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« SU CLCOPPIE GAY E COPPIE DI FATTO »

Post N° 16

Post n°16 pubblicato il 26 Novembre 2005 da mojofuel

Ieri pomeriggio, mentre ero al pub con Nicolas, mi e' arrivato un messaggio sul cellulare.

La mamma di V., una delle mie migliori amiche se non la migliore, e' morta.

Lo aspettavo da almeno una settimana, quel messaggio.

Lunedi' scorso C. mi aveva contattato, chiedendole di chiamarla il prima possibile. Cinque minuti dopo eravamo al telefono. Ovviamente, non ho preteso di parlare con V. Sapevo che non avrebbe voluto prendere la cornetta in mano. Fa sempre cosi' quando le capitano cose del genere. Comprensibile.

La mamma di V. stava male. Era in agonia. Il primo di aprile era andata in pensione, e a luglio le avevano diagnosticato un tumore a fegato e stomaco.

Nel giro di quattro mesi, il cancro l'ha letteralmente divorata. A 50 anni.

Mercoledi' mattina ero a Milano. Ho preso il primo volo, quello delle 6.40. E ho cercato di stare con V. il piu' possibile. Ho passato due giorni nella sala d'attesa del San Raffaele, sua mamma non l'ho neanche vista. Sono solo rimasto li'. Vicino a V. Vicino alla mia amica. Impotente.

Sono stato incapace di fare qualunque cosa. A parte essere tremendamente onesto con V. e augurarle che sua madre potesse soffrire il meno possibile.

Ci sono momenti in cui il mio essere uomo e il mio credere vacillano. E niente di cio' che faccio sembra avere un senso.

Questo e' uno di quei momenti. Ti rendi conto di quanto sei piccolo e inutile davanti a una tragedia del genere. Sono riuscito a mantenere un certo "distacco", per cosi' dire, e una certa razionalita'. Ma solamente perche' in quel letto non c'era la mia, di madre. Per il resto, mi sono limitato a tenere la bocca chiusa e ad esserci, cercando di tirare su sia V. che C. nelle poche ore che abbiamo passato insieme fuori dall'ospedale. Ci avrebbero pensato in ogni caso. Tanto valeva tentare di distrarle portandole fuori e passando un po' di tempo con i nostri amici.

Cosi' ho fatto. Anche se dentro di me mi sentivo morire. Non tanto per la mamma di V., debbo dire. Mi dispiaceva per lei, davvero. Ma l'avevo vista due volte, non avevo alcun rapporto con lei. Non mi ricordavo nemmeno che faccia avesse. Ero (e sono) preoccupato per V, ecco la verita'.

Ho passato gli ultimi due anni accanto a lei, e ho imparato a conoscerla lentamente ed amarla giorno dopo giorno, goccia a goccia. Ho saputo delle sue tragedie personali, mi sono avvicinato lentamente a lei con entusiasmo ma cercando di non essere troppo indiscreto e di non violare la sua intimita'. Ho scoperto la sua sensibilita' acutissima, il suo essere senza pelle, le affinita' elettive che ci legavano, il suo essere spiritosa, tenera, dolce nonostante il suo poco essere espansiva. E soprattutto la sua straordinaria forza d'animo, forgiata e messa alla prova ogni giorno da una vita che sembra ostinatamente accanirsi su di lei.

Eppure e' sempre in piedi. Sempre li', pronta a combattere. Fragile e piccola solo all'apparenza, ma con un coraggio che io non ho mai saputo dimostrare. E' una persona pulita, trasparente, talmente pura da fare male. Voglio bene a V. Ma mi chiedo: per quanto tempo potra' ancora resistere prima di cedere di schianto?

Ora sono qui, a 2000 chilometri di distanza, e la vorrei aiutare. Ma so che non mi lascerebbe avvicinare. E' gia' successo l'anno scorso, quando e' morta sua nonna. Non vuole parlare con nessuno, non vuole vedere nessuno. Nessuno a parte C.So che mangia a forza, che non dorme piu'. Che piange fino a soffocare. Vorrei fare qualcosa, ma questa e' una di quelle situazioni in cui non puoi fare nient'altro che rispettare la sua volonta' di stare da sola. Per il resto, posso solo attendere che riemerga da questo abisso (riemergera? non voglio nemmeno pensarci, dovessi andarla a prendere di persona). Vivere la mia vita. Rivolgere a lei un pensiero sempre, in ogni momento della mia giornata. E pregare. Non solo per sua mamma, ma anche e soprattutto per lei. Che i morti seppelliscano i loro morti, diceva un tale. Io non voglio. NON VOGLIO seppellire una viva.

Perche' scrivo tutto questo? Perche' devo sfogarmi in qualche modo. Perche' non posso parlarne con nessuno, e nessuno probabilmente capirebbe come mi sento adesso. Il mondo deve andare avanti, le persone muoiono ogni giorno e questo non impedisce al sole di sorgere e tramontare, agli esseri umani di mangiare, bere, innamorarsi, nascere, sposarsi e morire. E non ho una persona a cui urlare che mi sento le mani fottutamente legate. Le scaricherei addosso un peso che io solo mi devo portare dentro. So che tutto questo ha un senso, come hanno avuto un senso la morte di mio nonno, la follia di mio padre, il mio anno e mezzo di analisi. L'ho capito a distanza di tempo. Ma non riesco a trovarlo, adesso come adesso. Voglio solo che V. stia bene. E che cominci a vivere, dopo tre anni e mezzo passati all'inferno.

V., ti voglio bene. Vorrei dirti che la tragedia che stai vivendo, per quanto dolorosa, ha un suo significato. E che ti aiutera' a crescere, in un modo che adesso ne' io ne' te riusciamo a comprendere. E' nella natura delle cose. Quello che non ti uccide ti rende piu' forte, dice qualcuno. E De Andre' diceva che "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior". Ma per ora non te lo posso dire, tutto questo. Non capiresti, come non capirei io se fossi al tuo posto. Per cui posso solo esserci. Starti vicino. Ed essere presente ogniqualvolta avrai bisogno di me.

Prego Dio per questo.

 
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