: Documentario
Anno: 2013
Paese: Francia, USA
Durata: 90 min
Data di uscita: 06 settembre 2021
Distribuzione: Valmyn in collaborazione con Wanted Cinema
Jodorowsky's Dune è un film di genere documentario del 2013, diretto da Frank Pavich, con Alejandro Jodorowsky. Uscita al cinema il 06 settembre 2021. Durata 90 minuti. Distribuito da Valmyn in collaborazione con Wanted Cinema.
Data di uscita:06 settembre 2021
Genere:Documentario
Anno:2013
Paese:Francia, USA
Durata:90 min
Distribuzione:Valmyn in collaborazione con Wanted Cinema
Fotografia:David Cavallo
Musiche:Kurt Stenzel
Produzione:Jododune, Snowfort Pictures
TRAMA JODOROWSKY'S DUNE

 

Jodorowsky's Dune, film diretto da Frank Pavich, è un documentario incentrato sul progetto mai realizzato di Alejandro Jodorowsky, ovvero l'adattamento del romanzo di sci-fi Dune, scritto da Frank Herbert. Il regista concepì l'idea a metà degli anni' 70, ma era davvero un progetto mastodontico, che doveva coinvolgere diversi artisti di quel periodo; infatti, le musiche sarebbero state composte dai Pink Floyd e nel cast spiccavano i nomi di Salvador Dalì e Orson Welles. Anche la durata - di 3 ore - era colossale per l'epoca, ma il progetto non è mai andato in porto e diversi anni dopo, nel 1984, l'adattamento cinematografico è stato realizzato da David Lynch.
Il documentario ripercorre le peripezie che Jodorowsky ha dovuto affrontare durante la realizzazione del film, grazie soprattutto alle interviste allo stesso cineasta e al lavoro di un gruppo di artisti che ha dato vita ai bozzetti dei disegni preparatori originali.
Nonostante non abbia mai visto la luce, il progetto visionario del regista è stato d'ispirazione per diversi suoi colleghi, intenzionati a fare film fantascientifici, nonché per il Dune (2021) di Denis Villeneuve.

INTERPRETI E PERSONAGGI DI JODOROWSKY'S DUNE
AttoreRuolo
Alejandro Jodorowsky
se stesso

 
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