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Se si vuole risolvere un problema, la prima cosa da fare è riconoscerne l’esistenza. In viale Monza e in via Padova bisogna dunque dire come stanno le cose: lo Stato ha perso il controllo del territorio. Lo dico da persona che ha abitato in quella zona fino a tre anni fa, e che ha visto a partire dagli anni ’90 un’intera zona degradarsi, anno dopo anno. Prima l’arrivo della prostituzione e dei venditori di sigarette irregolari, poi gli spacciatori di droga che da piazzale Loreto a Pasteur ormai si dividono il territorio in maniera scientifica. E’ così che una bella zona della nostra città, nonostante le proteste dei suoi abitanti, si è vista abbandonare a se stessa dalla politica. Le cause del disastro? Vanno dalla numerosa – e soprattutto rapida – immigrazione, al mancato adeguamento della presenza delle forze dell’ordine alle mutate condizioni del territorio, oltre che ai mancati investimenti nel campo dell’integrazione. Diffidate di chi cerca di dare la colpa ad uno solo di questi fattori. Per questo fanno poco sperare le idee lanciate da taluni politici che chiedono solamente più pugno duro. Mi ricordano i generali di George W. Bush che in Iraq pensavano di risolvere tutto con il solo esercito e le maniere forti. La storia ci ha mostrato come è andata a finire. E infatti gli USA hanno dovuto aspettare l’arrivo del generale Petraeus per cominciare a vincere in Iraq: la formula del generale fu quella di non limitarsi a riprendere il controllo dei territori, ma di conquistare i cuori degli abitanti costruendo infrastrutture e dialogando con la società civile. E’ quello che serve anche alla zona 2 di Milano. Solo un pazzo può pensare che ristabilire la legalità non sia utile. Ma accanto a questo è necessario ricostruire il tessuto di un territorio che si è lacerato. Mi si permetta dunque una provocazione: se si vuole tornare a governare il territorio serve una “dottrina Petraeus” anche per viale Monza. Legalità e coinvolgimento della società civile. Per farlo però, servono coraggio e fantasia. Le istituzioni devono collaborare maggiormente con le realtà civili già presenti: dalle chiese (cattoliche certo, ma anche protestanti, se si vogliono coinvolgere tutti i sudamericani) al centro islamico di viale Padova, con il quale la politica deve fare un maggiore sforzo di dialogo. I centri religiosi infatti vanno aiutati a diventare come le chiese di frontiera: dei luoghi di attrazione verso la legalità e l’integrazione. Poi servono anche iniziative non identitarie ma trasversali: penso al ritorno del maestro Abbado a Milano e immagino quello che potrebbe fare per togliere dalle mani dei giovani i coltelli e metterci uno strumento musicale, così come ha fatto il maestro Abreu in Venezuela per 250 mila giovani. Visto il punto in cui siamo arrivati, il coraggio e la fantasia non sono più un’opzione, ma un dovere.
Davide Romano
Pubblicato su La Repubblica-Milano il 17 febbraio 2010
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