Creato da giuseppedallamassara il 23/06/2010
Giuseppe

Editoriali

Libri

Viaggiatori italiani in America (1860-1970) AutoreGiuseppe Massara EditoreStoria e Letteratura

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SHAKESPEARE ITALIANO

 

Garibaldi Europeista Corriere d.V. 4/7/ 2007

Il 'risorgimento del Risorgimento': sembra uno slogan l'auspicio emerso dalla mostra di Garibaldi inaugurata a Brescia il 3 maggio 2007, per i duecento anni dalla nascita dell'eroe.Tre le mostre in programma per festeggiare il personaggio, da considerarsi l'unico vero mito italiano, mito conquistato e non imposto. Unico al mondo, il mito di Garibaldi è creato dalla gente, che in lui ha visto l'eroe senz'altri interessi tranne quello degli altri: lottò per la libertà di espressione, religiosa, commerciale, politica, culturale; lui, repubblicano, che diceva: "se agli Inglesi va bene la Regina Vittoria, regina sia". Quanti i miti imposti, come sempre, nell'interesse del vincitore o di chi vorrebbe essere il vincitore. Miti costruiti con i media, con l'immagine, con i monumenti o con la bugia. Garibaldi invece fu mito da vivo e da morto, sempre acclamato dal basso, dalla gente: e così la qualità delle memorie (quadri, busti e tanto altro) spesso ci appare popolare, anche di bassa qualità: ma ci sono tracce di lui diffuse nelle case, custodite come reliquie, solo raramente monumentali.

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Articoli

(E' scoppiato il caso di Wikileaks: un fenomeno, un problema o cosa ?? ) Una rivoluzione epocale si nasconde (forse) dietro al crollo del ruolo storicamente attribuito alla diplomazia, ora messa a nudo da una tecnologia che annulla segreti, giochi e intrallazzi .

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Quaderni vicentini

 

QUALE ITALIANO

 

ARTICOLI

GIORGIONE E I SUOI PAESAGGI

del 29 ott. 2010  ( l'autore vi mostra come i grandi pittori già ai primi
del '500 ‘fotografavano' il paesaggio, già due secoli prima del Canaletto )

ALCIDE DE GASPERI
3/ 5 Novembre 2001
Quella sera di 75 anni fa o
Quella sera del 5 Novembre 1926


UN PONTE VICENTINO SULLE NUOVE EUROMONETE

pubblicato sul Giornale di Vicenza il 18.12.01

(Una ricerca fatta nel 2001 in occasione della nascita dell'EURO,
a quella potete tutti dare completezza, rintracciando le origini di quei disegni )


IL PATRIMONIO A RISCHIO

editoriale del Corriere d/S/Veneto del 12.03.2005

(Un'analisi sul futuro possibile di un patrimonio raccolto nel centodiecimila (110.000) chiese distribuite in Italia e che costituiscono il più grande museo al mondo . )

ANDREA MANTEGNA

 Editoriale del Corriere d/S/Veneto del 1.09.2006

( Anno di nascita del grande artista Veneto : mistero o errore )

ETICA, MORALE E WIKILEAKS

18.12.2010

(E' scoppiato il caso di Wikileaks: un fenomeno, un problema o cosa ?? )

 

TANTE PICCOLE PATRIE PER UNA SOLA ITALIA

 Corriere d./S/Veneto del 12.08.2009

(L'autore coglie l'occasione per sottolineare la ricchezza dei tanti campanili di una Italia unita)

QUALE  ITALIANO?
Ma che lingua usano i nostri lettori radio televisivi
(tra le concause alla disaffezione dalle notizie giornalistiche, dalla politica, dalla storia ecc.)

il 12 .04.2006
rivisto il 27.07.1010


 

 

UN PONTE IN VETRO

UN PONTE IN VETRO

Quanto ci vuole per fare un ponte nuovo

Quanti ponti in cantiere nel Veneto. I ponti segnano, dai tempi di Roma fino al secolo scorso, alcune tra le più belle pagine di architettura del Veneto. Tanti i veri capolavori, frutto dell'arte civile o militare: da quello di Rialto, al Ponte di Bassano, ai bei ponti di Chioggia, al veronese Ponte Pietra, passando per Ponte S. Michele a Vicenza. 

