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Messaggi del 17/11/2018

 

Salvini vuole abolire il valore legale del titolo di studio per sfasciare l’istruzione pubblica

Post n°14759 pubblicato il 17 Novembre 2018 da Ladridicinema

  
di Luca Cangemi, Segreteria nazionale PCI  e Responsabile Scuola e Università

 

“L’idea di abolire il valore legale del titolo di studio è una vecchia idea della destra. Un’ idea che ha affascinato consumati reazionari e neofiti liberisti per decenni. Oggi la sposa Salvini, condendola di qualunquistiche affermazioni su scuole e università come serbatoi sindacali ed elettorali, anch’esse armamentario tradizionale della destra italiana.

Gli obiettivi sono assolutamente chiari: con l’abolizione del valore legale del titolo di studio si punta a delegittimare e, in definitiva, a sfasciare il sistema nazionale e statale dell’istruzione, ad innescare una competizione selvaggia tra istituti ed atenei, ad aprire spazi alla privatizzazione.

Lo stesso accesso alle professioni diventerebbe assai più discrezionale e condizionato da criteri discriminatori.

Sono scopi simili a quelli che si prefigge la proposta di “autonomia differenziata” tra le regioni che avanza, spinta con forza da ministri e governatori leghisti (ma anche da qualche governatore del PD).

Siamo di fronte, dunque, ad un attacco concentrico contro l’istruzione statale, che prefigura conseguenze devastanti.

 La concorrenza tra scuole e università di serie A e di serie B comporterebbe un forte aumento dei già gravissimi squilibri territoriali. In particolare per le università del Mezzogiorno, già oggi fortemente penalizzate nella ripartizione dei fondi, sarebbe il colpo di grazia definitivo.

 La diseguaglianza sociale del paese s’ inasprirebbe in uno degli aspetti più determinanti: l’accesso alle conoscenze.

Sarebbe inevitabile un aumento formidabile delle tasse universitarie che comporterebbe per i settori popolari la preclusione di ogni accesso a studi superiori, per i ceti medi la prospettiva d’indebitarsi per far conseguire ai propri figli un titolo di serie B, per le classi dominanti ci sarebbe, invece, la garanzia di un privilegio sociale che si perpetua. Ci sono, certo, processi in questo senso in corso da tempo ma l’abolizione legale del titolo di studio rappresenterebbe una legittimazione istituzionale ed un potente incentivo a questa barbarie.

Non è questo che serve alle giovani generazioni, non è questo che serve al paese.

Al futuro civile, sociale ed anche economico dell’Italia serve un sistema scolastico e universitario unitario, democratico e qualificato, distribuito in modo equilibrato su tutto il territorio nazionale.

Lavoriamo ad un grande movimento di lotta che si ponga quest’obiettivo.

