Deandreando
La dimensione religiosa nelle canzoni di Fabrizio De Andrè, Ettore Cannas
Post n°129 pubblicato il 03 Dicembre 2012 da deandreando
Home Culture Cultura "Nascosto al giorno" in scena ad Asibiri. Milena Agus: "L'ho portato tra i banchi di scuola" Uno spettacolo insolito, in un luogo insolito. Asibiri diventa (anche) spazio teatrale e lo fa con una piece piccola piccola, leggera. Un racconto che arriva dal sud del mondo. Dedicato ai più distratti. A quelli che, di solito, non si sentono coinvolti. A quelli che, spesso, fanno finta di non sapere. Che tanto domani è un altro giorno. Che tanto, domani, si vedrà. Uno spettacolo che racconta la storia di un giovane pastore marocchino, che per amore lascia la sua terra, arriva in Italia, conosce umiliazioni e stenti, in una casa che non è più una casa, un lavoro che non è più un lavoro. La solita storia, appunto. Quella che ogni giorno, sulle strade, sotto i portici, lungo le spiagge della nostra città, facciamo finta di non vedere. "Nascosto al giorno" è il racconto firmato dallo scrittore e insegnante Ettore Cannas, e da cui la piece prende il nome: cinquanta minuti ad alto tasso emotivo, con un attore in scena, Gerardo Ferrara, e i paesaggi visivi e sonori rispettivamente di Giorgio e Maurizio Serra. Un monologo che punta dritta al cuore e mira a confondere le mappe emotive dei nostri pregiudizi. Con un finale a lieto fine, come nella tradizione della collana editoriale Tiligù, che pubblica il testo, e curata da Marco Alberto Desogus, ideatore dell'evento. Un libro che Milena Augus, scrittrice e collega di Ettore Cannas, ha scelto di portare sui banchi di scuola. "E' un testo che ben si adatta ai ragazzi, perché entra in empatia con le loro sensibilità. Kurdin, il giovane protagonista clandestino, che si nasconde al giorno, che abbandona il suo paese per un sogno, è una figura che non si può non amare. Un giovane uomo che sceglie le vie del cuore e che nonostante incontri un destino di sangue e vergogna, non si stanca. Di continuare ad avere fiducia in se stesso. E di nutrirsi del mondo". (Giovedì 6 dicembre, ore 19.30, Associazione Asibiri, via San Saturnino 7, regia di Stefano Melis, illustrazioni di Mario Soddu). Donatella Percivale
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Post n°126 pubblicato il 12 Giugno 2012 da deandreando
Mercoledì 20 giugno 2012, ore 21,00 |
Post n°125 pubblicato il 31 Agosto 2011 da deandreando
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Post n°124 pubblicato il 24 Aprile 2011 da deandreando
Egregio Direttore (Giornale di Sicilia), con riferimento agli articoli da Voi pubblicati concernenti le deposizioni del testimone (non imputato) luogotenente Beniamino Cannas, afferenti al processo Rostagno, a firma del giornalista Gianfranco Criscenti,vorrei poter esprimere qualche riflessione. Nel fare ciò, essendo fratello del sottufficiale in questione, consapevole di poter apparire uno scrivente di parte, voglio preliminarmente circoscrivere il perimetro comunicativo all’interno del quale intendo muovermi. A prova del fatto che ciò che scriverò non sarà strumentale (né a difesa né contro qualcuno, semmai, a favore o contro qualcosa), virgoletterò, omettendo di citare me stesso, ciò che si trova in un capitoletto dedicato al linguaggio nella duplice polarità di parola e scrittura, nel saggio, La dimensione religiosa nelle canzoni di Fabrizio De André (Segno, 2006), così da dare la possibilità di distinguere i miei pensieri pregressi, virgolettati, da quelli opportunamente formulati, sottolineati. “Ogni atto linguistico ha un duplice e inseparabile aspetto: l’esigenza di manifestare un’emozione, sentimento, pensiero e la necessità di riuscire a farci intendere dal nostro interlocutore. Può succedere allora che parole[…] che percepiamo come insufficienti, imperfette ad esprimere la realtà cui si riferiscono”, risultino “tuttavia in grado, nell’assenza di ponderazione, di emettere categorici giudizi. Si generano, così, classificazioni semplificate, stereotipi, nel tentativo di rendere più semplici le cose[…]. Da qui la necessità di definire gli usi che facciamo delle parole. R.M.Pirsig, nel suo famoso romanzo, Lo zen e l’arte della manutenzione… afferma che il giudizio è minacciato da una trappola, la trappola della logica sì-no, e Massimo Baldini, in uno studio specifico, compone un elenco costituito da 12 errori da evitare. Anche qui troviamo la grossolana applicazione della logica a due valori che è come dire se un avvenimento non è nero allora è bianco, senza possibilità di sfumature. Particolarmente attiva è la trappola rappresentata dall’impropria estrapolazione”. Dopo questa generale e sintetica premessa sul linguaggio “Vorrei introdurmi alla parola scritta, compiendo una piccola digressione: cosa c’è, da un punto di vista fenomenologico, prima della