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Quirino de Giorgio e il Genius Loci

Foto di giuseppedallamassara


                                                                                                                             
Quirino De Giorgio Architetto.
Architetto fascista ? difficile smentirlo. Ma la sua adesione alla cultura fascista nasceva senz’altro dal suo grande amore per l’Italia , che voleva vedere più bella. Il suo sogno e la sua ambizione era partecipare a quel rinnovamento, a quella rivoluzione. Il pensiero di ammodernare il territori e la città  (o paesi che fossero) era il suo pensiero dominante.
L’architettura tipicamente fascista se mai è quella fatta di assi principali, di facciate simmetriche, di cornicioni possenti, sormontati da sculture virili e simboliche, di piazze fatte per le adunate oceaniche, tutto di romana memoria, anche se nel medesimo ventennio si è dato spazio al futurismo e al razionalismo architettonico che ha espresso peraltro capolavori che si vanno oggi a riscoprire.
Quirino De Giorgio non mancò di realizzare fabbriche in linea o meglio, rispondenti ai temi ufficiali, ma il suo linguaggio architettonico più intimo, lo vedo nel suo esprimersi in forme organiche , a volte vernacolari. Il suo rapporto con il territorio , quello soprattutto padano è presente nei suoi disegni come nei suoi pensieri e a questi faccio specialmente riferimento, (che lui ad ogni occasione esprimeva sempre sotto voce, ma con ferma convinzione, e con motivate ricerche).
Le sue case , prive di cornicioni, di soli mattoni non intonacati, più ancora che a vista, sono l’espressione di De Giorgio ‘genius loci’ dell’architettura veneta della prima metà del ‘900, e più ancora dell’urbanistica veneta.



Di urbanistica infatti (a mio avviso) si dovrebbe parlare con De Giorgio.  Per lui era fondamentale il rapporto con il contesto, con l’ambiente, con le strade e i fossi esistenti o da farsi . La piazza di Vigonza non aspetta cerimonie o feste oceaniche, ma ogni sua flessuosità segue il cammino della gente, o l’andamento del fosso vero o disegnato, si piega per il piacere della forma organica, per creare giochi d’ombra, forme complesse , scorci sorpresa. E poi che dire del portico, che il monumento rifiuta, ma non la casa di campagna che invece lo cerca.


Il portico è un elemento urbanistico che De Giorgio insegue e propone sempre con l’insistenza di chi vuole fare città, fare contrada, per far comunicare la gente. Progetta portici sempre, non solo a Vigonza , per fortuna oggi vincolati, ma pure a Fontaniva e soprattutto negli anni ’60 a Camisano. Un portico possente, sostenuto dalle ali di una aquila è quello del cinema Mantegna, ma si battè perché la costruzione adiacente fosse realizzata in continuità per dare quella forma urbana che si conveniva ad un centro urbano già caratterizzato da portici che già davano quell’aria un po’ così, un pò cittadina. peraltro in sintonia con quanto disse poco prima il grande urbanista Giovanni Astengo (testimone chi scrive).
E che dire delle sue torri, come quella di Solesino, (anche se non firmata, mi risulta da lui ispirata) che certo non è la torre dell’arengario, ma piuttosto la più tipica torre civica di ‘comunale’ memoria, che fa da contrappunto al campanile così com’è nella storia d’Italia, o ancora più dolci sono le sue torri cilindriche che si rifanno chiaramente alle sue care torri di Altino  o di Caorle e non solo, sempre con l’obiettivo di creare pagine di storia urbanistica, di dare atmosfera a quel nucleo urbano.



Il mattone a vista poi altro non era che il voler dare dignità veneta alle case che ben conosceva sia se coperte da paglia com’erano i casoni o dai tetti poveri privi di cornici, com’erano tutte o quasi le case venete e di Venezia. Un mattone che sapeva e voleva legato come  Palladio e i suoi seguaci sapevano legare… senza malta .. o quasi ,  a conferma della sua piena conoscenza dell’identità del territorio.
Ancora, ….come dimenticare quel suo sogno, infranto dalla demolizione del dopoguerra, quello di lasciare alla città il grande teatro dei diecimila, ma soprattutto il suo ‘arco’ proposto nel 1938, arco che verrà riproposto per EUR 42 da Adalberto Libera nel 1940-42, e che verrà realizzato invece da Eero Saarinen (in grande) a Saint Louis nel 1948-64. Un segno, forse un sogno, tracciato nel cielo dal nostro Quirino. Non si dimentichi la passione del volo del nostro, passione che fu galeotta nell’accendere una particolare simpatia verso chi  scrive.
Sognava sì di Ricostruire e valorizzare le vecchie contrade, con la dignità dei tempi ‘moderni’ e dove anche il viale assumeva un ruolo e non da poco. La passione di De Giorgio per il Pino Marittimo o per il Pinus Pinea capace di dare disegno e monumentalità, cioè dignità alla strada, creando il viale ombroso, quasi a tunnel, senza togliere la prospettiva laterale e senza nulla togliere alle case , ma legandole invece anche se diverse una dall’altra, furono piccole battaglie, anche vinte in taluni centri del Veneto, dove ancora oggi si gode di quei viali alberati, magari dimenticando il ruolo di De Giorgio.



