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Un blog creato da amalia_licht il 22/05/2011

Corpo in frammenti

Il "voler avere qualcosa in cambio" è una scusa, è il tentativo bulimico di supplire e riempire un fondo già e sempre bucato.

 
 

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L'analfabeta - Agota Kristof

Post n°8 pubblicato il 21 Giugno 2011 da amalia_licht

Siamo una decina di ungheresi a lavorare nella fabbrica. Ci ritroviamo alla mensa durante la pausa di mezzogiorno, ma il cibo è così diverso da quello a cui siamo abituati che non mangiamo quasi niente. Da parte mia, per almeno un anno a pranzo non prendo altro che un po' di pane e caffellatte.Nella fabbrica tutti ci trattano bene. Ci sorridono, ci parlano, ma noi non capiamo niente.
E' qui che comincia il deserto. Deserto sociale, deserto culturale. All'esaltazione dei giorni della rivoluzione e della fuga subentra il silenzio, il vuoto, la nostalgia dei giorni in cui avevamo l'impressione di partecipare a qualcosa di importante, forse anche di storico, la malinconia di casa, la mancanza della famiglia e degli amici.Ci aspettavamo qualcosa venendo qui. Non sapevamo che cosa ci aspettavamo, ma certo non questo: queste grigie giornate di lavoro, queste serate silenziose, questa vita contratta, senza cambiamenti, senza sorprese, senza speranza.
Dal profilo materiale si vive un po' meglio di prima. Abbiamo due camere al posto di una. Abbiamo abbastanza carbone e cibo a sufficienza. Ma rispetto a quel che abbiamo perduto, è un prezzo troppo alto.
Nell'autobus del mattino, il controllore si siede vicino a me, la mattina è sempre lo stesso, un tipo grosso e gioviale, mi parla per tutto il tragitto. Non è che lo capisca molto bene, capisco però che vuole rassicurarmi spiegandomi che gli svizzeri non permetteranno mai che i russi giungano fin qui. Dice che non devo più avere paura, non devo più essere triste, adesso sono al sicuro. Sorrido, non posso dirgli che non ho paura dei russi, e che, se sono triste, è piuttosto per la grande sicurezza attuale, e perché non c'è nient'altro da fare e da pensare che il lavoro, la fabbrica, la spesa, il bucato, cucinare, e non c'è altro da spettarsi che le domeniche per dormire e sognare un po' più a lungo del mio paese.
Come spiegargli, senza offenderlo, e con le poche parole che so di francese, che il suo bel paese non è altro che un deserto, per noi rifugiati, un deserto che dobbiamo attraversare per giungere a quella che chiamano «l'integrazione», «l'assimilazione». In quel momento lì non sapevo ancora che certi non ce l'avrebbero fatta.
Due di noi sono ritornati in Ungheria nonostante la condanna alla prigione che li aspettava. Due altri, uomini giovani e celibi, sono andati più lontano, negli Stati Uniti, in Canada. Altri quattro, ancora più lontano, nel posto più lontano di tutti, oltre la grande frontiera. Queste quattro persone di mia conoscenza si sono uccise durante i primi due anni del nostro esilio. Una con i sonniferi, una con il gas, le altre due impiccandosi. La più giovane aveva diciotto anni. Si chiamava Gisèle.

Agota Kristof

 

 
 
 

Storia settima. Prima della battaglia (le armi segrete)

Post n°7 pubblicato il 20 Giugno 2011 da amalia_licht

Non è poi diversa la mia storia da quella dell'umanità.
Considerazione che mi tranquillizza, posso tornarmene a letto (sperando si plachi il battito del cuore e la gola serrata). Forzarmi oltre misura mi condurrà all'esplosione. Comunque la misura della mia sopportazione è qualcosa che ancora mi sfugge, mi pare di essere nata ribelle. O almeno questa è la storia che mi hanno raccontato. Quella che ho continuato a scrivere. Adesso? Guardo le boccette allineate, posso scegliere tra le capsule gelatinose (le mie preferite), le gocce amare (a volte la punizione è un piacere irresistibile), le orribili pastiglie astronave (per evitare di morire soffocata le faccio in tanti pezzi). Cercherò di decidermi tra un caffè bollente ed una doccia (bollente pure quella, anche senza peccati da estirpare).

 
 
 

Storia sesta. Squame di pesce e piume d'uccello.

Post n°6 pubblicato il 15 Giugno 2011 da amalia_licht

Ho ricominciato a perdere tempo, i farmaci hanno smesso di funzionare.
Eppure ho controllato porte, finestre, tasche, chiuso ogni buco, ogni spiraglio. 
Ho tappato tutto usando un impasto di carta riciclata, acrilici e sogni.
Il medico ha controllato i dosaggi del farmaco, li ha aumentati.
Poi si è arreso accusando i sogni. Dice che non c'è verso di tappare i buchi con i sogni.
Mi sono giustificata ricordandogli l'aggiunta di carta e l'acrilico.
Azzurro, ho tappato tutto con una pasta azzurra.
Mi era venuta voglia di creare un uomo che mi facesse compagnia,
un uomo azzurro. Ho optato per un pesce muto.
Ora sono chiusa dentro con il mio pesce azzurro che mi guarda dal tavolo.
Sto valutando se ricoprirlo di squame o di piume. 

