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Post n°5 pubblicato il 12 Febbraio 2008 da POLIKORE
 

          

“DEFICIT DI DEMOCRAZIA”

IL FENOMENO DELL’ASSENTEISMO  POLITICO FEMMINILE

                               tratto dal libro di Cinzia Maria Rossi

Il tema dell’assenteismo politico femminile italiano è UN ARGOMENTO SCOMODO . L' interesse di conoscerne i perchè nasce da un mio lavoro precedente: la Tesi di Laurea su Filomena Delli Castelli,  l’unica donna  abruzzese che ha  fatto  parte  della Costituente ed ha ricoperto l’incarico parlamentare per due legislature. - Filomena Delli Castelli  nasce a Città Sant’Angelo nel 1916, (quando la Provincia di Pescara non era ancora stata creata), da una famiglia cattolica di sani principi morali. La sua attività politica nella Democrazia Cristiana iniziò nel 1944 quando, dopo essersi laureata  alla Cattolica di Milano ed insegnato in varie scuole del nord Italia, rientrò in Abruzzo per  organizzare la  DC. Nel 1946,  venne eletta alla Costituente dai suoi stessi conterranei,  diventò Sindaco di Montesilvano (Pescara) e parlamentare.  Dal 1955, si interessò, tra le altre cose, del settore cinematografico per ragazzi  alla  RAI,  per esempio con   la trasmissione del Maestro Manzi ”Non è mai troppo tardi”, dove l’impegno era quello di cercare di favorire l’alfabetizzazione e di utilizzare la televisione come  mezzo di comunicazione e diffusione  culturale (58% delle donne era analfabeta). La sua attenzione era rivolta soprattutto alla ricostruzione materiale ed alla rinascita morale dell’Abruzzo  del primo dopo guerra.) La sua vita  e la sua vicenda politica le ho meglio narrate nel libro "Filomena delli Castelli una donna abruzzese alla Costituente italiana...."Edigrafital 2004. 

 Il primo dopoguerra è il  periodo della storia italiana più interessante in quanto  ritengo che il ruolo politico svolto dalle Costituenti, oltre ad aver tracciato i lineamenti sociali e politici della donna italiana, sia stato determinante nel fissare,  attraverso il contributo da esse fornito all’elaborazione del testo costituzionale, i principi di garanzia e tutela della condizione femminile.  Lo studio di quel momento , riletto e confrontato con l’attuale , potrebbe essere di grande utilità per comprendere le ragioni dell’assenteismo politico femminile e nello stesso tempo  essere di aiuto a quelle donne che sono in cerca di un ideale per poter intraprendere l’attività politica.   Molto probabilmente se non ci fosse stata la presenza femminile, la Costituzione e i relativi articoli che fanno riferimento alla condizione della donna, avrebbero avuto una formulazione differente.

Magari gli estensori della Carta non avrebbero tenuto nella stessa considerazione il ruolo assunto dalla donna all’interno del nuovo contesto democratico, soprattutto per  il modo peculiare di affrontare  i problemi,  totalmente diverso da quello maschile.

  deficit di democrazia  

II  fenomeno della scarsa rappresentanza politica femminile, pur non essendo tipicamente italiano, assume toni particolarmente vistosi nel nostro Paese, dove le donne, dall’acquisizione del diritto di voto, hanno incontrato notevoli difficoltà nell’accesso alle cariche elettive: dal 1948 ad oggi, infatti, la presenza femminile all’interno delle istituzioni parlamentari si è aggirata intorno alla bassa percentuale del 7%, raggiungendo il suo minimo storico nelle elezioni politiche svoltesi nel 1968 (V legislatura- 2,8%). Nel 1986 una trasmissione televisiva curata da Rossana Rossanda e un inserto pubblicato dal Manifesto il 26 giugno  dal titolo “1946-1986. Donne il voto ingrato” in occasione del quarantesimo anniversario del voto alle donne, facevano balzare in primo piano questo fatto, denunciandolo come scandaloso. Pur costituendo più della metà dell’elettorato, dato che sono il 52% della popolazione, le donne italiane «vengono rappresentate, anche nei casi più felici sia nei commerci sociali che nei commerci politici con percentuali sempre di molto inferiori al 50%». Il tasso di femminilizzazione politica in Italia è basso a tutti i livelli: varia dal 10,1% in Parlamento al 14,6% nelle amministrazioni locali fino ad arrivare all’11,5% nelle elezioni al Parlamento europeo. Attualmente il Parlamento italiano è composto al 90% da uomini, in quanto alla Camera la percentuale di donne è del 11,3% -71 donne- e al Senato del 7,9% -25 donne-. In seguito alle ultime consultazioni elettorali, quindi, l’Italia occupa l’ultimo posto in Europa ed il 65° nell’elenco mondiale tra i parlamenti con maggiore presenza femminile,  tra cui spicca la Svezia con il 42% di rappresentanti donne.