parola? La risposta immediata è niente. O, per meglio dire, il silenzio, l’assenza del suono, la pagina vuota. Allora il silenzio è lo scenario a partire dal quale la parola prende forma? Ma cosa vuol dire silenzio? Vi sono culture, filosofie e religioni che vedono il silenzio carico di Altro messaggio, non sinonimo di niente! Dio crea con la parola, essa è ordinatrice, causa ed effetto… Il silenzio, come tutta la creazione, è toccato da quella parola divenendone custode anch’esso. La parola degli uomini in quanto espressione di sé è imprecisa, precaria, epifania del nostro limite. La parola scritta, all’interno di questo quadro, sembra denunciare proprio lo scarto, la minima somiglianza e massima differenza, che intercorre fra le due parole, Divina e umana. Essa tenta di impegnarsi di più, di penetrare di più, di immergersi in quel silenzio per riportare in superficie frammenti di verità fondale. La parola, se autentica, genuina, se ha consapevolezza di sé, ha la responsabilità di ciò che produce e delle modificazioni che genera. Così il Silenzio può essere rispettato, profanato o svelato. Scrivere vuol dire essere disposti a riflettere di più, obbligati ad esprimere con determinazione e chiarezza i propri pensieri, e ciò comporta una maggiore coscienza di sé [...]. Secondo Barthes, la scrittura” mentre parla dell’oggetto, “ci parla del suo autore, dalla parola scritta potrei risalire alla mano, alla nervatura”. Stando alle parole di Roland Barthes, mi chiedo e le chiedo, una scrittura insinuante, ammiccante, che suggerisce senza esplicitare, che indica conclusioni senza analisi, che si schiera senza conoscere, di che autore ci parla? Una scrittura che esprime costernazione per qualche avvenimento non ricordato, accaduto più di vent’anni fa, senza spendere una parola sui processi intrinseci della memoria medesima (avrebbe scoperto che di straordinario è il ricordo e non il suo contrario) può essere ritenuta una scrittura imparziale, obiettiva ed equidistante? La scrittura che ricerca il vero, atto di solenne liturgia, può essere sommaria e approssimativa? Personalmente ritengo che l’umana e legittima aspirazione di trovare i colpevoli di un delitto, non debba mai cedere alla facile e diabolica deriva di accontentarsi d’indicare improbabili corresponsabili. Ringraziandola per il tempo dedicato alla lettura della presente, le auguro buone cose. Ettore Cannas |
Post n°123 pubblicato il 29 Marzo 2011 da deandreando
Amare favole di migranti
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Post n°120 pubblicato il 16 Maggio 2010 da deandreando
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Post n°113 pubblicato il 15 Luglio 2009 da deandreando
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Post n°112 pubblicato il 11 Giugno 2009 da deandreando
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Post n°109 pubblicato il 04 Marzo 2009 da deandreando
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Post n°90 pubblicato il 08 Dicembre 2008 da deandreando
Fede e sentimento di Ettore Cannas
Il titolo di questa contaminazione del pensiero che mi accingo a compiere, come fedele riproposizione dei fatti, dovrebbe essere il seguente: Tano mi ha chiesto di scrivere qualcosa su Fabrizio De Andrè. Ma potrebbe ancora continuare così: mi sono rifiutato più volte però, come in un antico canto popolare, a reiterati rifiuti reiterati inviti. Non nascondo che la decisione di scrivere sia stata dettata, almeno in parte, dalla possibilità di chiarire (a Tano) in modo formale, canonico, (lo scrivere può essere talvolta atto di solenne liturgia) il motivo del mio rifiuto. Cercherò di essere breve! Sono d'accordo con le culture, filosofie e religioni che vedono il silenzio carico di "Altro" messaggio. Altro che sinonimo di niente! Dio crea con la parola; essa è ordinatrice, causa ed effetto... il silenzio, come tutta la creazione, è toccato da quella parola divenendone custode (anch'esso). La parola degli uomini, in quanto partecipazione di sé, è imprecisa, precaria, epifania del proprio limite. (Vi risparmio il discorsetto sulla Grazia, restiamo sul piano umano-naturale). La parola scritta, all'interno di questo quadro, sembra denunciare proprio lo scarto, la "minima somiglianza e massima differenza" tra le due parole (Divina e umana). Essa tenta di impegnarsi di più, di penetrare di più, di immergersi in quel silenzio per riportare in superficie frammenti di fondale Verità. La parola se autentica, genuina, se ha consapevolezza di sé, ha la responsabilità di ciò che produce e delle modificazioni che genera. Così il silenzio può essere rispettato o offeso, profanato o svelato. Ora, non avendo nell'immediato cose importanti da dire, e non volendo impegnarmi più di tanto nell'ascolto di quel silenzio dal quale le parole (se sono vere) provengono, avevo detto: "No!" Ma... " l'amore ha l'amore come solo argomento", misteriosa propensione dell'uomo ad affezionarsi e legarsi con tutto ciò e con chi ha toccato il nostro cuore. Questa misteriosa propensione ha costituito uno dei motivi che mi hanno indotto a scegliere quale argomento della mia tesi, (in teologia) "La ricerca di Fede, il senso religioso, in Fabrizio De Andrè". Sono sicuro che è per la stessa misteriosa propensione che Tano mi ha chiesto di anticipare qualcosa del mio lavoro. Tuttavia, l'unico stralcio che ritengo si possa anticipare in quanto leggero e immediato ma soprattutto perché isolabile dal contesto, in quanto organicamente autonomo, è la breve chiacchierata che ho fatto con la Signora Enrica Rignon, prima moglie di Fabrizio De Andrè. Mi scusi, io telefono[...] avrei preparato una sorta d'intervista, alcune domande. "No guardi... un'intervista! Non ho grandi rivelazioni da fare. Tutto quello che posso dire, di Fabrizio, è ciò che lui mi diceva". Inizia a parlare ed io non la interrompo. Mi pare di cogliere un certo suo disagio alle domande come se queste avessero potuto condurla su un altro campo. Un campo diviso da un filo invisibile, impalpabile confine, aldilà del quale non è lecito sporgersi. Aldilà del quale, forse, non è rispettoso o è perfino arbitrario rispondere su questioni che non riguardano direttamente le nostre persone. "Dovrebbe rispondere lui alle sue domande" Ma erano domande che avrei voluto fare a lei non a lui. (Tace). "Con Fabrizio parlavamo di religione, di Dio quando eravamo ragazzi e non era ateo. Noi ci siamo sposati in chiesa e nostro figlio è stato battezzato. Se fosse stato ateo, lui avrebbe rifiutato tutto questo". Ho letto sul Corriere della sera una sua intervista sull'argomento: ho avuto l'impressione che alcune necessarie premesse, forse per la necessaria brevità della sintesi giornalistica, fossero sacrificate. "Ho deciso io di rilasciare quell'intervista. Dicevano che Fabrizio era ateo e quindi non capivano la decisione di celebrare la funzione in chiesa. Allora mi sono arrabbiata e ho deciso di parlare. Fabrizio non era ateo. Era piuttosto allergico al potere costituito, ma a tutti i poteri... Ma quello che posso dire io lo dicono già le sue canzoni: Si chiamava Gesù, Pregiera in gennaio, La ballata del Michè - sa perché l'ha scritta? l'ha scritta per un suo amico suicida, che non era stato ammesso alla celebrazione in chiesa. Privato dei sacramenti. Questo aveva fatto soffrire moltissimo Fabrizio. Lui diceva:- Sì, il suicidio è sbagliato, perché la vita è un bene prezioso, ma voi che fate, lo rifiutate? non lo ammettete in chiesa?. Se fosse stato ateo, non sarebbe rimasto così male. Non si sarebbe posto tutte queste domande.Poi ci siamo lasciati, ma ci siamo voluti sempre un bene enorme, però non so quale sia stata l'evoluzione del suo pensiero. Si! Era polemico con l'istituzione, forse un po' per le sue esperienze... (lascia cadere) ma c'erano delle persone (rappresentanti di quell'istituzione?) che lui stimava. Ogni tanto andava a parlare con uno... Certo per lui Cristo era un uomo, non diceva ch'era Dio ma che successivamente era divenuto Dio... Ecco, questo è tutto quello che posso dire, le domande le avrebbe dovute rivolgere a lui." Secondo me, ed è una delle premesse della mia ricerca, spesso si usa impropriamente l'espressione ateismo, e di conseguenza erroneamente si definisce qualcuno ateo: ateo non è affatto chi, come Fabrizio De Andrè, è critico verso l'istituzione e sensibile alla ricerca di un'altro linguaggio religioso... "Magari lei ha una grande fede. Anche a me piacerebbe avere una grande fede, invece ho dei dubbi! Ma non mi sento per questo atea. Come me, Fabrizio non riusciva a dare delle risposte assolute, però non credo che questo voglia dire essere atei. Per me l'ateismo è un'altra cosa, è uno che non si è mai posto il problema di Do, e di conseguenza si comporta in un certo modo. Fabrizio era di una grandissima generosità. Mi dispiace non poterla aiutare di più. Ma lei, sono sicura, ha capito." Vorrei chiudere questa mia incursione ritornando alla misteriosa propensione, all'amore, che ha l'amore come solo argomento, e vorrei farlo con una domanda. Mi sono chiesto: cos'è che mi ha fatto amare, ci ha fatto amare, quella persona? Quella voce? Parafrasando un'affermazione di Wittgenstein, di De Andrè credo si possa affermare che l'interesse per ciò che dice apra ad un interesse maggiore costituito dalla voce, dal come lo dice, che è poi tutto ciò he non dice... Noi cosa abbiamo colto di quel silenzio?
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Post n°89 pubblicato il 08 Dicembre 2008 da deandreando
di Ettore Cannas L'undici gennaio del 1999 era una giornata di vento. Di quei venti, che se non li conosci, non vale la pena parlarne.
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