 
 
 

Storia quinta. Il potere

Post n°5 pubblicato il 04 Giugno 2011 da amalia_licht

"Alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe finestre, che si aprono verso la faccia interna dell'anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; le celle hanno due finestre: una verso l'interno, corrispondente alla finestra della torre, l'altra verso l'esterno, che permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale... Per effetto del controluce, si possono cogliere dalla torre, ben stagliate, le piccole silhouettes prigioniere nelle celle della periferia. Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individuabile e costantemente visibile".

Sorvegliare e punire - Michel Foucault

 
 
 

Storia quarta. Lei.

Post n°4 pubblicato il 01 Giugno 2011 da amalia_licht

"Fino a ieri ho giocato con le scarpe rosse di mia madre. Con il rossetto sbavato, il nero eccessivo agli occhi e la pellicola intorno al viso. Ho comprato vestiti, scarpe, biancheria ed oggetti improbabili. Ho raccolto bambolotti pieni di larve nel fiume, per poi lavarli in vasca da bagno con il mio bagnoschiuma preferito. Per lavarli meglio ho rasato loro i capelli, smontato teste, braccia, gambe. Mi sono infilata dentro scatole e fossati. Mi sono distesa sui binari. Mi sono fatta legare ovunque, pur sapendo che non sarei mai scappata."

In un sistema funzionante, un sistema che voglia mantenere la sua possibilità di crescere, di raggiungere qualcosa di nuovo, ci deve essere sempre una certa indefinita percentuale di caos. L'ordine completo conduce al disastro. 

 
 
 

Storia terza. Lei.

Post n°3 pubblicato il 01 Giugno 2011 da amalia_licht

“La stimolazione di determinate reti neurali altera la loro probabilità di venire attivate in futuro: se un circuito è stato eccitato in passato, la sua probabilità di esserlo nuovamente aumenta, in maniera direttamente proporzionale alla ripetitività della sua attivazione. Ciò è dovuto a modifiche a livello delle connessioni sinaptiche al suo interno, e il fenomeno del potenziamento a lungo termine è stato descritto come uno dei meccanismi responsabili di queste alterazioni”  

Daniel J. Siegel, La mente relazionale

Quindi, quando faccio o penso una cosa tre volte, probabilmente la farò o la penserò una quarta?

 
 
 

Storia seconda. Lei

Post n°2 pubblicato il 29 Maggio 2011 da amalia_licht

 

"Il ragno credendo trovar requie nella buca della chiave, trova la morte."

Leonardo da Vinci

Le tentate soluzioni hanno la forza di consumare - un po' alla volta o in un sol colpo - le probabilità di risolvere un problema o di raggiungere un obiettivo: accecano, fino a farci diventar muti e sordi, la nostra capacità di riconoscere, definire e concordare.

Ho mollato. Già mi chiedo se anche questo non rientri esattamente nell'ennesima soluzione disfunzionale, il cane che si morde la coda.

 

 
 
 

Storia prima. Lei.

Post n°1 pubblicato il 22 Maggio 2011 da amalia_licht

Una volta trovato il modo per dirlo, in verità avrei voluto scrivere una canzone, riprodurre l'immagine che ho dentro, scolpire l'emozione nella pietra, resta il problema di cosa dire. 

Dopo il secondo bicchiere diventa tutto più facile. Tu lo sai. Diventa anche tutto più lento, gli errori aumentano in modo esponenziale, ma preferisco mille cancellature e questa lentezza molle da lumaca all'attenzione ossessiva alle parole. 

Ogni tanto mi capita di desiderare ardentemente quei dieci minuti sola con te nel bagno. Qualcuno è arrivato a dire che farei qualsiasi cosa pur di averti... Non farei proprio nulla per averti. Dopo il punto di arrivo io vedo la discesa, e adesso non sono disposta a cadere (se non sul tuo corpo). Mi piace persino il silenzio, il dolore della rinuncia, sentirti vicino nella stessa stanza mentre armeggio con forchette e coltelli (mi sono resa conto di essere diventata vittima del mio passato, di ciò che ho visto, annusato, toccato. Quando vedo un coltello desidero una benda sugli occhi e desidero che tu sia il lanciatore. Voglio lasciarti la responsabilità della mia vita, sapere che puoi farmi male, uccidermi. Tu sai che non voglio morire, e che il rischio mi piace relativamente. Ho fiducia in te, nonostante tutto, nonostante questo niente, nutro una fiducia immensa in te, nelle tue mani, nei tuoi occhi.) Penso che vorrei schiacciarti al muro, chiudere gli occhi e respirarti, mi basterebbe un attimo. Mi cadono gli oggetti, colpa dei pensieri e di questo desiderio che rimbalza da un angolo all'altro.

Sento il sangue rapprendersi in faccia. La pelle che tira. 

 
 
 
 

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