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Non interrompere il percorso di legalità del Leoncavallo

Post n°39 pubblicato il 25 Settembre 2006 da romanodavide

Ancora una volta tornano i riflettori sul Leoncavallo. Questa volta grazie alla provocazione dell’assessore Sgarbi sul Leonka come “museo a cielo aperto”. Nelle intenzioni del critico l’intervento voleva essere un aiuto nei confronti dello storico centro sociale. Nei fatti, lo ha rimesso al centro del dibattito. Chi vi scrive ha avuto più occasioni di entrare in polemica con alcuni suoi rappresentanti, primo tra tutti Daniele Farina. Un anno e mezzo fa l’avevo invitato, proprio da queste colonne, ad aprire un dialogo con la Comunità Ebraica. Ero infatti preoccupato da certi toni usati dagli attivisti di via Watteau  nei confronti di Israele, e dalla loro scarsa attenzione nell’uso delle parole tendenti a banalizzare la Shoah. Alcuni loro slogan, più che di sinistra,  sembrano copiati dalla peggiore propaganda dei gruppi dell’estremismo islamico. Dopo qualche iniziale contatto, il Leonka non ha avuto probabilmente il coraggio e la forza di andare avanti nel confronto.

Nonostante questa radicale differenza di opinioni, oggi che alcuni politici mettono in dubbio l’esistenza dello storico centro sociale milanese, sento di dovermi schierare in suo favore. Credo infatti che si cerchi di sanzionarlo più per quello che ha rappresentato, che per quello che è. Per essere più chiari: se a un milanese si chiede il nome di un centro sociale, la risposta sarà senza dubbio: “Leoncavallo”. Esso quindi tende a essere legato a tutti i centri sociali milanesi, violenti e non. Così non è, anzi. Se pensiamo per esempio ai disordini provocati dai teppisti che devastarono corso Buenos Aires nella primavera scorsa, pochi sanno che il Leonka non vi ebbe – per una precisa scelta politica - alcun ruolo. Furono altri i centri sociali a contribuire a quelle violenze. E se è giusto non dimenticare quello sfregio inferto a Milano, lo è altrettanto ricordare chi con esso non ha avuto nulla a che fare. I seguaci di Daniele Farina stanno infatti rientrando da anni in un percorso di non violenza e di legalità che credo vada incoraggiato. Sono altri i centri sociali pericolosi, quelli che fanno ricorso alla più odiosa delle armi: la violenza. Sono loro – gli autori delle devastazioni di corso Buenos Aires - a dover essere richiamati e perseguiti per primi. Non vorremmo che prendersela con il Leonka servisse solo come diversivo.

Ciò detto, anche il Leoncavallo  – dopo aver abbandonato la pratica violenta – deve fare un ultimo sforzo, quello della legalità. L’occupazione dello stabile di via Watteau deve cessare. Il proprietario, il gruppo Cabassi, ha già avuto modo di dichiarare la sua disponibilità a collaborare. Le idee non mancano: ad esempio farlo diventare una specie di “ostello sociale” europeo per turisti o un centro di primo aiuto per i senza tetto. Mi rivolgo agli amici del Leonka: avete a disposizione una proprietà collaborativa, un consenso diffuso in certi ambienti e idee su cui lavorare. Avere il coraggio di accettare la sfida della legalità sarebbe il modo più intelligente di rispondere a chi vi vuole chiudere.

Fonte: Mio articolo su La Repubblica del 24 settembre

 
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