Beirut chiama, Milano risponde: con il dialogo. Questo vuole essere il significato della manifestazione che si terrà oggi di fronte al Consolato libanese di via Larga. Non sarà un atto di ostilità verso il Libano, anzi, vuole essere l’esatto opposto. Sarà un sit-in per il Libano. Perché si possa finalmente liberare dalle milizie Hezbollah e ottenere la piena sovranità sul proprio territorio, come auspicato anche dal nostro Presidente del Consiglio e come richiesto dalla risoluzione Onu 1559 del 2004. Nessun paese al mondo può vivere in pace in presenza di milizie armate al proprio interno, capaci perfino di iniziare una loro guerra “privata” con uno stato vicino, a dispetto dell’opinione del governo legittimamente eletto. Neppure l’Iran e la Siria, principali sponsor dei guerriglieri Hezbollah, accetterebbero mai delle milizie indipendenti a Teheran o a Damasco. La seconda richiesta dei manifestanti sarà invece l’impegno per la liberazione dei due soldati israeliani rapiti. Ma non ci saranno polemiche. L’idea di riprodurre anche in questi giorni l’eterna divisione tra filo-israeliani e filo-arabi sarebbe controproducente per tutti. Quello di oggi sarà un tentativo di dialogo con il governo del Libano da parte di un pezzo della società civile e politica milanese, Comunità ebraica in testa. Il motivo del coinvolgimento degli ebrei milanesi nella crisi israelo-libanese è particolare e si può riassumere in tre principali aspetti. Il primo è certo quello del timore per le sorti di Israele. La vicinanza a questo stato non è infatti solo politica o religiosa, molti dei membri della comunità vivono con angoscia questi giorni pensando ai propri amici o parenti che abitano lì. Basta pensare al Kibbutz di Sasa, dove vivono diversi ebrei di origine italiana, e ai momenti difficili che sta passando a causa della vicinanza al confine libanese. Il secondo aspetto per cui la comunità si sente toccata da questa crisi, è il legame affettivo esistente con il Libano. Sono infatti centinaia gli ebrei libanesi (il più noto al pubblico è certo il giornalista Gad Lerner) che hanno trovato rifugio a Milano all’inizio degli anni ’80. Tra loro è ancora palpabile il legame e la nostalgìa che tuttora provano per il paese dei cedri. C’è poi un terzo motivo per cui gli ebrei milanesi sono allarmati dalla crisi in medio oriente, ed è legato all’antisemitismo: la comunità sa che dietro a certe accuse rivolte alle operazioni militari israeliane in Libano c’è qualcosa di più della normale critica politica. Tant’è vero che a Padova sono già apparse le prime scritte antisemite, proprio sui muri della locale Comunità. Un fatto inquietante, che ha messo in pre-allarme anche l’ebraismo milanese. Un atto perpetrato da gruppi dell’estrema sinistra padovana. E dovrebbe far riflettere che proprio loro - i primi a negare qualsiasi legame tra l’eccesso di critiche verso Israele e l’antisemitismo - scelgano i luoghi dove si svolge la normale vita delle famiglie ebree per insozzarli con le loro scritte offensive. Fonte: mio articolo su La Repubblica del 18 luglio 2006
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il 11/04/2010 alle 02:30
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