Non se lo sarebbe mai immaginato, Carmelo Bene, che dieci anni dopo due giovanotti di Verona, roccaforte leghista, avrebbero allestito uno spettacolo a misura del suo «'l mal de' fiori». Quel poema, che calò come una folgore a stracciare le cartoline letterarie del Novecento, era basato sullo scontro fra l'Eros (che dà affanno, giusto Platone che lo vuole figlio della Penuria) e il Porno (che dà quiete, giusto perché non fa alcuna differenza fra una donna e una tazza). Ed Enrico Castellani e Valeria Raimondi di Babilonia Teatri - reduci dai Premi Scenario, Ubu e Vertigine - hanno presentato al Museo Archeologico Virtuale di Ercolano, nell'ambito del festival «Barock», un'implacabile performance, «Pornobboy», che si muove per l'appunto fra l'angoscia e la stasi.
È illuminante già la sequenza iniziale, con Castellani e la Raimondi che, affiancati da Ilaria Dalle Donne, si danno a ricoprire il tabellone di fondo con le locandine dello spettacolo in corso. Siamo di fronte a un'eclatante tautologia, e dunque proprio alla pura superficie che costituisce l'essenza e lo scopo del porno, ovvero la sostituzione del corpo con la sua immagine proiettata o stampata. Poiché di questo si tratta: della valanga di particolari con cui i media ci sommergono continuamente senza che mai, a proposito di un qualsiasi avvenimento, quei particolari si unifichino in una significante visione d'insieme, fino a scendere nella profondità delle idee.
Ecco, allora, che i tre interpreti, allineati e immobili, ci rovesciano addosso in coro - e insieme ossessivi e gelidi - cinquanta minuti di un torrenziale rap (o salmo o preghiera o mantra) tessuto con tutte le parole dei giornali e delle televisioni accoppiate con tutte le frasi fatte dagli stessi indotte circa la cronaca recente: in un vortice di morbosità e voyeurismo che mescola, senza soluzione di continuità, la canottiera di Giuliani, le pappe di Samuele, la kefiah di Quattrocchi, i capelli di Amanda, la riservatezza di Veronica, le mestruazioni di Eluana e così via ubriacandosi di vuoto e d'idiozia.
Inutile, a questo punto, sottolineare la bravura e il non comune dispiego di energia fisica messi in campo da Enrico Castellani, Valeria Raimondi e Ilaria Dalle Donne. E la conclusione non poteva essere diversa, nel solco di un lavoro, appunto quello di Babilonia Teatri, che - lo ripeto ancora una volta - si rivela necessario perché storicamente fondato, in perfetta e straziante (ma anche ironica) sintonia col nostro presente. Al termine della «Ninna nanna di felicità» lanciata dallo Zecchino d'Oro, un mare di schiuma sommerge gl'interpreti e dilaga in platea. Ma non è nera, come la massa gelatinosa del «Blob» televisivo. È bianca, perché il bianco è per tradizione il colore della morte.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 4 maggio 2010)
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