Creato da giuseppedallamassara il 23/06/2010
Giuseppe
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Editoriali
Libri
Viaggiatori italiani in America (1860-1970) AutoreGiuseppe Massara EditoreStoria e Letteratura
Garibaldi Europeista Corriere d.V. 4/7/ 2007
Il 'risorgimento del Risorgimento': sembra uno slogan l'auspicio emerso dalla mostra di Garibaldi inaugurata a Brescia il 3 maggio 2007, per i duecento anni dalla nascita dell'eroe.Tre le mostre in programma per festeggiare il personaggio, da considerarsi l'unico vero mito italiano, mito conquistato e non imposto. Unico al mondo, il mito di Garibaldi è creato dalla gente, che in lui ha visto l'eroe senz'altri interessi tranne quello degli altri: lottò per la libertà di espressione, religiosa, commerciale, politica, culturale; lui, repubblicano, che diceva: "se agli Inglesi va bene la Regina Vittoria, regina sia". Quanti i miti imposti, come sempre, nell'interesse del vincitore o di chi vorrebbe essere il vincitore. Miti costruiti con i media, con l'immagine, con i monumenti o con la bugia. Garibaldi invece fu mito da vivo e da morto, sempre acclamato dal basso, dalla gente: e così la qualità delle memorie (quadri, busti e tanto altro) spesso ci appare popolare, anche di bassa qualità: ma ci sono tracce di lui diffuse nelle case, custodite come reliquie, solo raramente monumentali.
Articoli
(E' scoppiato il caso di Wikileaks: un fenomeno, un problema o cosa ?? ) Una rivoluzione epocale si nasconde (forse) dietro al crollo del ruolo storicamente attribuito alla diplomazia, ora messa a nudo da una tecnologia che annulla segreti, giochi e intrallazzi .
ARTICOLI
del 29 ott. 2010 ( l'autore vi mostra come i grandi pittori già ai primi
del '500 ‘fotografavano' il paesaggio, già due secoli prima del Canaletto )
ALCIDE DE GASPERI
3/ 5 Novembre 2001
Quella sera di 75 anni fa o
Quella sera del 5 Novembre 1926
UN PONTE VICENTINO SULLE NUOVE EUROMONETE
pubblicato sul Giornale di Vicenza il 18.12.01
(Una ricerca fatta nel 2001 in occasione della nascita dell'EURO,
a quella potete tutti dare completezza, rintracciando le origini di quei disegni )
editoriale del Corriere d/S/Veneto del 12.03.2005
(Un'analisi sul futuro possibile di un patrimonio raccolto nel centodiecimila (110.000) chiese distribuite in Italia e che costituiscono il più grande museo al mondo . )
Editoriale del Corriere d/S/Veneto del 1.09.2006
( Anno di nascita del grande artista Veneto : mistero o errore )
18.12.2010
(E' scoppiato il caso di Wikileaks: un fenomeno, un problema o cosa ?? )
TANTE PICCOLE PATRIE PER UNA SOLA ITALIA
Corriere d./S/Veneto del 12.08.2009
(L'autore coglie l'occasione per sottolineare la ricchezza dei tanti campanili di una Italia unita)
QUALE ITALIANO?
Ma che lingua usano i nostri lettori radio televisivi
(tra le concause alla disaffezione dalle notizie giornalistiche, dalla politica, dalla storia ecc.)
il 12 .04.2006
rivisto il 27.07.1010
UN PONTE IN VETRO
UN PONTE IN VETRO
Quanto ci vuole per fare un ponte nuovo
Quanti ponti in cantiere nel Veneto. I ponti segnano, dai tempi di Roma fino al secolo scorso, alcune tra le più belle pagine di architettura del Veneto. Tanti i veri capolavori, frutto dell'arte civile o militare: da quello di Rialto, al Ponte di Bassano, ai bei ponti di Chioggia, al veronese Ponte Pietra, passando per Ponte S. Michele a Vicenza.