Se gli appassionati fotografi scoprono oggi nelle atmosfere create da De Giorgio situazioni giuste per fare ‘clic’ su effetti prospettici definiti anche sorprendenti, e che solo lo stesso De Giorgio sapeva fermare in pellicola è proprio perché le sue architetture sono pensate per esser lette dinamicamente, vuoi per un De Giorgio futurista e pilota , ma soprattutto perché di un organico per il quale la curva , il chiaroscuro, l’ombra creata dal vuoto del portico, del sottosquadro è il suo linguaggio.
La sua architettura va vista in 3D si direbbe oggi, con gli occhiali da tridimensionale e così mai sia fatta una foto in asse centrale , ma piuttosto di traverso , da terra in su e così via.
Grazie Quirino

                                                                                                                         
Alla cara Gina Tronben unita dall’amore al caro Quirino


 
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UN SOGNO PER MARGHERA

Foto di giuseppedallamassara

da Il Corriere della Sera

E´vero, a qualcuno piace ancora sognare. Si avvicina il varo della nuova Legge Urbanistica Regionale e rimane forse solo il tempo per immaginare un futuro dell´intero Nord Est affidato alla forza di un progetto, in cui le aree urbane e produttive siano in grado di soddisfare forma e funzione e il territorio sia salvaguardato e valorizzato  .Le città antiche sono una delle nostre ricchezze più sicure, mentre le periferie attendono senz´altro di essere  ridisegnate e riqualificate, almeno per rispetto verso chi le abita. Per realizzare molte buone iniziative dobbiamo ricorrere alle Leggi e ai Piani Regolatori, vista la carenza di `príncipi illuminati´ di rinascimentale memoria  Mai come ora, però, appare necessario sapersi affidare alla forza della progettualità.   La regione sta segnando il passo, anche a causa di una generale congiuntura economica. La `Fondazione Nord Est´, con il suo `Rapporto 2003´, ci ha presentato un quadro quantomai pessimistico: è da credere che il nostro modello economico sia finito o può essere il momento di rimboccarsi le maniche e dare un forte segnale di ambizioso riscatto?



La diagnosi è presto fatta, la terapia invece lontana dall´essere approntata.  
Ci giunge ancora un esempio dalla Francia, dove a Nantes maggioranza e opposizione hanno saputo immediatamente trovare, per il bene comune della città, l´accordo politico e culturale su un´idea di rilancio dell´importante area della loro `Filiera´    Molti dei progetti da mettere in campo sono di competenza della Regione e degli Enti Locali, altri sono rimessi all´interesse degli stessi imprenditori a investire e a scommettere sul loro futuro; altri ancora sono in larga parte affidati alla forza - certo non ultima - dei cittadini, chiamati a discutere e a condividere la scelta delle possibili ricette, specie quando si preannunciano amare.
Si può dunque ancora immaginare un futuro per l´intero Nord Est in cui, per esempio, le tanto agognate infrastrutture stradali e ferroviarie (siamo in corsa per il Corridoio 5, fondamentale per poterci sentire parte viva dell´Europa) seguano tracciati non più essere pensati per collegare città a città, ma piuttosto posti a margine dei centri, per poi collegarsi a questi con giusti raccordi, pensati quasi a volare sul territorio, onde intaccarne la minor parte possibile; occorre non dimenticare, peraltro, che in breve tempo quelle stesse strutture avranno fatto il loro corso, per essere quasi certamente dismesse a favore di nuove tecnologie, proprio come già in passato è accaduto, ad esempio nel caso della sopraelevata di New York. Siamo dunque già alla terza generazione dell´era industriale, ma ancora ben lontani dalla presunzione poter ritenere insuperabili le nostre soluzioni: i tempi della tecnologia sono molto più rapidi di quelli che noi impieghiamo a realizzare i nostri progetti .  