 
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La sposa bambina

Post n°14758 pubblicato il 17 Novembre 2018 da Ladridicinema
 

Nojoom, che in yemenita significa "le stelle", ha un destino segnato fin dalla nascita: suo padre infatti cambia il suo nome in Nojoud, ovvero "nascosta", e pur amandola consegna sua figlia alle regole non scritte della convivenza nello Yemen, che comportano una totale sudditanza delle femmine rispetto ai maschi. Quando Njoud compie 10 anni il padre, in una negoziazione condotta solo fra uomini, la dà in sposa a un uomo che ha almeno trent'anni più di lei. Lo sposo promette al suocero di prendersi cura della bambina e di aspettarne la pubertà prima di consumare il matrimonio, ma appena sottratta alla casa del padre la violenta e la costringe a servire la suocera, picchiandola quando la bimba disobbedisce. Per fortuna Nojoom/Nojoud è uno spirito indomito e trova la via di fuga dal villaggio arcaico in cui l'ha segregata il marito per recarsi al tribunale di Sana'a, dove chiederà per sé il divorzio.
La sposa bambina è l'esordio al lungometraggio di finzione di Khadija Al Salami, regista e produttrice yemenita istruita in Francia e Stati Uniti, e si basa sul romanzo autobiografico di Nojoud Ali, scritto insieme alla giornalista Delphine Minoui. La storia che racconta è in qualche misura autobiografica anche per la regista, andata in sposa a 11 anni ad un uomo di oltre vent'anni più grande, dal quale Khadija ha trovato il coraggio di affrancarsi. La conoscenza profonda dei luoghi e della mentalità che Al Salami racconta rendono La sposa bambina un documento autentico nel rappresentare una pratica retrograda come il matrimonio infantile (oltre che combinato). 
Ma la regista non commette l'errore di semplificare la storia, e rende giustizia sia alla complessità della società yemenita (la stessa che ha dato i natali all'attivista premio Nobel per la pace Tawakkol Karman) che alle oggettive difficoltà cui tentano di sopravvivere i suoi abitanti più poveri. A questo scopo Al Salami costruisce una sceneggiatura stratificata che inizia nel presente, ripercorre il passato e poi ci fa rivedere quello stesso passato dal punto di vista del padre, senza giustificarne le scelte ma contestualizzandone le motivazioni. Tutta la famiglia di Nojoom/Nojoud è vittima della miseria, dell'ignoranza e di imposizioni sociali che perpetuano nei più deboli e disinformati una situazione di iniquità. In quest'ottica anche il collaborazionismo femminile, che perpetua l'oppressione di madre in figlia, trova una sua cornice e una sua spiegazione. 
Le figure maschili e femminili sono disegnate in maniera articolata e rappresentano livelli diversi di consapevolezza e di emancipazione. Al centro c'è Nojoom che, come Malala, fa la storia rifiutandosi di soccombere alle restrizioni che reprimono il suo genere e la sua giovane età. La conclusione è pesantemente didascalica, ma se anche solo uno spettatore o spettatrice appartenente a quel mondo avrà modo di ascoltarla troverà le armi concettuali e dialettiche per difendersi da chi ammanta di religiosità il proprio desiderio di supremazia e la propria brama di potere. 

 
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La recensione su Il delitto Matteotti da film.tv

Post n°14757 pubblicato il 17 Novembre 2018 da Ladridicinema
 

L'agguato infame che praticamente dette il "la" alla dittatura fascista in Italia,e tolse di mezzo il deputato socialista Giacomo Matteotti è raccontato con dovizia di particolari da Florestano Vancini,regista impegnato oggi poco ricordato:i fatti,dall'arringa nel parlamento già inquinato dall'omertà di molti verso il regime crescente di Benito Mussolini,all'espandersi dello squadrismo come regola vigente per mantenere il potere. Molti nomi noti nel cast,dal Franco Nero di Matteotti,al Mario Adorf-Mussolini,ricordando anche il Gramsci di Riccardo Cucciolla ed il Turati di Gastone Moschin:Vancini e la sceneggiatura imputano all'errata linea politica dei socialisti molte responsabilità circa il trionfo del Fascio Littorio,e da un punto di vista storico è ben sottolineata la circostanza del Duce ricattato dalle Camicie Nere,dato che la storia d'Italia è zeppa di situazioni analoghe,con scherani che mettono con le spalle al muro gli apparenti uomini di potere.Il film spiega bene le cose,anche se il rischio-didascalismo non sempre è evitato,e Vancini in alcuni momenti pare concentrarsi molto su alcune cose,magari più del dovuto.Come documento per riflettere ed analizzare una fase terribile della nostra Storia "Il delitto Matteotti" è un film da far vedere ai ragazzi che vanno alle scuole dell'obbligo,ove difficilmente si va oltre la Prima guerra mondiale ,come film drammatico è valido,anche se qualche sforbiciata qua e là avrebbe giovato.

