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« L'IMPORTANZA DEGLI ASSENTI | LE ROSE DEL DESERTO » |
L’IMMIGRAZIONE COME RISORSA SOCIALE L’interesse per “ lo straniero” , per “ l’accoglimento “ dello stesso, per le Leggi che ne regolano l’ingresso in Italia , in tutte le sue forme, ( rifugiato politico, motivi di lavoro, famiglia, studio o volontariato) nasce dalla mia vicenda personale e famigliare . La storia della mia vita, infatti, mi ha portato sempre a guardare le persone di un'altra nazionalità con curiosità e benevolenza e, a causa di questa mia propensione, ho avvicinato e parlato con stranieri di diversa provenienza , per conoscerne la storia e cercare in qualche modo di alleviarne i disagi e capire i perché di una scelta così radicale. I miei nonni arrivarono in Italia negli anni trenta, a seguito della propaganda fascista che prometteva nuova vita per gli italiani di Grecia, all’epoca del “consenso” politico di cui parla Renzo De Felice nei suoi testi. Mio nonno era italiano, aveva una fiorente attività di produzione di piastrelle di ceramica in Turchia. Era un idealista e conoscitore di sette lingue, decise di abbandonare tutto e di rientrare in Italia per perorare la causa di Mussolini. Uno dei fratelli , che era missionario delle “Scuole Cristiane”, a quei tempi era rientrato dal Madagascar, per prestare la sua opera in Vaticano. Poteva dunque contare sul suo sostegno. Mia nonna era greca, di Religione cristiana ortodossa, con i figli piccoli dovette seguire il marito, vennero accolti in un campo profughi di Bari, ma poi si misero in viaggio per raggiungere la Liguria, patria natia del nonno. Decadute le promesse governative, abitarono in una caserma adibita a civile abitazione , in realtà una specie di “ghetto” e in un piccolo appartamento poi. Il nonno seguì invece altri ideali di libertà , fu imprigionato per motivi politici e morì nell’aprile del 1945 a seguito delle torture subite in carcere da parte dei nazi-fascisti , per aver nascosto e aiutato dei paracadutisti inglesi. I racconti di questa amara esperienza esistenziale hanno costellato la mia infanzia e la mia giovinezza, ma mi hanno insegnato che la libertà e la democrazia sono gli unici ideali per cui vale la pena lottare e che la conoscenza e il rispetto delle differenze culturali avvicinano le persone e i popoli: si impara più dalle differenze che dalle uguaglianze. E’ l’ignoranza che genera la diffidenza, intesa come chiusura al diverso . Non per niente la matrice etimologica della parola straniero è la stessa di “strano” “strambo”, il che fa paura , un qualcosa di diverso che entra nel mondo conosciuto , nella mente umana quest’ultima parola è sinonimo di sicuro. Mia nonna non volle mai imparare l’italiano, non veniva neanche ammessa in Chiesa, ma era molto religiosa, davanti alle sue Icone antiche ardeva sempre un lumino ed insieme dicevamo le preghiere. Non venne accolta correttamente, né dalla società né dalla comunità religiosa , rimasta presto sola, vedova con sette figli, fu vittima di dispetti e di emarginazione, di contro fu appagata in seguito, dalla loro riuscita sociale e lavorativa. In casa sua, pero’, c’era sempre qualche ospite, parenti o amici , insomma qualcuno che veniva da lontano e portava notizie del mondo. Nel 1986 fui tra le prime a vincere il concorso come Agente della Polizia di Stato, a parità di stipendio, lavoro e carriera degli uomini. La scelta della mia attività lavorativa , per quei tempi anti-conformista, fu senz’altro dovuta al mio vissuto e al mio desiderio di aiutare e di collaborare con la gente: indossare quella Divisa doveva significare che lo Stato era garante dell’accoglienza , che era vicino alla gente, che l’Uniforme non doveva spaventare e allontanare, ma avvicinare. Dall’incontro poi con Ghita, una ragazza nigeriana conosciuta per caso al mare, e dal racconto della sua esperienza, ho conosciuto un altro mondo fatto di emarginazione e sfruttamento, non le dissi subito il lavoro che facevo, perché ero cosciente del fatto che non sempre la “Divisa” è il mezzo per proporre fiducia. Il Poliziotto applica le Leggi , non è tenuto a dare appoggio fuori dalla legalità, è obbligato a denunciare, non a trovare una soluzione al problema. Ghita infatti era fuggita dal suo paese di origine , la Nigeria, rimasta vedova con due figli piccoli , senza casa né mezzi di sussistenza. Pur avendo studiato , non riusciva a trovare lavoro , cosi’ si fece abbagliare dalle promesse di una “mediatrice” che le ritirò il passaporto, le diede i soldi per il viaggio e un indirizzo in Italia. Le avevano detto che avrebbe lavorato in una fabbrica di scarpe a Napoli , ma ben presto di accorse che invece doveva lavorare nella fabbrica… del sesso. Picchiata , umiliata e sfruttata avrebbe dovuto restituire dieci volte il suo debito iniziale contratto in Nigeria , per questo era costantemente minacciata di non rivedere più i suoi bambini né i suoi parenti, soprattutto l’anziana madre. Ghita, con l’aiuto di persone oneste , di italiani che credono nell’accoglienza, ha trovato il coraggio di ribellarsi ai suoi aguzzini , ha cambiato città, ha preso la patente e un’automobile, ha lavorato come venditrice ambulante , badante, colf ,mediatrice culturale ed è riuscita a far tornare i figli dal suo Paese. Adesso lavora per una cooperativa che aiuta le ragazze sfruttate a liberarsi dal giogo