Il 'risorgimento del Risorgimento': sembra uno slogan l'auspicio emerso dalla mostra di Garibaldi inaugurata a Brescia il 3 maggio 2007, per i duecento anni dalla nascita dell'eroe.Tre le mostre in programma per festeggiare il personaggio, da considerarsi l'unico vero mito italiano, mito conquistato e non imposto. Unico al mondo, il mito di Garibaldi è creato dalla gente, che in lui ha visto l'eroe senz'altri interessi tranne quello degli altri: lottò per la libertà di espressione, religiosa, commerciale, politica, culturale; lui, repubblicano, che diceva: "se agli Inglesi va bene la Regina Vittoria, regina sia". Quanti i miti imposti, come sempre, nell'interesse del vincitore o di chi vorrebbe essere il vincitore. Miti costruiti con i media, con l'immagine, con i monumenti o con la bugia. Garibaldi invece fu mito da vivo e da morto, sempre acclamato dal basso, dalla gente: e così la qualità delle memorie (quadri, busti e tanto altro) spesso ci appare popolare, anche di bassa qualità: ma ci sono tracce di lui diffuse nelle case, custodite come reliquie, solo raramente monumentali. Cento i monumenti per le cento città d'Italia; migliaia le targhe che ricordano semplici passaggi, soggiorni, pronunciamenti dell'eroe, non solo in Italia o in America, dove combatté, così come in Francia e in Algeria. Ma fu in Inghilterra dove raccolse forse il maggior consenso, soprattutto per la sua fede, e l'establishment gli rese omaggio con incredibile entusiasmo e tante ladies lo abbracciarono e lo inseguirono per dichiarargli vero amore. Gli eventi aperti con la mostra di Brescia hanno mostrato molto, e molto altro potremo vedere di quell'anno 'garibaldino', per ritrovare le tracce dell'eroe e riscoprire la sua modernità. E' a questo proposito che forse si può suggerire un contributo su un aspetto sinora non emerso (o non emerso fin da subito): il suo europeismo. Perché di europeismo parlò e scrisse: basti il suo memorandum, inviato alle potenze d'Europa il 15 ottobre 1860, per la pace tra i popoli: "…auspicando e ponendo l'ipotesi di un solo grande stato europeo ... , dove chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua" e "dove le spese militari potrebbero essere dirottate verso i bisogni dei paesi, per uno sviluppo colossale dell'industria, delle strade, dei ponti, dei canali, delle scuole e di tutte le iniziative pubbliche per l'arricchimento dei popoli contro l'egoismo e la cattiva amministrazione ...".
Antimilitarista, altro che guerrigliero: "è tempo che le nazioni si intendano senza bisogno di sterminarsi". E a Ginevra dove l'8 settembre del 1867 presenta il suo decalogo, per quel che avrebbe voluto che fossero (e oggi sono) le Nazioni Unite, ribadendo che “.. la sola guerra permessa è quella contro il tiranno”. Ancora anticipatore quando, nel 1872, invita Bismarck a dar vita a: “..un organismo capace di arbitrare sui dissidi mondiali”: ben prima dell'ONU (ora attiva, ma quanto efficace?); e poi sostiene, nel 1873, l'Inghilterra per l'istituzione di un'Alta Corte Internazionale di Giustizia. O quando, a Parigi, rifiuta l'invito a guidare, nel 1871, la lotta della Comune repubblicana, dichiarandosi pronto per una guerra d'indipendenza, ma mai per una guerra civile. Come non ricordare, ancora, la sua lotta per il suffragio universale: lotta sostenuta sempre e più che mai negli ultimi anni di vita (1879-1880): si veda la sua lettera del 6 febbraio 1880 (poi ribadita a Genova l'8 ottobre 1880), con la quale invita il popolo a conquistare quel "suffragio universale che deve essere un diritto costitutivo della vita italiana". In Italia il suffragio universale maschile arriverà nel 1916, e solo nel 1946 quello anche femminile. Giuseppe Garibaldi, che si autodefiniva “un composto di bene e di male”, personificò le aspirazioni delle nuove generazioni di ieri: e potrebbe farlo anche per quelle di oggi. Morì il 2 giugno 1882, era nato il 4 luglio 1807. Alla sua morte, Victor Hugo disse: "Non è in lutto l'Italia, non è in lutto la Francia, ma l'umanità". Il Times scrisse: "fate scrivere la biografia di Garibaldi al suo peggior nemico, e vi apparirà pur sempre come il più sincero, il più disinteressato e il meno ambizioso degli uomini"; e ancora: "è come una realtà di leggenda"; oppure, Giovanni Bovio: " non si può dividerlo dal mito". La Deutsche Zeitung scrisse : “ un nuovo Omero dovrebbe sorgere per cantare degnamente l’Odissea di questa vita, e la nuova Odissea non suonerebbe meno meravigliosa e favolosa della prima”. Parafrasando i filosofi, si potrebbe dire di lui che non sapeva quel che era impossibile e per questo lo fece.