 
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LEGO BATMAN - IL FILM

Post n°14756 pubblicato il 17 Novembre 2018 da Ladridicinema
 

Gotham City. Dopo l'ennesimo successo di Batman contro Joker, il commissario di polizia Jim Gordon lascia l'incarico alla figlia Barbara, che ha intenzione di voltare pagina con la dipendenza di Gotham dal vigilante mascherato. Per dimostrare a tutti di essere insostituibile, Batman imprigiona Joker nella Zona Fantasma, la prigione spaziale in cui Superman relega i peggiori criminali dell'Universo. Peccato che il piano di Joker prevedesse proprio tutto questo...
Nel 2014 The Lego Movie colpì il panorama cinematografico con la violenza di un meteorite.

Uno sforzo apparentemente sovrumano di conciliare le esigenze della computer graphics con quelle del vintage per eccellenza del mondo ludico, i mattoncini Lego, con contorno di ironia dissacrante e celebrazione dei molti brand coinvolti nell'iniziativa.

In pratica la realizzazione del sogno di ogni bambino, quello di creare mondi a catena con un mash up di personaggi di fantasia e realmente esistiti, sotto forma di un film godibile, quando non esaltante. Un cocktail riuscito talmente bene da piacere a bimbi e critici insieme, spingendo firme eccellenti a parlare di rielaborazione crossmediale del linguaggio cinematografico. 
Definire Lego Batman uno spin-off dell'esperienza di The Lego Movie pare riduttivo, già a partire dal commento che il vocione baritonale del Cavaliere Oscuro - Will Arnett nella versione originale, Claudio Santamaria in quella italiana - riserva ai loghi delle case di produzione e distribuzione coinvolte. Perché questo capitolo intende andare addirittura oltre. La sceneggiatura di Grahame-Smith, McKenna e soci gioca con i brand - Warner Bros., DC Comics, Il signore degli anelli, ecc. - per meglio valorizzarli, dimostrando di aver compreso appieno come oggi l'importante sia non prendersi troppo sul serio e mascherare il più possibile la presenza del marketing (Deadpooldocet). The Lego Batman lascia solo intravedere il lato commerciale della propria natura, annegandolo in una storia godibile di per sé e contraddistinta da una miriade di riferimenti a serie, film e manie del passato.

 
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Ecco come il M5s potrebbe controllare l'informazione scientifica da il giornale

Post n°14755 pubblicato il 17 Novembre 2018 da Ladridicinema
 

 Gio, 08/11/2018 - 19:34

Questa volta però, a destare preoccupazione è la proposta di modifica, presentata dal deputato del Movimento 5 stelle Luigi Gallo il 27 marzo scorso ma in discussone in questi giorni alla Camera, in merito alla legge 112 del 7 ottobre 2013 sul libero accesso all'informazione scientifica. Nella legge, che all'epoca servì ad equiparare la normativa italiana a quella europea in merito al diritto di poter consultare liberamente dati di ricerca e pubblicazioni scientifiche su attività finanziate con fondi pubblici, viene infatti aggiunta la modifica di un singolo articolo nel quale si stabilisce testualmente: "L'istituzione, da parte del Ministro dello sviluppo economico, nel termine di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, di una Commissione per la divulgazione dell'informazione scientifica, con il compito di individuare le migliori forme di diffusione dell'informazione culturale scientifica attraverso i canali del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale".

Una proposta che potrebbe teoricamente portare il controllo dell'informazione scientifica sulla televisione di stato direttamente nelle mani del ministero dell Sviluppo Economico, e quindi dello stesso Luigi Di Maio, consegnando di fatto al governo il potere di decidere le modalità con cui i cittadini potranno usufruire dell'offerta culturale Rai. Viene immediatamente da pensare infatti a quale potrebbe essere il destino delle numerose produzioni divulgative che da anni sono uno dei fiori all'occhiello della tv italiana, a cominciare dai programmi di Piero ed Alberto Angela, prodotti di qualità da sempre dimostratisi successi di pubblico e di critica. La mossa sarebbe inoltre un ulteriore passo avanti verso la completa istituzionalizzazione del servizio pubblico, cominciata con la nomina del giornalista Marcello Foa a Presidente della Rai lo scorso 26 settembre.