Il disegno delle città è un tema che mi è caro. Dopo aver già paragonato il Veneto al tessuto urbano di Los Angeles, insisto sulla necessità di un grande Piano Regolatore per l´intera regione.
Di Milano si possono ancora ammirare i grandi disegni a volo d´uccello - progetti d´insieme per intere aree di città - pensati già allora per un territorio che si estendeva fino ai comuni limitrofi (siamo a fine Ottocento), preliminari al Piano Regolatore cittadino e capaci di anticipare lo sviluppo della grande Milano degli anni Sessanta e successivi.   Interessante in questo senso il lavoro del Comune di Jesolo, che su quel modello sta disegnando il proprio futuro.    All´interno di un grande progetto per il Veneto è facile individuare in Venezia il suo centro simbolico, mentre nell´entroterra occorrerà che la nuova città-metropoli si dia un disegno completo, con la metropolitana di superficie, l´alta velocità, la pedemontana, il passante e quant´altro. A corona dell´agglomerato metropolitano gravitante intorno a Padova, Mestre e Trevis, saranno gli altri centri urbani, tra i quali emergeranno senza dubbio, per i ruoli già acquisiti, Trieste `porta dell´Est´, con il suo traffico marittimo, e Verona `porta dell´entroterra´, con il suo ben avviato Quadrante; a Nord, poi, il grande `giardino´ del Trentino Alto Adige, rivolto al mondo di lingua tedesca.
In un grande progetto d´area, grande importanza potrebbe assumere il futuro di Marghera, che deve essere recuperata e riqualificata proprio per salvare la stessa Venezia, prima che la `città monumento´ finisca per divenire una nuova Pompei.    Marghera è oggi una realtà di 2200 ettari di solo terreno - esclusi i canali interni -, di cui 500 sono tuttora in uso all´industria chimica: il tutto dà lavoro a circa 13000 addetti. L´industria chimica si trova al bivio se abbandonare il mercato, in mancanza di insediamenti alternativi, oppure se accettare la sfida di un aggiornamento qualitativo e tecnologico per adeguarsi agli standard ecologici, prima che la situazione diventi irreversibile. Realizzare un´opera di disinquinamento e di messa in sicurezza dell´area sembra un´operazione non solo possibile, ma soprattutto capace di integrarsi appieno in un progetto che si rivelerebbe epocale per l´intera regione. 
Se così fosse, si potrebbe immaginare una Marghera in grado di risorgere dalle proprie ceneri (la fenice potrebbe essere questa volta di buon auspicio), per dare forma a un nuovo polo, centro connettivo dell´intero Nord Est. I vecchi  stabilimenti potrebbero essere recuperati - se si vuole alla maniera della Tate Gallery di Londra - e qualche ciminiera potrebbe essere lasciata ad memoriam, per realizzare qui il grande Centro Ricerche di cui si parla (e di cui l´attuale Parco Scientifico Tecnologico VEGA potrebbe divenire il primo motore), calamita per il rientro di tanti cervelli sparsi nel mondo e desiderosi di tornare a lavorare in Italia. Da qui in poi, fantasia e imprenditorialità non potrebbero che dare spazio a un nuovo rilancio per l´intera area. La nuova città andrebbe quindi pensata come una ‘fabbrica’ per la ricerca scientifica: ma non solo, perché ci sono stimoli che potrebbero pure essere canalizzati per la promozione della moda (si pensi alle vivacissime aziende del settore) e poi per la creazione delle immagini  (qualcuno sognava una città del cinema), ma pure per lo svago e il tempo libero.
Ma, soprattutto, il mio sogno potrebbe dirsi completo con una grande sede di valore mondiale per l´arte contemporanea, senza tema di confronti con Bilbao o quant´altro.