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Avevamo guadagnato per tempo le prime file, noi ragazzi seduti per terra nell’Odeo del Padiglione Italia ai Giardini. Era la Biennale del 1970, forse. La giornata di apertura, o forse no. Ma certamente quell’attesa fu non tanto lunga quanto piena di emozione. Dalla cupola del salone, carica ancora del figurativo di Galileo Ghini (ultimi segni di uno spazio destinato sempre più all’astrattismo e alle avanguardie del mondo), cadevano due grandi teli ancora bianchi. Erano le ‘tavolozze’ predestinate al sacrificio, a totale disposizione del Maestro.
Vuoi per la Biennale, per la Bevilacqua La Masa, per Pegghy Guggenheim, a Venezia erano presenti o passavano tutti.
In quei giorni, anni felici per Venezia, erano di casa o erano attirati o chiamati da Mazzariol o da Scarpa, da Mazzotti o da Marchiori : Wright, Le Corbusier, Kahn. Ma, di più, al convento della Carità erano lì presenti per noi, vivi, al lavoro : Alberto Viani, Saetti, altri ancora e Vedova.
Venezia era veramente capitale dell’arte.
L’attesa vibrante, la scena pronta: quando il maestro arrivò, grande nella sua mole, con la sua grande barba, leonino, ci fece sentire piccoli, noi, da terra tutto era ancora più grande, era enorme.
Troppa la curiosità di vedere dal vivo l’arte nuova.
Fu una performance, fu un evento fatto di gesti, di grandi gesti, con grandi barattoli di colore, con lunghi pennelli.
Emilio Vedova era emozione, padrone della scena, tra grida, schizzi di colore che arrivavano sulle nostre camicie, ampi gesti e quei teli che non erano più bianchi.
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Tutto nasce da quel flash che di tanto in tanto mi sovvien al solo sentire il nome di Oppi.
Il pittore ‘vicentino’ nato però a Bologna il 25 lug. 1889 morì a Vicenza il 25 ott.1942 e va ricordato come uno dei fondatori del gruppo ‘Novecento’.
Già nel 1906 Oppi è già a Vienna per scoprire l’arte di Klimt e della Secessione.
Dal 1908 e ‘9 girerà l’Europa fino in Russia per esporre a Cà Pesaro nel 1910 e nel 1912 sarà a Parigi.
Ferito nella Grande Guerra sarà portato prigioniero a Mauthausen .
Nel 1921 espone a Parigi al Salon des Indipendents.
1923 è tra i fondatori del ‘Movimento Novecento’.
1924 partecipa alla Biennale di Venezia.
1925 lavora per chiese e per quella di Bolzano (chi scrive trovò sotto la polvere i cartoni).
1927 lavora presso la Basilica del Santo a Padova.
Sarà richiamato nella II Guerra Mondiale
Nel 1942 è a Vicenza e nei pressi della sua Galleria di Piazzetta Gualdi morirà vicino ai suoi amici.