Polemiche arrivano difatti dai banchi dell'opposizione, che brandisce lo spettro del ritorno alla dittatura per criticare la proposta di legge dei 5 stelle. Intervistata dalla testata Giornalettismo, la senatrice del Partito Democratico e vice presidente del Senato Simona Flavia Malpezzi ha infatti dichiarato"Un governo che ha dimostrato di avere delle posizioni antiscientifiche sul caso dei vaccini non può decidere cosa sia divulgazione e cosa no. Questa è una decisione da regime totalitario, inaccettabile." - aggiungendo poco dopo sulla sua pagina Facebook ufficiale - "Questo è il testo di legge attualmente all'esame della camera, firmato del presidente cinque stelle della commissione cultura, in materia di accesso aperto all'informazione scientifica. Prevedono di far istituire a Di Maio un "Comitato per la divulgazione dell'informazione scientifica" che deciderà cosa trasmettere attraverso i canali della Rai sovranista. Io le chiamo -senza alcun timore- prove di regime".

 
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Ennio Morricone compie 90 anni: «Il rimpianto? Arancia Meccanica»

Post n°14754 pubblicato il 17 Novembre 2018 da Ladridicinema
 

Uno scacchista è matematico, stratega, perfezionista. Ennio Morricone sarebbe probabilmente stato lo scacchista italiano numero uno della sua generazione, se non fosse diventato il più grande compositore italiano di musica per film di sempre. Sabato 10 novembre compie 90 anni, lasciandosi alle spalle 500 colonne sonore, 70 milioni di dischi venduti, due Oscar, tre Grammy, quattro Golden Globe e un Leone d’Oro vinti. Ha vissuto da protagonista le grandi stagioni della cinematografia e della discografia italiana, attraversato i set di Cinecittà e gli studi di Rca.

 

 

«L’Oscar dovevano darmelo per “Mission”»

Ha segnato in maniera inconfondibile la Trilogia del dollaro di Sergio LeoneSe telefonando di Mina, sperimentato nuovi linguaggi con il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, ma da appassionato scacchista non smette di pensare alle mosse che avrebbe potuto fare e non ha fatto, a partite che sarebbero potute andare diversamente. Gli chiedi della statuetta portata a casa per The Hateful Eight di Quentin Tarantino, lui rilancia con quella che avrebbe voluto per Mission di Roland Joffé. «L’Oscar – ci tiene a sottolineare - me l’aspettavo nell’87, a quelle musiche tenevo particolarmente. Invece se lo prese Herbie Hancock per Round Midnight. Per carità: non discuto l’artista, ma non erano neanche tutte composizioni originali. Ricordo le proteste alla cerimonia di consegna. Poi l’Oscar è arrivato con The Hateful Eight che all’inizio neanche volevo fare. Tarantino venne a trovarmi a casa, mi raccontò questa idea singolare del western girato sulla neve. Solo Corbucci poteva avere un’idea del genere e così mi sono lasciato convincere».

«Pasolini e Fellini rifiutarono il mio film»
Morricone ti parla di quando, una sera a cena con Pier Paolo PasoliniFederico Fellini, propose loro il soggetto originale per un film che avrebbe dovuto intitolarsi La morte della musica, su un’immaginaria umanità del futuro cui un dittatore vieta le sette note. «L’idea piacque – racconta – ma nessuno dei due alla fine ne fece niente». Trama da romanzo, in un certo senso surreale che ieri sarebbe potuta entrare nelle corde di Fellini. Oggi potrebbe forse intrigare Paolo Sorrentino? «Non ci credo», risponde. «Ogni progetto appartiene alla propria epoca. E poi Fellini stesso fece Prova d’orchestra, film che si poneva un po’ domande analoghe». Morricone non è stanco di girare. Che si tratti di pellicole o teatri.