 
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ANDREA MANTEGNA: IL GIALLO

Foto di giuseppedallamassara

“Mantegna, il giallo della nascita dietro un cinque”
Anno di nascita: mistero o errore

da Il Corriere della Sera, 2010
                                                                                                          
Quasi un 'gossip' scivolato nel tempo, il problema dell'anno di nascita di Andrea Mantegna (usualmente collocata nel 1431, mentre la morte è fissata nel 1506) esploso tempo addietro sulle pagine dei nostri giornali, dopo il ritrovamento del numero '1443', ripetuto per ben tre volte, sulla restauranda pala di
S. Zeno, capolavoro del nostro Maestro.



Da ciò, v'è chi ha voluto rapportare la data al suo donatore, l'abate Correr, e chi invece la pensa da riferirsi all'esecuzione, per opera di un Mantegna che in tal caso sarebbe però soltanto dodicenne. Il che appare implausibile per qualsiasi genio. Ricordiamo che l'unico 'certificato di nascita' (sic) di Andrea Mantenga risulta dalla trascrizione di un testo riportatoci da Bernardino Scardeone nel 1560  e  ricavato da una pala, poi perduta, della chiesa padovana di S. Sofia. Tale testo avrebbe recitato: "Andreas Mantinea Pat. an. septem et decem natus sua manu pinxit MCCCCXLVIII" (dunque, Andrea Mantegna avrebbe dipinto la tela a 17 anni, nel 1448). Ebbene, rimettere in discussione la data di nascita di Mantegna non è problema di poco conto. E non solo per motivi semplicemente anagrafici o didattici, bensì perché l'anticipazione della nascita dell'artista, sia pur di (una manciata i anni) cinque anni, significherebbe attribuire a quest'ultimo un ruolo assolutamente primario nella storia dell'arte del Rinascimento italiano.



Basti pensare che Piero della Francesca, nato tra il 1415 e il 1420, il quale ebbe la sua maturità tra i 20 e i 25 anni, resta reputato il caposaldo della pittura del Rinascimento. In mancanza di altre documentazioni e con tutte le cautele del caso, avanzo un'ipotesi basata su alcune ricostruzioni. Un mistero o più semplicemente un errore potrebbe celarsi nella trascrizione di quel Bernardino Scardeone, il quale riportava quel 'MCCCCXLVIII'? E se quel numero romano fosse stato un 'MCCCCXLIII'. Per  un 'V' in più, molte cose potrebbero tornare al loro posto. Errore, quello di trascrizione, in effetti poco scandaloso e comunque possibile, senza escludere pure che vi fosse stata una qualche malizia giocata a favore di altri artisti (per una hit parade’ del tempo, se mi si concede. Non sottovalutiamo che il mondo dell'arte, ieri come oggi, non ha mai ignorato giochi e intrallazzi per favorire alcuni o per 'bruciare' altri. D'altro canto, come obbietta Vittorio Sgarbi, ci è difficile pensare un pur bravo e promettente Andrea dodicenne incaricato di un'opera complessa e innovativa come la pala di S. Zeno (ora collocata tra il 1456 e il 1459).



Con una data di nascita anticipata di cinque anni, si avrebbe però una nuova lettura di alcune pagine della 'cronaca' di allora e così della storia dell'arte, a cominciare dall'amicizia e dall'avventurosa condivisione di giornate dell'Andrea, nato a Isola, allora nel vicariato o meglio 'Castello di Camisano', nel Vicentino orientale, ai limiti con il padovano( con Nicolò Pizolo, nato non molto lontano, a Villaganzerla di Castegnero. Lionello Puppi  la chiamò la coppia dei 'giovani leoni'. Coppia che, tra il 1445 e il 1449, arrivò al litigio per spartire  il compenso di 350 ducati frutto dei primi incarichi - come dire - 'in proprio', per conto del Donatello al Santo, dopo aver lasciato la bottega dello Squarcione.  Nel 1449 il Pizolo aveva 28 anni (nato nel '21), mentre Mantegna 18, se fosse nato nel '31, ma 23 se fosse invece nato nel 1426. Nella versione sinora ufficiale (28 anni l'uno e 18 l'altro), mi sembra difficile riconoscere due 'giovani leoni' soci di avventure e di lavoro, con età così diverse. Per la diversa età, penserei più facilmente a 'ruoli societari' - diremmo oggi - un po' diversi.
Ancora, nel 1448 (Nicolò ventisettenne e Andrea diciassettenne nel primo caso, o con 5 anni di differenza nel secondo e più realistico caso) i due presentarono il progetto per la pala plastica della Cappella Ovetari, con l'incarico comunque a nome di Nicolò Pizolo (forse per i 5 anni di differenza). Il litigio tra i due fu risolto nel 1449 con la mediazione del 'communis amicus' Piero Morosini e la consulenza dello Squarcione, padre-padrone della famosa scuola, ma che - ritengo – difficilmente avrebbe ‘perso tempo’ per un 'ragazzo di bottega' diciottenne, appena uscito dalla stessa, lì approdato nel '41, e con soli 8 anni di apprendistato, il quale nel '49 troviamo artista già autonomo e con importanti beghe da risolvere. I due 'giovani leoni' sono ancora soci nel 1450, con altri compagni come Giovanni d'Alemagna e lo stesso Antonio Vivarini. Cooperazione abbastanza realistica, se si immaginano entrambi nel pieno della prima maturità. Da non dimenticare che tra i tanti ex ragazzi di bottega dello Squarciane si crearono vari gruppi di lavoro: oltre che con Nicolò Pizolo, Andrea lavorò pure con Bono da Ferrara, Ansuino da Forlì e altri.