 C’è chi ha ricondotto le ragioni della scarsa presenza femminile all’interno delle istituzioni politiche alle caratteristiche genetiche delle stesse istituzioni: la studiosa americana  Joni Lovenduski, per esempio, ha sottolineato infatti come le stesse istituzioni parlamentari siano di “segno” maschile in quanto disegnate e progettate secondo una prospettiva che non si è posta il problema di esplicitare l’esclusione delle donne per il semplice motivo che non si credeva che le stesse vi sarebbero mai approdate. Inoltre, secondo la studiosa, le donne stesse hanno commesso un errore gravissimo  nel credere che ottenere i diritti politici sarebbe equivalso a conquistare, automaticamente, la rappresentanza politica. I processi e i meccanismi che favoriscono la rappresentanza politica, sottolinea ancora la Lovenduski, si svolgono invece soprattutto all’interno dei partiti politici, che sono il canale obbligato da seguire per chi miri al raggiungimento di una carica elettiva. Per questo motivo, dunque, si tratta di indirizzare tutte le energie e tutti gli sforzi per imparare, usare e cambiare le regole (l’autrice parla appunto di una vera e propria strategia, la “strategia delle regole”), cioè quell’insieme di norme formali e informali, di convenzioni e usanze che regolano il funzionamento dei partiti politici, delle assemblee legislative e dei sistemi politici. Inoltre, conclude la studiosa, le donne potrebbero puntare su una caratteristica che potrebbe portare loro un grande vantaggio: in un periodo in cui sono molto frequenti le crisi istituzionali, la loro caratteristica di outsiders, cioè di elementi estranei al mondo politico, è una carta che gioca a loro favore, in quanto generalmente non vengono associate a pratiche di corruzione. Tuttavia, conclude la Lovenduski, permangono gli ostacoli che impediscono il loro accesso alla sfera politica e che possono essere ricondotti alle  idee tradizionali sui ruoli dei sessi, alla scarsità di risorse, soprattutto economiche,  e alla minore visibilità e al minor inserimento delle donne all’interno della sfera pubblica rispetto agli uomini.

I tentativi messi in atto al fine di stabilire un riequilibrio o sarebbe meglio dire un equilibrio di rappresentanza, sono stati vari, all’interno dei diversi  Paesi europei. Tra questi possiamo ricordare, in particolare, i tentativi legislativi di riequilibrio numerico della rappresentanza, cioè le quote, introdotte negli anni Settanta dai partiti politici dei paesi nordici, inizialmente dai partiti di sinistra e in seguito sia da quelli di centro che da quelli di destra. Le quote rientrano nel vasto campo delle politiche di pari opportunità, o di azione positiva, attuate al fine di favorire un gruppo sociale svantaggiato. Il campo delle quote è un campo in cui i partiti politici dimostrano di essere più avanti dei politologi; tale avanzamento si spiega con quella che può definirsi una “strategia elettorale”: anche se gli stessi politici rimangono  «fortemente divisi sui provvedimenti specifici da appoggiare, assumono un blando atteggiamento di rammarico per il numero esiguo di donne elette» e, inoltre, a causa della concorrenza tra partiti e delle imprevedibili scelte dell’elettorato, «non possono permettersi di sminuire d’importanza questioni che i concorrenti potrebbero sfruttare a fini elettorali».

In Italia il dibattito relativo all’adozione delle quote, emerso  negli anni Novanta, è stato favorito dal crollo delle presenze femminili registrato nelle consultazioni elettorali del 1996, e dal confronto con l’affermazione femminile avvenuta in Francia e in Gran Bretagna, che ha spinto,  ad una riflessione e ad una messa a fuoco del problema. Inoltre, la nascita di alcune associazioni, come la Emily’s List, impegnata a sostenere politicamente e finanziariamente le candidature femminili, ha favorito un tentativo  di imitazione che, purtroppo, non ha registrato lo stesso successo riportato in Inghilterra. La politologa Giovanna Zincone, alcuni anni fa,  notava  come non solo nelle fasi di regresso, ma anche in quelle in cui la democrazia sembra progredire, si assiste ad un arretramento che riguarda solo i diritti delle cittadine; per descrivere questa situazione la Zincone  usava un’espressione molto efficace, parlando, infatti, di “democrazia del granchio”. Questo fenomeno, continuava la studiosa, si verifica, con modalità diverse, in alcuni modelli di democrazia, in cui «la pratica ed il ruolo delle donne sono svalutati», poiché non si considera quella di genere come «un’appartenenza politicamente cruciale». Quello che manca, continuava l’autrice, non sono gli strumenti tecnici da adottare per fare in modo che le donne siano rappresentate a livello politico, ma «la convinzione che il riequilibrio della rappresentanza debba costituire un obiettivo pubblico desiderabile perché si inserisce in una strategia di conquista di dignità». Infine, concludeva la Zincone, è necessaria «una cultura civica che riconosce il ruolo politico delle donne», poiché è questo, affermava amaramente la studiosa, il reale elemento negativo, «la variabile che meno di tutte si può modificare per decreto». 