L’immagine che mi si accende è legata a quell’angolo di Palazzo Gualdi sulla omonima piazzetta di Vicenza. Sull’estrema sinistra vi è un portone voltato del palazzo che ospitò l’imperatore Carlo V e che oggi dà accesso alla sede dell’Ordine degli Avvocati.Di questa memoria è la ricostruzione grafica che qui accompagno. Quella sera fuori dell’antro, disseminati tra giardinetto, marciapiede e strada erano alcuni cavalletti (grandi) dove appoggiavano delle tele (grandi) con figure femminili (nude) .Mio padre mi accompagnava per mano come faceva a quella mia età (e non più) e lui blaterava, indicava, commentava, salutava quanti lo conoscevano e no (per lo più legati al mondo della scuola che io cominciavo ad odiare o quasi ).A distanza di tanti anni mi torna quel nome che mi è sempre suonato strano, un suono al di fuori del pentagramma (questo amato invece da mia madre): Oppi.Vicenza curò in palazzo Chiericati una personale nel 19 e in questi giorni di fine 2011 Oppi torna assieme ai maestri vicentini del Novecento nel Museo della direttrice Avagnina e così accetto l’invito a ricostruire quella memoria.Ubaldo Oppi morì proprio nella sua galleria e appoggiò la testa tra le mani di Virgilio Scapin, personaggio sempre curioso e assiduo suo sostenitore. Oppi da Bologna a quattro anni giunse con la famiglia a Vicenza che qui veniva ad aprire negozio di scarpe nella centralissima via Cavour (oggi Emo). Ubaldo era pure giovane giocatore di prima squadra del Calcio Vicenza. Ma Ubaldo visse il suo momento d’artista come allievo di Klimt a Vienna e poi frequentando Milano, Parigi e il circolo dei romani del Gruppo Novecento. Era comunque rimasto molto legato alla ‘sua’ Vicenza che lo aveva adottato; no forse dobbiamo dire che lui aveva adottato come sua città. (Abbiamo sempre bisogno di una patria).Negli anni cinquanta sessanta, cioè morto l’artista e finita la devastante guerra che tanti lutti e danni portò, quell’antro di piazzetta Gualdi già ‘vomitorio’ dell’antico teatro Berga
(romano a pieno titolo) continuò essere luogo d’arte. Era la galleria del ‘Gruppo il Manipolo’, che riecheggiava (bene) aria di ‘ventennio’ ma invece significava e raggruppava un manipolo di amanti, cultori dell’arte e della pittura che ruotava attorno alla figura del filantropo Emanuele Zuccato uomo poeta, di teatro e attivista del ‘Cenacolo del Cavalletto’ con sede presso il vicino ristorante Bolognase di C.trà Catena.
Quella fucina stimolante d’arte era frequentata dai pittori Achille Beltrame, Carlo Potente, Mina Anselmi, Nerina Noro e Dall’Amico (che lavorava su legno) e quell’autore dei ritratti della bella Satterini.
In quel decennio (mi aggiorna il pittore detto Arci(angelo) Persano ancora oggi in via Carpagnon) erano attive in città bel (18) diciotto gallerie d’arte dai nomi memorabili come la Calibano, la Bilancia, il Salotto e quante …
La galleria ‘Il Manipolo’ dopo la scomparsa di Oppi fu diretta dal giovane Otello De Maria con la voglia di sempre di raccogliere adepti dell’arte, curando nuovi allievi prima al Manipolo e poi alla Soffitta, amata questa sino al suo ultimo giorno di vita.
Bocche maligne vogliono ricordare che il De Maria diceva di Oppi essersi ‘bruciato’, anzi diceva che ‘era chiacchierato’ perché usava la ‘dia’(positiva).
Come d’altra parte è oggi più che di moda.