Amici e colleghi, quindi, e più o meno coetanei, pieni di nuove ambizioni, velleità e con tanti progetti innovativi: anche nel 1453 (come racconta E. Rigoni nel 1928), proprio l'anno in cui il Pizol muore ucciso in una lite tra compari. Poco dopo, nel 1459, Mantegna, comunque maturo, lasciò Padova come artista stimato, richiesto e pagato, per andare alla corte dei Gonzaga a Mantova, ove avrebbe realizzato altre nuove e grandiose imprese. Il resto è storia, quella che vedremo senz'altro nella grande mostra che aprirà a settembre.

 
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LE BASILICHE DEL COMMERCIO

Foto di giuseppedallamassara

LA GALLERIA IN CITTA’
dal Corriere della Sera
 


A Castelfranco come ad Adria dalle vie centrali si staccano belle gallerie coperte che nobilitano e danno spazi vitali ai già vivaci centri storici A Legnago il riassetto del centro ha creato le premesse per divenire uno tra i più attivi centri commerciali urbani. Quanto basta per intravedere una inversione di tendenza nell’uso dei vecchi centri storici. Il ‘volto di città’ posto nella civica piazza, era il luogo dell’incontro per eccellenza nelle città medioevali che poi divenne loggia: cuore della città, mercato e luogo dell’incontro. Negli angoli, le panche invitavano non solo alla sosta. A Firenze, nella piazza della Loggia si prese partito per Ghiberti o per Brunelleschi per affidare i lavori della cupola del Duomo, pur continuando a vendere e comprare, come ancora si fa sotto i ‘saloni’ di Padova, di Treviso, di Vicenza. Nel XV secolo nelle città italiane nacquero i portici, come ampliamento delle case sulla via e lì fu una bottega dopo l’altra. Operazione voluta, proprio per dare nuova immagine e nuova funzionalità alla città, a Bologna, come a Padova.



Alcuni comuni arrivarono a porre il ‘portico’ quale condizione per ottenere l’accesso alla nobiltà.
Infatti oltre alle condizioni di alta moralità, di fedeltà, di possesso di cavalli e stallieri, e potere economico, l’ambizioso cittadino doveva possedere ‘casa con portico’. Evidente strategia pianificatoria urbanistica.
Come a dire che le nostre città nel ‘700-’800 erano già ben ricche di percorsi coperti, di alto valore urbano, estetico e funzionale, quando a Parigi nel 1786 proprio a ‘Palais Royal’, per riparare il re da alcuni lavori, fu realizzata in legno la ‘gallerie de bois’, sostituita nel ‘92 da una in vetro: la ‘gallerie vitree’ appunto. Dopo fu la ‘gallerie d’Orleans’: era il 1828, ed era nato un nuovo spazio commerciale coperto. Coperto da un tetto tutto in vetro, e fu la moda. Insomma pezzi di città che diventarono ‘centri commerciali’ o meglio centri commerciali nel cuore della città.
E’ a Trieste il primo progetto di galleria in Italia, del 1832 per la Galleria Tergesteo. Trieste alla fine ‘700 scelse di diventare porto franco e grande città, catturando l’attenzione internazionale, (come San Pietroburgo) con disegni e ambizioni neoclassiche, cioè moderne, anzi modernissime, attirando a Trieste, città cosmopolita e multietnica, denaro e cultura come il miliardario Carciotti, il padovano Nicola Bottacin, Massimiliano d’Austria, e poi Winckelmann, e Joyce, e Nievo e tanti altri.
Galleria Tergesteo, Trieste