della prostituzione e a reinserirsi nella società. Una storia emblematica, soprattutto perché Ghita ora è felice e realizzata si è risposata, con il marito sono responsabili di una Chiesa Cristiana Evangelica , ha avuto un altro bambino, nato in Italia, e ogni tanto mi telefona per dirmi …grazie. Secondo lei l’incontro con me le ha dato il coraggio di andare avanti: “….il fatto che una persona, una “poliziotta”, mi accogliesse in casa sua , senza conoscermi , senza sapere neanche il mio nome , mi dava fiducia e coraggio, voleva dire che valeva la pena lottare e che questi italiani mi avrebbero aiutato, che non dovevo aver paura della Polizia, che mi potevo rivolgere con fiducia alle istituzioni…” . IL MIO PENSIERO Reputo che, per la formazione e il completamento del mio pensiero sull’accoglienza, oltre alla mia esperienza personale, siano state di fondamentale importanza , le letture di: “Lettera sulla tolleranza “ di Locke e “Il razzismo spiegato a mia figlia” di Tahar Ben Jelloun . John Locke , nasce nel 1632 a Wrington , da una famiglia puritana, si laurea ad Oxford dove insegna, greco, retorica e filosofia morale , fino a che per motivi politici ripara in Olanda come profugo. E’ in questa condizione che scrive la “Epistola de tolerantia”, che esce anonima nel 1689. Fu letta in senso polemico nei confronti della politica religiosa di Luigi IVX, essa sembrò una condanna delle persecuzioni contro i cristiani appartenenti a diverse professioni di fede. In questa Lettera distingue il potere politico da quello religioso e vede la necessità della tolleranza come norma etica di una società civile, come criterio ordinatore o pacificatore di una comunità in preda al disfacimento. Tale principio viene in luce da un’analisi comparativa del concetto di Stato e di Chiesa dove analizza rigorosamente le sfere di competenza delle due entità. Ma quello che più mi ha interessato è stato il concetto di tolleranza all’interno della Chiesa stessa: “Nessuno può essere cristiano senza carità e senza quella fede che opera non già mediante la violenza , ma mediante l’amore”. La Chiesa è un’istituzione in cui ci si aggrega spontaneamente , per amore di Dio , la salvezza dell’anima dipende dalla fede individuale, che non può essere indotta da altri, tantomeno può esercitare una qualsiasi coercizione al suo interno. Unica debolezza del pensiero di Locke è il rifiuto dell’ateo, quindi pur non essendo in lui l’accettazione radicale, totale, del concetto di tolleranza, introduce il principio assoluto della libertà di coscienza. Tahar Ben Jelloun , residente da anni in Francia è poeta e scrittore, tra i suoi scritti, quasi tutti a sfondo sociale (problemi inerenti l’integrazione degli immigrati o per l’abbattimento di tabù presenti nella sua terra di origine) , emerge un piccolo libro che mi ha conquistato per la sua semplicità poiché esposto in forma di dialogo che potrebbe avvenire, in un qualsiasi momento della giornata, tra un padre ed una figlia. Scopo del colloquio è chiarire i concetti dell’ingiustizia sociale e del razzismo senza ricorrere a difficili spiegazioni concettuali teoriche o morali, ma riferendosi ad esempi tratti dal quotidiano. La lotta contro il razzismo inizia con l’educazione dei ragazzi e con l’attenzione al linguaggio, nelle scuole va insegnata l’accoglienza e il rispetto per l’altro. Il libro inizia con la domanda : “Dimmi babbo, cos’è il razzismo?” , che dà il via al confronto tra l’adulto e la ragazzina. Nel testo vengono esposti e spiegati concetti e parole , come : differenze socio-culturali, integralismo, razza umana, etnia , colonialismo,ecc. , inaspettati cenni storici, dalle guerre di religione del passato , allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti , ai massacri che si perpetrano ancora oggi nel mondo a scapito delle minoranze . PER MIGLIORARE COSA SI POTREBBE FARE? Vi è la necessità di sviluppare una strategia globale ed un insieme di regole comunitarie, allo scopo di disciplinare l’ingresso di immigrati , senza interferire con la responsabilità degli Stati membri di stabilire il numero di quelli da ammettere. Si potrebbero prendere in considerazione le proposte più rappresentative , che attualmente sono quella della Caritas e dell’ARCI. Le due pur partendo da una posizione diametralmente opposta e utilizzando un linguaggio diverso , di fatto si trovano in accordo sui punti principali , persino nella rilevazione di una carenza statistica che impedisce una corretta lettura del fenomeno e non ne rende l’analisi aderente alla realtà. Un approfondimento meritano le ragioni dell’immigrazione clandestina mettendo a confronto le attività svolte in altre Regioni italiane. Sarebbe utile effettuare una ricerca attraverso la consegna di questionari anonimi e interviste campione a stranieri residenti in Abruzzo . In linea generale è mio desiderio operare un confronto tra le proposte governative e quelle delle associazioni no-profit, allo scopo di individuare la via di mediazione tra le diverse necessità. Chissà se qualcuno riuscirà nell'intento? Io posso produrre idee, ma non ho la forza politica nè il tempo di metterle in atto, così presa da tutti i miei impegni così umani, sono occupata a vivere durante il giorno la mia vita di donna moglie, madre , lavoratrice , e di notte scrivo sul blog.... Cinzia Maria Rossi
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