«Col cinema ho chiuso. A parte Tornatore»
Il pubblico europeo sta salutando con sold out a ripetizione «The 60 Years of Music Tour», tournée celebrativa dei 60 anni di carriera. «Con il cinema – confida il Maestro – ho praticamente chiuso. Con una importantissima eccezione: Giuseppe Tornatore. Sto scrivendo le musiche dei suoi prossimi due film. Quando me lo chiede Peppuccio è diverso. Ci conosciamo: io so quello che vuole, lui sa come mi piace lavorare. Ci sono i presupposti perché esca un buon risultato». A quattro mani con Tornatore, Morricone ha scritto Ennio, un maestro, conversazione in forma di libro su cinema e musica (Harper Collins, euro 19,50, pp. 334). Conoscersi è la parola magica, quando ci si confronta con il Maestro. Persona schiva, operosa, di una modestia rara nell’ambiente e sorprendente se si considera il curriculum. Ti accoglie nella casa all’Eur, dove vive con l’inseparabile moglie e confidente Maria, tra mobili antichi, carta da musica, dischi e foto dei quattro figli. Ti studia come se avesse di fronte una partitura e, appena riesce a interpretarti, non si risparmia. Infilando aneddoti curiosi, descrizioni fulminanti, punti di vista originali.

Come si costruisce il concerto perfetto
Sintetizzare 60 anni di carriera in una scaletta di concerto «facile non è stato – precisa - ma neanche troppo difficile. La logica era: alcune cose le devo fare perché me le chiede il pubblico. E qui ci metti le colonne sonore di Leone, il lavoro per Tarantino, l’Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Altre cose le devo fare perché piacciono a me. E qui ci metti i lavori per Tornatore, per esempio, o qualche pezzo più complesso. Una buona scaletta è sempre sintesi tra gusti del pubblico e proposta dell’autore». Che, dal suo punto di vista, fa «un lavoro artigianale. Risponde a un committente che è il regista». In un rapporto a tre variabili: «Ci sono i registi che ti lasciano libero, quelli con cui finisci per scontrarti e quelli con cui riesci ad arrivare a un compromesso».

Quelle discussioni con Leone (e signora)

Con Leone, per esempio, «c’erano affiatamento e confidenza. Si sa: eravamo in classe insieme in terza elementare. Ma dovevi sempre convincerlo della tua idea. Aveva l’ossessione della perfezione – continua Morricone - propria dei grandi autori di cinema. In C’era una volta il West, per esempio, perseguitò i rumoristi per la scena dello scontro tra treni, fino a che non riuscì a ottenere l’effetto che voleva. Ogni volta che avevamo una discussione, però, avevo un’alleata preziosa: la moglie Carla. Spiegavo le mie ragioni a lei che, in un modo o nell’altro, lo convinceva». Clint Eastwood rivelò di aver compreso la grandezza di Per un pugno di dollari solo dopo aver ascoltato il 45 giri con il “fischio”. «Leone e io – ricorda Morricone – al contrario non eravamo coscienti del fatto che quell’opera avrebbe lasciato il segno. Ci sembrava un esperimento. Chi pensava che saremmo arrivati fuori dall’Italia? Sergio diceva: “È già tanto se arriviamo a Catanzaro”. Il successo ci travolse. Un pezzo dopo l’altro, poi, lui sul piano cinematografico e io su quello musicale, cominciammo ad acquistare consapevolezza. Del lavoro fatto per Il buono, il brutto e il cattivo, per esempio, eravamo molto soddisfatti. E mica solo noi: una decina di anni fa un sondaggio di Bbc Radio 3 stabilì che quella era la seconda migliore colonna sonora di tutti i tempi, dietro al tema di Star Wars di John Williams».