 La causa principale della scarsa presenza femminile all’interno delle istituzioni politiche italiane può ricondursi alla minore partecipazione politica in generale, che vede tra le ragioni di un tale calo la crisi dei tradizionali soggetti politici quali i partiti, in seguito alla fine dei partiti ideologici, e una maggiore personalizzazione politica.

I politologi e le politologhe italiane concordano nel ritenere lo strumento delle quote inadatto e soprattutto non efficace ai fini di un riequilibrio della rappresentanza. Ciò che è emerso nel dibattito italiano è una questione che precede le quote, e che si interroga non tanto sulla scarsa rappresentanza femminile, quanto sul fatto che il problema della scarsa rappresentanza femminile italiana non è una questione di donne, o solo una questione di donne, ma il campanello d’allarme della qualità del sistema democratico nel suo complesso. Le donne, infatti, vengono maggiormente discriminate non nel settore rappresentato dall’insieme dei diritti potestativi o “diritti di”, ma in quello dei diritti-aspettativa o “diritti a”, «quali sono, in particolare, il diritto al lavoro, i diritti politici di elettorato passivo, i diritti di accesso e di carriera nei pubblici uffici». Con un’espressione incisiva ed efficace quello italiano è stato definito un sistema politico “fortemente gerontocratico”, «territorio esclusivo di un’élite di maschi maturi, ben consolidati e gratificati in posizioni, carriere, meccanismi cumulativi di riconoscimento», caratterizzato da regole ferree ed escludenti che quasi sempre «comportano rituali violenti, perché è in gioco la propria sopravvivenza nel ruolo». A proposito M. Rodano ha affermato: «[…] parliamoci chiaro: per dare più posto alle donne bisogna levarne agli uomini, è un dato oggettivo e naturalmente tutti quelli che sono in qualche modo insediati il posto non lo lasciano». Da un lato, si sostiene, bisogna analizzare i metodi usati dalle donne nell’accesso alla sfera politica e stabilire se si tratta di metodi adeguati e, dall’altro, la concreta applicabilità di un meccanismo  come le quote all’interno del sistema politico  italiano. Le quote dovrebbero, per essere efficaci in una rappresentanza democratica, rappresentare non un punto di partenza, ma d’arrivo: sancire cioè, un obiettivo politico raggiunto, la traslazione quantitativa della capacità delle donne di rendersi  visibili, attraverso l’uso di strategie volte ad affrontare in senso lato i problemi politici generali, non i problemi politici di genere. Tra le iniziative adottate in Italia al fine di veder realizzato il riequilibrio della rappresentanza tra i sessi possiamo ricordare l’approvazione di leggi che impongono ai partiti politici di destinare il 5% delle quote loro rimborsate per le spese elettorali in delle iniziative volte a favorire la partecipazione attiva delle donne alla vita politica, le modifiche di parti di articoli costituzionali –il 7° comma dell’articolo 117- le riforme degli statuti delle 5 regioni a statuto speciale e, in particolare, la riforma dell’articolo 51 della Costituzione. Le pari opportunità sono diventate norma costituzionale: la riforma dell’articolo 51, seppure nella formulazione generica di promozione delle pari opportunità, si prefigge di colmare una lacuna costituzionale soprattutto nel settore della rappresentanza politica.

Il ruolo politico svolto dalle Costituenti, attraverso l’applicazione della linea unitaria femminile,  si è svolto principalmente in due settori, nei quali ha tentato con forza di imporsi: la rivendicazione dei diritti (in primo luogo quello al lavoro) e la acquisizione di spazi politici autonomi entro cui tutelarli.

Questa linea unitaria femminile si è esplicata in modo particolare  nella formulazione degli articoli 3, 29, 37, 48 e 51, che rappresentano la mappa costituzionale della promozione socio-giuridica della donna italiana  e per l’affermazione dei diritti prettamente femminili; il  lavoro delle Costituenti, ha istituito la piattaforma su cui, negli anni successivi, anche se in modo lento e graduale, si è sviluppata quella sfera della “politica delle donne” che (1960/1970) ha portato alla promulgazione di leggi a modifica della normativa allora vigente sulla condizione  femminile. 

 Credo che conoscendo meglio la storia dell'emancipazione femminile ,  la donna di oggi possa individuare  un eventuale ideale comune che la possa portare   alla partecipazione politica.Tale scelta non deve escludere  gli uomini , ma cercarne la collaborazione su progetti  utili al progresso materiale e morale  dei cittadini, sulla promozione sociale , in sostanza che gli sforzi siano diretti al bene comune e poi  proporrei il finanziamento pubblico diretto ai candidati, non già ai partiti.....

CinziaMaria Rossi

 

 

 

 

 

 

 

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