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« RETI AMICHELA CASA E' UN VAMPIRO »

EDUCARE CON PAZIENZA

Post n°40 pubblicato il 16 Luglio 2008 da POLIKORE
 

Quando i bimbi piangono c'è un motivo. Sempre.
Anche quando apparentemente non c'è. L'esperto dice che definire questi
comportamenti come capricci è un alibi per gli adulti. La soluzione? Il
gioco



Quando un bimbo piagnucola
senza un'apparente ragione noi adulti siamo nella maggior parte dei
casi portati a pensare che stia facendo i capricci. L'esperto lancia un
segnale ai genitori: troppo spesso, spiega Pierluigi Lando,
neuropsichiatria infantile classe 1930, "comportamenti disturbati e
disturbanti dei bambini vengono etichettati a torto come capricci". In
una società non certo fatta per i bambini (persino le nostre case,
spiega Lando, sono un ambiente inadatto per crescere) i genitori spesso
impongono comportamenti, piuttosto che spiegarli e far sì che i figli
li accettino. Considerare i rifiuti da parte dei piccoli, i pianti
stizzosi, può fungere da vero e proprio alibi per intervenire
d'impulso, magari in maniera autoritaria, senza quindi cercare di
capire cosa il bambino intenda comunicare. «Sapendoli decodificare come
messaggi - spiega il dottor Lando - invece, gioverà all'educazione del
bambino, evitando un'escalation di controproducenti e frustranti
interventi autoritari».

Dottore, lei esclude quindi che i piccoli possano fare ricatti affettivi ai genitori?
Quando
non si tratti di messaggi per bisogni fisiologici (sete, fame, sonno,
bisogno di essere cambiato...), "le bizze" possono essere indicative
che si sia già instaurato un regime di potere che alimenta un braccio
di ferro tra la volontà allo stato nascente del piccolo con quella dei
grandi. Si dà per scontato che il bimbo debba soltanto ubbidire e
seguire le direttive indiscutibili degli educatori, ma non si tiene
conto che il prepotere provoca il contropotere. Una specie di
dichiarazione di guerra di solito razionalizzata dalla "pezza di
sostegno" che il piccolo debba apprendere regole per poter vivere e
convivere nella nostra società.

Certo, ma nella quotidianità spesso diventa necessario che un bambino ubbidisca ai genitori. O no?
Intanto,
si deve ricordare che, sin dal secondo anno di vita, il bambino è
naturalmente portato a confrontare la propria volontà con quella degli
adulti opponendosi: è la fase conosciuta in psicologia dell'età
evolutiva appunto come fase dell'opposizione, funzionale alla nascita e
sviluppo dell'Io, alla lotta per l'identità. Perciò di fondamentale
importanza per un valido sviluppo della personalità. In linea di
massima, un educatore, quando non trova altro modo di relazionarsi con
l'educando o con i cittadini e ricorre a misure autoritariamente troppo
repressive, si dovrebbe chiedere cosa avrà sbagliato nell'impostare il
metodo educativo adottato.

E i bambini, anche quelli piccoli, capiscono?

I
bambini hanno una sensibilità speciale, si dice che hanno il radar.
Avvertono i suggerimenti genuini, comprendendo che la persona è dalla
loro parte, oppure se è animata da potere. Ecco perché è importante la
prevenzione. I genitori molto spesso sono dominati da problemi di
rivalità fraterna, vivendola non soltanto come abbandono ma anche come
tradimento. Un esempio: l'altro giorno la mia nipotina di due anni
aveva una mia agendina dove tengo tutti i numeri di telefono e
trionfalmente gridava "È mia, è mia!" e avrebbe potuto rovinarla. Le ho
detto: "Guarda che lì ci sono i numeri, con questi numeri noi chiamiamo
la nonna, papà la mamma". Se io le avessi imposto di darmi l'agendina,
probabilmente sarebbe finita molto male.

E con i bambini più grandi?
Questo
non solo con i bambini piccoli, ma anche con gli adolescenti. Andai a
parlare di droga con ragazzi delle scuole medie. Mi rifiutai di avere
un addetto alla disciplina. Poi quasi quasi me ne pentii perché era
davvero una bolgia infernale, ma mi sedetti sulla cattedra e rimasi ad
aspettare. Riuscii ad avere un atteggiamento di ascolto e alla fine
furono loro ad ascoltarmi.

Quindi la sua ricetta è la pazienza?  
Non
solo. Il rapporto tra l'educando e l'educatore va affrontato con il
gioco. Attività di gioco animate da personale qualificato andrebbero
fatte all'inizio della scuola dell'obbligo. Andare a scuola troppo
presto è controproducente. In passato ho proposto in attività
congressuali e in commissioni della Pubblica Istruzione e dell'Interno
che si posticipasse la scuola dell'obbligo a 7 anni, anticipata da un
anno intero di gioco.

Quindi è utile portarsi allo stesso livello dei bambini?
Nel
caso dell'educazione dei soggetti in età evolutiva, quando si è
impostato il rapporto contando sulla posizione "up", all'insegna del:
"superior stabat lupus, inferior agnus", capita che, prima o poi, per
esempio in occasione di un malessere del bambino, questi scopre i
genitori non più sicuri di sé, anzi in preda ad ansia, cioè se stesso
in posizione up e quelli in posizione down.

In questo caso quindi il bambino se ne approfitta…
La
scoperta di successo nel ribaltare la posizione relazionale potrà
indurre il soggetto già in svantaggio alla tendenza a riproporre i
comportamenti che gli hanno regalato i cosiddetti vantaggi secondari
ogniqualvolta voglia ottenere qualcosa negata e sarà tanto più forte e
coatta quanto più la posizione "sotto" sia stata precedentemente subita
e sofferta. Pregiudicante ipoteca per quando il piccolo diverrà, a sua
volta, genitore, educatore o, comunque, assumerà ruoli dirigenziali.

Cosa fare quindi per avere un rapporto equilibrato con i propri figli?
Pur
essendo sconsigliabile l'instaurazione di un rapporto cameratesco,
privo di autorevolezza (autorevolezza non significa farsi temere, ma
incutere fiducioso rispetto per le prestazioni accretive di un servizio
come quello autenticamente educativo: educare viene dal latino educere
e non significa inculcare), si ritiene che un rapporto
educatore/educando funzioni in modo soddisfacente se questi sente che
l'educatore è dalla sua parte. Per questo, è consigliabile che ci si
rivolga al bambino con voce sommessa, confidenziale, anche quando egli
non è ancora in grado di capire spiegazioni razionali.

Quando dire no ai bambini?
La
"capacità di dire no" viene oggi propalata come panacea.
Irresponsabilmente, giacché non si tiene conto che non saranno scarse
le probabilità che un tale messaggio venga recepito da soggetti che
hanno a fior di pelle il meccanismo della cosiddetta compulsione a
ripetere, cioè la voglia coatta di rivalsa, di ribaltare
transferalmente perfino sui figli quel che avranno subìto dai propri
genitori, magari per la nascita di un fratellino, ma anche da educatori
secondari compagni di gioco e di scuola. È auspicabile quindi che
l'espressione capricci non venga più adoperata dagli educatori o,
addirittura, bandita per sempre e da tutti.

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>> Da Napoli Romantica a... su Viva la Vida!
Ricevuto in data 18/07/08 @ 13:00
Viva la Vida!!! Blog il cui titolo trae ispirazione dall'ultimo album dei coldplay, ma con un suo...

 
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