La ‘Galleria Vittorio’ di Milano arrivò nel 1877 , simbolo delle ambizioni milanesi realizzate con caparbietà come la metropolitana disegnata nel 1880 e realizzata solo nel 1960. Cos’altro sono gli attuali centri commerciali, se non imitazioni delle gallerie ottocentesche, ma privi di quella classe e di quelle atmosfere, favoriti solo dalla loro accessibilità, dalla viabilità e dai parcheggi. Allora perché mai il Veneto, con penuria di territorio, incapace di reperire spazio per le necessarie strade e ferrovie, può lasciare costruire ancora, senza migliore motivazione, tanti invasivi e congestionanti nuovi ‘mall’ o ipermercati, (che tentano di fare il verso ai vecchi centri urbani (vedi Serravalle)) e rinunciare ad un patrimonio urbano e commerciale già esistente, ricco di valori storici, artistici e culturali, solo per non saper realizzare in maniera funzionale e sostenibile quella serie di servizi, fatti di accessi e parcheggi, magari sotterranei, come sanno fare altre città monumentali quale Avignone, che il ‘parking’ ce l’ha sotto la ‘piazza dei Papi’ .

Galleria Vittorio Emanuele, Milano

 
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LUCIO DALLA: un ricordo

Foto di giuseppedallamassara



A Milano era una mostra nel 1988 dedicata a Tano Festa,  in spazio industriale quando giusto all’ingrasso fu bello incontrare un curioso Lucio Dalla. Curioso è il primo aggettivo che mi venne e che mi ritorna alla mente, perché quei suoi occhietti manifestavano ad ogni occhiata tanta curiosità, oltre che tanta disponibilità. Il saluto fu d’obbligo e un piacere. Non una parola fu fatta in onore al suo successo di cantante e di personaggio, ma ogni attenzione fu per l’autore di quei quadri carichi di luce di colore e di creatività.
Infatti passando in rassegna le opere di Tano Festa, uno dei ragazzi di Piazza del Popolo assieme a Mario Schifano ecc. la chiacchierata fu concentrata solamente sull’arte, la musica non era in gioco.