La gentilezza di Pasolini
Pasolini«era molto gentile ma sempre serio. Abbiamo lavorato a lungo ma ci siamo sempre dati del lei, non saprei dire se alla fine diventammo amici. Era un artista che teneva in grandissima considerazione il lavoro artistico. Poi aveva le sue idee che non sempre coincidevano con le mie. Ti chiedeva di riarrangiare brani della tradizione classica, oppure alternava pezzi tuoi a Mozart. Quell’approccio non l’ho mai condiviso e protestavo. All’inizio mi lasciava libero, alla fine della sua carriera mi sono “arreso” alle sue richieste. E quindi optammo per la dicitura “musiche a cura dell’autore con la collaborazione di Ennio Morricone”».

  • 07 marzo 2018
Gli oggetti di Kubrick, a Torino un'asta di storia del cinema

«Arancia Meccanica avrei dovuto farlo io»
Ce n’è anche per Bernardo Bertolucci («Per quanto mi riguarda, tra i migliori registi italiani di sempre. Ho avuto la fortuna di musicare Novecento che ritengo essere il suo capolavoro») ed Elio Petri con le musiche di Indagine che stregarono Stanley Kubrick: «Mi chiamò per Arancia Meccanica. Eravamo d’accordo anche sul compenso: 15 milioni di lire, poca roba per una produzione di quel livello. Voleva qualcosa di simile a Indagine. Detesto direttive di questo tipo, ma in quel caso avrei ceduto perché era Kubrick. Il progetto sfumò con una telefonata di Leone: gli spiegò che ero ancora impegnato con Giù la testa. E il film lo fece Walter Carlos».

Tra Gino Paoli e Chico Buarque
Che ricordi ha il Maestro dei gloriosi tempi della Rca Italiana? «All’inizio – risponde - eri molto vincolato nelle soluzioni che potevi proporre. Se però i tuoi dischi vendevano, acquistavi libertà. Negli anni Cinquanta ebbi ottimi riscontri di vendita con la serie su Napoli di Miranda Martino, nel ’64 con un azzardo ritmico su Ogni volta, affidata a Paul Anka, sfornammo il primo 45 giri italiano da 1,5 milioni di copie. A quel punto ti divertivi. Le soluzioni semplici – spiega - erano le più efficaci sul piano commerciale: si pensi a Sapore di sale di Gino Paoli, maestro dei giri armonici. Se per un disco non c’era l’“obbligo” di vendere, io mi divertivo ancora di più. Con Chico Buarque, per esempio, mi sono tolto grandi soddisfazioni». Ha eredi il Maestro? «Non lo so, - risponde – ma stimo i compositori che sanno scrivere la musica. Nicola Piovani, Franco Piersanti e Carlo Crivelli», accanto al compianto Luis Bacalov.

Il futuro: ricominciare dai maestri (di musica)
Morricone si concentra poi su temi di attualità, come l’ipotesi del credito d’imposta per chi iscrive i figli alle scuole di musica: «Ottima idea. Qualcosa di buono si è fatto in questi anni su questo versante, ma occorre fare tanto altro. Penso alla formazione di buoni insegnanti di musica e a una strumentazione all’altezza nelle scuole». Quanto alla gestione del diritto d’autore, «la Siae– secondo il Maestro - è la società degli autori e degli editori e come tale deve restare il soggetto al centro del sistema. Non mi piace l’idea di un mercato italiano aperto a soggetti a scopo di lucro». Il Maestro continua a ricevere proposte per film «e continuo a rifiutarle. Le ultime due chiamate – spiega - sono arrivate dall’America. Ho detto basta al cinema. L’unica eccezione si chiama Tornatore. A lui non so dire di no e le composizioni per i suoi film sono tra le mie migliori cose. Non sempre il pubblico lo ha capito. O forse dovremmo dire: non ancora».
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