Sono "diversamente italiano" come Pap Khouma, il mio connazionale nero che ha descritto in questi giorni le sue ripetute disavventure a Milano causate dal
diverso colore della sua pelle. Contrariamente a lui però, la mia diversità è
impressa nell´anima invece che nella pelle. Sono quindi in una situazione
specularmente opposta a quella di Khouma. Spesso quando dico di essere ebreo, la gente mi chiede:"ah, pensavo fossi italiano", oppure saltano direttamente alle loro conclusioni :"quindi sei israeliano!". Come se i "veri italiani" non potessero che essere bianchi e cattolici. All´inizio, lo ammetto, la cosa mi dava fastidio. Ma poi ho capito che in grandissima parte non erano errori dovuti a cattiveria, ma a semplice ignoranza e mancanza di abitudine a trattare con identità diverse. La stessa che Khouma subisce quando non viene riconosciuto come italiano negli uffici pubblici a causa del colore della sua pelle. Se per quello, a proposito di uffici pubblici, qualche anno fa ad una
coppia di miei amici che dovevano sposarsi è capitata una situazione
tragicomica. L´impiegata del Comune, alla richiesta della coppia di svolgere un
matrimonio ebraico, si è informata per sapere se i rabbini avessero l´autorità
per farlo. Una volta ottenuta l´informazione, la signora ha chiesto quasi
arrossendo:"e come si chiama, senza offesa, il rabbino?". Per l´impiegata,
evidentemente, la sola parola "rabbino" era già di per sé una parolaccia
paragonabile ad un´offesa. Ovviamente l´episodio avrebbe potuto essere
denunciato come antisemitismo se preso sul serio, ma non è venuto in mente a nessuno di farlo, non essendoci alcuna cattiveria nell´impiegata comunale.
Esattamente come negli impiegati comunali che di fronte alla pelle nera e alla
carta d´identità di Khouma non riescono a fare a meno di chiedergli il permesso di soggiorno. Sono certo che tra qualche anno, con l´aumento degli italiani di pelle nera, almeno quel tipo di problema sarà superato. Poi, certo, ci sono i casi più odiosi, quelli di chi quando vede un nero entrare nella sua auto o avvicinarsi ad una bici lo accusa di stare per rubarli. Una paranoia che mi ricorda la parallela accusa che mi viene fatta quando emerge che mi occupo di informazione, dove c´è sempre qualcuno che salta fuori con l´accusa che io con i miei correligionari controllerei i mass media del mondo intero. Su questo, concordo con Khouma, c´è ancora molto da lavorare.
A fronte di tutte queste discriminazioni però, sarebbe ingiusto non ricordare
anche i tanti milanesi generosi, che offrono solidarietà. Come qualche mese fa, quando ho visto con i miei occhi in una pasticceria milanese un bambino
chiamare "sporco negro" un cameriere. Quest´ultimo, giustamente, si è
arrabbiato con i genitori del ragazzo che non avevano reagito adeguatamente, e nella stanza è scoppiato l´applauso di tutti i clienti a difesa del cameriere.
Non dimentichiamo insomma che Milano è anche questo, e soprattutto che i bravi milanesi - come nel caso descritto - non fanno notizia. Ma ci sono, e sono
convinto siano la grande maggioranza.
Davide Romano
Pubblicato su La Repubblica-Milano il 14 dicembre 2009
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