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La sera del 9 settembre 2009 all’Arena di Verona era di scena Roberto Benigni con il suo Inferno dantesco.Era ancora una calda serata di fine stagione (teatrale) , ma lo spettacolo era di notevole calore per la presenza sul palco di quell’anfitrione che è Roberto Benigni che ci raccontava il ‘suo’ Inferno , intendo dire quello della Divina Commedia, di Dante Alighieri.Si concluse con un lunghissimo applauso, col tutti in piediEro (fortunatamente ) nelle prime file e a spettacolo concluso Benigni scese nel parterre per salutare le autorità presenti quali il sindaco Tosi (Flavio) e signora (sportiva quasi piccante in giallo) quanto lui era col solito spezzato verde (pantaloni) e marroncino(la giacca). A fianco era il vescovo di Verona mons. Giuseppe Zenti e qualcun altro .Trovatomi nel gruppo dopo i soliti dovuti, quanto banali, saluti al sindaco che mi era più vicino mi sono rivolto a sua eccellenza il Vescovo e chiesi “Monsignore… Ma le regole canoniche prevedono la possibilità di attribuire il titolo di Mons. A laici oltre ai soliti clerici ? “ Il sorriso si allargò al mons.( vero) che “ .. Ma a favore di chi .. questo auspicio ? “ … “ Ma a favore chiaramente di Roberto Benigni (che mi ascoltava) . Mi sembra che questa sera abbia fatto un sermone che non sentivo da tempo da qualsivoglia pulpito.”Così Benigni tra una (sua ) risata e l’altra .. “ E per il sindaco Tosi ? “ Io : “ Mi sembra che l’abbiamo ‘lapidato’ abbastanza questa sera “ Difatti tra i condannati reali e potenziali aveva posto i tipi ‘leghisti’ e ‘sindaci’ vari.
Il mese successivo, il 25 ottobre (2009) alla cerimonia di conferimento del Premio Galilei presso la monumentale Chiesa di S. Croce in Firenze veniva premiato anche Roberto Benigni. Ero ben collocato accanto al Sindaco Matteo Renzi con fascia in diagonale e il Cardinale Renato Raffaele Martino e il Maestro Giapponese Sejj Ozawa . Benigni naturalmente avrebbe chiuso la serata e dopo gli applausi di rito siamo saliti sul palco per stringere la mano al Maestro. Sindaco, Cardinale e Maestro e io un bel passo indietro. Ma quando Benigni mi vide con un gesto e il suo sguardo sorridente mi invitò ad unirmi e dopo il saluto rivolto al Cardinale disse “ Questo caro amico, mi ha proposto per il titolo di Mons. , ma ora lo dobbiamo chiedere a sua Eminenza il Cardinale” Superato il primo imbarazzo il Cardinale recuperò subito il sorriso e mi chiese quando e come successe .Fu un piacere raccontare il tutto telegraficamente e passare alle foto ricordo ormai di rito.Ma a Benigni mi usci ancora un ‘richiamo’ perché dissi “ Con tutti i tuoi richiami all’Italia e a Dante potrebbe essere utile e bello avere da te una riconferma di quanto andai a scrivere sul Corriere ( 24.07.09) in merito alla nascita del tricolore italiano che tutti vedono nel 1797 (a Reggio Emilia) , anzi se mai al 1796 quando sventolò come bandiera di combattimento con i Cacciatori delle Alpi a fianco dei Rivoluzionari Napoleonici. Ma io ‘uscii’ (con l’editoriale del Corriere) dicendo che possiamo vantare un bel precedente , ben più antico e firmato proprio da Dante. Dante infatti vede il tricolore indossato dalla sua Beatrice nel canto XXVIII del Purgatorio riconoscendo in lei la meta del suo viaggio, riconoscendo in lei la terra madre, la Patria. E Benigni “ Che bello… Non l’avevo valutato così ! “
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Così si usava: nei pomeriggi d’inizio d’estate. L’appuntamento era attorno alla radio, quella del bar gelateria: l’appuntamento era col Giro d’Italia.
Mio fratello, il maggiore, era là e io piccolo lì sotto a tutti, anche perché a dir loro io non capivo niente. Ma per me l’appuntamento era con Gino Bartali. Molti altri invece erano con Fausto Coppi.
