«Me fo la camera ardente a Gardaland». «Compro un loculo vista mare». «Trova il cadavere, vinci la salma».
Sono alcune delle più indicative battute di «The end», lo spettacolo di Valeria Raimondi ed Enrico Castellani che Babilonia Teatri presenta alla Galleria Toledo. E risulta chiaro e dichiarato, dunque, il tema che qui si sviluppa, del resto annunciato dal titolo: si tratta della morte, che la nostra società esorcizza con l'illusione dell'eterna giovinezza e che invece il gruppo veronese, fra le punte di diamante della ricerca teatrale italiana, sbatte in faccia al pubblico come il semplice e irrinunciabile risvolto della vita.
L'acuta idea drammaturgica che presiede all'operazione consiste (lo dimostrano, appunto, le battute di cui sopra) nel parlare della morte utilizzando - al ritmo di un velocissimo rap - tutto lo stupidario degli slogan pubblicitari e delle frasi fatte. E se, in contrasto, appaiono obbligate le citazioni del paradigma esistenziale stabilito dall'Ecclesiaste («C'è un tempo per nascere e un tempo per morire») e della verifica quotidiana di quel paradigma cantata da Luigi Tenco («Guardare ogni giorno / se piove o c'è il sole, / per saper se domani / si vive o si muore»), il discorso, poi, giunge all'approdo di una dimensione teorica inedita, ed alta e poetica insieme.
La bravissima protagonista, la stessa Valeria Raimondi, innalza un grande crocifisso: giacché, lo sappiamo, è nella Passione di Cristo che si realizza la perfetta epifania della morte come prodromo di una vita nuova; e ai lati del crocifisso, al posto dei due ladroni (la storia e, appunto, la società) vengono appese le teste del bue e dell'asinello (l'innocenza della natura). Siamo di fronte a una vertiginosa fusione dei due «tempi» sottolineati dall'Ecclesiaste, a un'icastica riaffermazione dell'intercambiabilità fra la nascita e il decesso.
C'è da aggiungere che l'innalzamento del crocifisso è accompagnato dalla colonna sonora di «Per un pugno di dollari»; e infatti, subito dopo Valeria tira fuori una pistola, invocando il colpo misericordioso dell'eutanasia. Perché, s'intende, in questo spettacolo straordinario spasima pure - e sempre in linea con l'ambivalenza vita/morte - l'abbraccio fra l'ironico e il tragico.
Alla fine Valeria compare, immobile, col suo piccolissimo bambino in braccio. E a me è tornata in mente la compostezza classica (e, più precisamente, davvero ellenica) che informò il «Congedo» di Carducci: «Vola serena imagine la morte, / come a te sotto i platani d'Ilisso, / divo Platone».
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 4 febbraio 2012)