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Post n°3 pubblicato il 29 Dicembre 2008 da WalterSantoSubito

Previsioni sbagliate, rito di fine anno.
L'autocritica dell'Economist: non ne abbiamo azzeccata una

di Pierluigi Battista

Ora che il 2008 ha demolito la prosopopea degli analisti accreditati, ha sgominato legioni di specialisti della previsione scientifica, ha messo all'angolo gli esperti nella decifrazione delle tendenze e delle dinamiche mondia-li, non sarà meglio seguire l'esempio dell'Economist e astenersi pubblicamente dall'annuale esercizio della profezia che non si autoavvera e non si autoavvererà mai? Ed evitare il rito umiliante, alla fine del 2009, dell'autocritica per le previsioni fallite, gli scenari smentiti, la rivincita dei fatti sui disegni ambiziosi ma fallaci? Scrive Jérome Fenoglio su Le Monde che gli stessi colleghi dell'Economist, con invidiabile autoironia e raro sense of humour, hanno fatto precedere il loro numero speciale dedicato all'anno che verrà da un preambolo in cui si chiede scusa per la sequenza di clamorosi errori commessi dodici mesi fa, in circostanze analoghe. Fosse stato per il settimanale, la Casa Bianca sarebbe stata ora occupata, grazie al consenso plebiscitario degli americani, dalla signora Hillary Clinton. Non ci sarebbe stata una crisi economica squassante, destinata a mutare radicalmente il volto del potere finanziario e industriale internazionale. Il prezzo del petrolio si sarebbe mantenuto in modo passabilmente stabile, senza la vertiginosa altalena di altre stagioni. La politica militare russa non avrebbe avuto scosse significative, conservando invece un basso profilo, scevro da ambizioni nazionalistiche e tutt'altro che animato da pericolosi rimpianti per un'età del passato in cui la Grande Russia rivendicava orgogliosamente un ruolo da grande potenza. La parola chiave del 2008 sarebbe stata indubitabilmente l'«ambiente», il capitolo numero uno dell'agenda internazionale e dei singoli governi e non l'ancella dei consessi mondiali a cui si è effettivamente ridotta. Una sequenza impressionante di smentite: i fatti si sono incaricati di ridimensionare il prestigio di chi, nei giornali e attorno ai giornali, si atteggiava come l'oracolo della modernità ma che alla fine, tirate le somme, si è dimostrato più avventuroso, implausibile, inaffidabile del più grossolano fabbricante di oroscopi.

Il 2008 ha posto la pietra tombale sulle pretese di decifrare il mondo e i suoi avvenimenti facendo finta che mai una colossale rivoluzione concettuale possa sconvolgere gli schemi più collaudati e disintegrare le certezze più solide. Chi avrebbe immaginato che il verbo statalista avrebbe spazzato via il mondo regolato dai dogmi del mercato? Che l'America si sarebbe dovuta ricredere sull'unicità del suo dominio? Che un nero alla Casa Bianca non sarebbe stato più un tabù invalicabile? Un consiglio per i giornali e per gli «analisti» presuntuosi fino alla spocchia: evitare, in questa transizione d'anno, esercizi di futurologia applicata presentati come infallibile scienza dell'avvenire, lasciare agli oroscopi il compito di suscitare speranze che verranno regolarmente frustrate dai fatti. Impedire che il confronto tra ciò che si prevedeva e ciò che si è effettivamente realizzato sancisca un tale divario tra i pensieri e la realtà da gettare il discredito su chiunque volesse azzardare una previsione compiuta: non c'è peggior indovino di chi non ne azzecca una (specie se laureato).


29 dicembre 2008 - Corriere della Sera

 
 
 
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