Io aspettavo soprattutto di sentire quel nome, di cogliere quanta fatica faceva, se era solo, se in fuga solitaria o se inseguiva il primo. Non mi importava (o meglio mi importava si ) ma importante, per me, era sentire che c’era, che lottava, mi sentivo il suo sudore addosso .
In realtà ho sempre avuto , forse ancora oggi, una simpatia per i perdenti o meglio per chi non avendo la vittoria facile, fa di tutto per guadagnarsela, accetta la competizione e dà l’anima per emergere. Perché lo fa per passione, non solo perché ha le doti: da buon fortunato.
Bartali era questo, lo fu poi anche un Fiorenzo Magni, toscanaccio pure lui.
Ma Bartali, con Coppi, mi ha, anzi ci hanno regalato quello scambio di boracce, grandi, perché pur nemici, tutti e due dovevano farcela per battersi poi alla pari. Sotto quella foto da tanti anni ho scritto :< gli italiani che vorrei *> .
Ho ancora nelle orecchie il racconto di Gustavo, guardia svizzera, che alla salita di Lapio (nei Berici presso Fimon) , una salita allora di strada bianca e impossibile, visto il Ginataccio in difficoltà, tentò di dare una spinta e si prese una potente ‘sberla’ in faccia di cui il Gustavo andò fiero per tutta la vita.
Io lo vidi il Gino, in qualche tappa del Giro, dove mi accompagnava papà, ma pure da ‘fermo’, o meglio lo ricordo in particolare in un incontro pubblico dove mostrava con fierezza lo scudo crociato messo sul bavero della giacca.
Fu gran festa in tutta la Conca, ma quel che ricordo ancora fu la reazione che ebbi quando Lui , il Ginataccio scese proprio vicino per affaccendarsi tra la folla più o meno disinvolto e io guadagnai spazio tra la gente, lo raggiunsi, volevo proprio salutarlo e gli diedi la mano. Fu come fosse stato Padre Pio ( forse di più), ma mi chiedevo, perché, tu Gino Bartali, qui tra noi comuni, Tu devi stare su sul palco, sempre , anzi su una pedana più alta e la gente di sotto col naso all’in su a ripetere : < Eccolo lì il Bartali > .. ………….: <HO VISTO BARTALI>.
Proprio quest’anno abbiamo saputo un altro aspetto della generosità dio Gino Bartali che nel corso dell’ultima guerra ebbe a rischiare di suo per aiutare molti ebrei a salvarsi dalla deportazione. Oggi è riconosciuto tra ‘I giusti ‘ nel parco della Memoria degli ebrei di Gerusalemme.
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WIKIPEDIA
Teatro comunale Città di Vicenza
Nella primavera del 1978 l'imprenditore Gaetano Ingui rilanciò il dibattito sul teatro offrendo alla città una struttura "chiavi in mano" in cambio della realizzazione di un complesso commerciale-direzionale più albergo nell'area dell'ex Verdi. Il Comune prese tempo e bandì un altro concorso di idee. Fra i progetti spiccava quello del brasiliano Oscar Niemeyer, che prevedeva la costruzione di due torri cilindriche bianche in Campo Marzo; quello dei fratelli Dalla Massara, che disegnarono un complesso polifunzionale comprendente il teatro. Anche questo concorso tuttavia non ebbe esiti esecutivi. Sembra doveroso aggiungere che il progetto Niemayer non poteva essere realizzato perché proposto in area vincolata dal 1450 dalla famiglia Valmarana. come confermato dalle Sovrintendenze anche recenti. Il progetto dalla Massara era l'unico tra tutti i presentati: 'realizzabile'. Lo si costruiva infatti sulle orme del precedente Teatro Verdi e dove prima ancora era la vecchia Cavallerizza. Il progetto è ben illustrato nel bel volume di Antonio Di Lorenzo dal titolo "L'altalena dei sogni" , I 36 progetti per Vicenza. in questo si fa riferimento anche al Museo di Bilbao di F O Gehry , che però è del 1997.
https://it.wikipedia.org/wiki/Teatro_comunale_Citt%C3%A0_di_Vicenza
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