A Bologna in zona S. Stefano (sette chiese)  Dalla aveva  già attiva da tempo la sua galleria laboratorio per sé e per amici e per promuovere l’arte contemporanea.
Passarono alcuni anni quando a Palazzo dei Carraresi di Treviso dal 23 ottobre 2008  fu Antonio Canal detto il Canaletto a creare evento  a cura di Andrea Brunello.
Fu in realtà un grande evento, dove le grandi tele mostravano la grande capacità di dipingere grandi prospettive del grande pittore, anche con l’uso della (grande) macchina oscura . in quel settecento erano ancora grandi artisti che si dovevano infilare sotto quei grandi teli per disegnare quelle grandi prospettive  veneziane che andranno a ruba dell'’ambasciatore Smith per giungere a Londra in Palazzo reale.
Ma era anche l’occasione per cogliere che quello che era facile cogliere di appariscente in quelle grandi dimensioni la bellezza di quell’arte era nelle cose piccole che Canaletto dipingeva, le sue tele non vanno evidentemente guardate da qualche passo di lontananza, ma piuttosto col naso sulla tela per leggere quei minimi dettagli delle conversazioni dei capannelli, dei cani, e di ogni passante colto proprio con uno scatto fotografico e dove era lecito interferire nella loro privacy e cogliere l’argomento delle ‘ciacole venesiane’.
Ero forse giunto alla terza tela quando trovai al mio fianco Lucio Dalla “ Chi si rivede?! .. che piacere “
Al suo pungente sguardo  interrogativo mi affrettai subito a dire “ Alla mostra milanese di Tano Festa ! “
“ Ah si ricordo .. cosa ti sembra .. Cosa mi dici?! “  . ricordo di aver aperto con motivati elogi all’allestimento di Brunello e anche a quel minuto spazio dei Carraresi , pere lo più denigrato, ma che anche in questo caso ne usciva vincente esaltando le grandi dimensioni  delle opere che così saremmo stati ‘costretti’ ad apprezzare da vicino, come stavo giusto apprezzando dalla prima opera  sottolineando come le grandi opere si apprezzano di più nel piccolo “ come a dire che i veri gioielli sono sempre negli scrigni piccoli.  
Lucio convenne e quasi mi invitò a proseguire , così ché posi l’attenzione non più alle solite già apprezzate architetture, ben ricostruite come ben sappiamo (camera oscura)  ma indicando con maggior attenzione le cose piccole citate nelle tele, cioè le figure, anzi le figurine piccole , quanto leggibilissime. Quei capannelli di persone con cagnolino ai piedi e la signora con ventaglio, ognuna raccontavano a noi parole e pensieri, vuoi per l’atteggiamento per il gesto e per la reazione dei compagni di ‘ciacole’ . Si potevano i labiali e cogliere gli argomenti. Troppo facili erano i gesti di cani e di gatti a inseguire i colombi o fare i loro bisogni.
Questa era la Venezia da leggere dipinta dal Canaletto. Lucio era preso da tutto questo e volle fare l’intero percorso con me, sempre scortato a giusta distanza da un suo caro amico.
Il 28 gennaio del 2011 sono a Bologna per l’inaugurazione dei lavori di restauro e riapertura del grande museo  di Palazzo Fava. Un palazzo che sarebbe tornato a vivere e non solo dare spazio ad una galleria- quadreria, ma mostrare al pubblico come era vissuto un palazzo di quel tono e di quella ricchezza dove il Correggio dava lustro quanto basta da soffitti e pareti, quasi una pioggia di beltade italica, tutto a cura di quel Philippe Daverio sempre più vincente nel raccontare e mostrare i fascini di casa nostra.
Daverio  incontrato all’angolo con Via Indipendenza mi prende sottobraccio e così lo accompagno direttamente verso i saloni della festa .
Padrona di casa era la Commissario Sig.ra e il presidente di Caribo, ma il grande piacere fu vedere il bravo Lucio Dalla avvicinarmi e chiedere  “ Cosa mi racconti questa volta  ?  “ furono chiacchere banali quanto piacevoli specie per il suo tono semplice, per la sua disponibilità, anzi per la sua sempre grande curiosità.

 
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Teatro comunale Città di Vicenza

Nella primavera del 1978 l'imprenditore Gaetano Ingui rilanciò il dibattito sul teatro offrendo alla città una struttura "chiavi in mano" in cambio della realizzazione di un complesso commerciale-direzionale più albergo nell'area dell'ex Verdi. Il Comune prese tempo e bandì un altro concorso di idee. Fra i progetti spiccava quello del brasiliano Oscar Niemeyer, che prevedeva la costruzione di due torri cilindriche bianche in Campo Marzo; quello dei fratelli Dalla Massara, che disegnarono un complesso polifunzionale comprendente il teatro. Anche questo concorso tuttavia non ebbe esiti esecutivi. Sembra doveroso aggiungere che il progetto Niemayer non poteva essere realizzato perché proposto in area vincolata dal 1450 dalla famiglia Valmarana. come confermato dalle Sovrintendenze anche recenti. Il progetto dalla Massara era l'unico tra tutti i presentati: 'realizzabile'. Lo si costruiva infatti sulle orme del precedente Teatro Verdi e dove prima ancora era la vecchia Cavallerizza. Il progetto è ben illustrato nel bel volume di Antonio Di Lorenzo dal titolo "L'altalena dei sogni" , I 36 progetti per Vicenza. in questo si fa riferimento anche al Museo di Bilbao di F O Gehry , che però è del 1997.

https://it.wikipedia.org/wiki/Teatro_comunale_Citt%C3%A0_di_Vicenza

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thank you
Inviato da: en güzel oyunlar
il 05/12/2016 alle 00:37
 
Renzi:(
Inviato da: çok güzel oyunlar
il 05/12/2016 alle 00:36
 
Ottimo post. complimenti da Artecreo
Inviato da: minarossi82
il 11/11/2016 alle 18:30
 
articolo veramente ben scritto. I miei complimenti da lumaca
Inviato da: diletta.castelli
il 23/10/2016 alle 15:39
 
il tuo blog è veramente fatto bene complimenti. A presto...
Inviato da: sexydamilleeunanotte
il 05/10/2016 alle 16:26
 
 

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