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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Sul treno di "Così fan tutte"

Post n°439 pubblicato il 09 Aprile 2011 da arieleO
 

In una domenica di tredici anni fa, il 22 marzo del '98, un treno partì da Napoli per Milano. Era un treno speciale fornito dalle Ferrovie dello Stato nell'ambito di un'iniziativa del Piccolo Teatro varata in collaborazione con il nostro Comune: e portava un gruppo di addetti ai lavori, studenti dell'Accademia di Belle Arti e semplici appassionati a vedere la replica conclusiva, nel nuovo Piccolo intitolato a Giorgio Strehler, del «Così fan tutte» di Mozart, l'ultimo spettacolo firmato dal Maestro e ambientato, come sappiamo, proprio a Napoli.
   Il treno arrivò a Milano con notevole ritardo. Sicché Rosanna Purchia, che aveva voluto e organizzato quella trasferta con lo stesso entusiasmo che metteva in ogni suo atto da direttrice operativa del Piccolo, ebbe soltanto il tempo di accompagnarci dalla stazione al teatro, saltando la prevista visita al Castello Sforzesco e alla Pietà Rondanini. Ma fummo subito ripagati della delusione: ad accoglierci, nella vastissima platea di Largo Greppi, c'era anche Nina Vinchi, la vedova di quel Paolo Grassi che insieme con Strehler aveva per l'appunto fondato il Piccolo e, così, letteralmente inventato in Italia il teatro a gestione pubblica.
   Credo che a tutti noi venne un groppo alla gola. Sentimmo che per un attimo diventavamo partecipi di una grande storia. Quella signora minuta e tuttavia indomita - che, pur all'ombra di due uomini eccezionali, era stata l'anima e il motore decisivi del Piccolo di fronte alle incombenze e ai mille problemi quotidiani - ci disse con un lieve sorriso di tenerezza: «Non era speciale soltanto il treno che vi ha portato qui, siete speciali anche voi. Perché venite da Napoli, la città che in molti sensi è la vera protagonista di questo spettacolo».
   Adesso quel treno ha compiuto, simbolicamente, il viaggio di ritorno. Perché Rosanna Purchia porta il «Così fan tutte» di Strehler al San Carlo, di cui nel frattempo è diventata sovrintendente. E dunque, la cultura napoletana ribadisce la sua vocazione fraterna: ogni tanto va lontano, reca messaggi di civiltà e poi torna in patria ricca di esperienze nuove, che le consentono ulteriori slanci nonostante le ferite della disattenzione e della precarietà.
   Del resto, stanno lì a dimostrarlo tutti i segni dell'arte strehleriana presenti, ed evidentissimi, in «Così fan tutte». A cominciare dal perfetto equilibrio stabilito fra l'ispirazione di Mozart, fortemente legata al teatro musicale napoletano, e la profonda comprensione per la natura e la debolezza umane in cui il genio di Salisburgo stemperò i connotati salienti dell'opera buffa di matrice, per l'appunto, partenopea: gli scherzi narrativi, i bozzetti realistici, la parodia beffarda dell'opera seria e il patetismo sentimentale.
   Ma davvero straripa, Napoli, nell'allestimento strehleriano, sin dalla scena iniziale: che nel libretto di Da Ponte si svolge in un'anonima «bottega di caffè», mentre qui, alle spalle di quel caffè, il fondale riproduce, manco a dirlo, la facciata del Real Teatro di San Carlo. E questo senza contare gli omaggi, altrettanto puntuali, un po' a tutte le forme del teatro nostrano, a partire dalla gloriosa Commedia dell'Arte.
   Il cerchio si chiude. Un gran comico dell'Arte, Tiberio Fiorilli, se ne andò da Napoli per fame. E a Parigi, col nome di Scaramouche, recitava indossando, immancabilmente, un costume nero come un cielo notturno senza stelle. Ma suscitava, altrettanto immancabilmente, irrefrenabili esplosioni di risate. E divenne il maestro di Molière.
   Allora torno alla fraterna vocazione della cultura napoletana. Quando nel 1980 Strehler portò a Napoli il suo leggendario «Arlecchino servitore di due padroni», mi disse la più alta e toccante definizione del teatro che abbia mai sentito: «È lo stare dell'uomo con l'uomo».

                                                 Enrico Fiore

(«Il Mattino», 9 aprile 2011) 

 
 
 
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