Creato da decimacomandante il 28/04/2008

Decima Flottiglia...

per l' Onore d' Italia

 

 

Altre stragi ad opera della Garibaldi!

Post n°182 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

Anche se in contesti lontani dal confine orientale e senza diretto coinvolgimento di forze della Decima Flottiglia Mas... non si puo' tacere su altre eroiche imprese delle bande partigiane inquadrate nella "Garibaldi" In particolare e' nota ed altrettanto incomprensibile la conclusione con un assassino a capo di assassini che diviene parlamentare della Repubblica! 


----------


La Strage della Missione Strassera


Ancora la brigata Garibaldi!



La Strage della Missione Strassera è un episodio della guerra interna tra formazioni partigiane di diverso colore politico occorso il 26 novembre 1944 in località Portula (Vercelli).


Come in molte altre zone del nord nel periodo della resistenza 1943-1945 sulle montagne del Biellese, si combatté una doppia guerra che vide tedeschi e fascisti della Repubblica Sociale Italiana contro i partigiani, e talvolta partigiani di un colore politico combattere parallelamente contro partigiani di un altro colore politico.
1.- Il fatto

Emanuele Strassera era un agente del governo italiano (e contemporaneamente agente dell'Ufficio dei Servizi Strategici statunitense (OSS)) residente allora nel Sud liberato, sbarcato sulla costa ligure da un sommergibile USA all'inizio dell'estate 1944 ed inviato nel Nord Italia dagli angloamericani, con il compito di coordinare la lotta partigiana e riferire della situazione presente.


Strassera arruolò a questo scopo quattro partigiani. Strassera aveva il compito di consegnare un rapporto agli agenti alleati operanti in Svizzera. Al momento di portare in Svizzera le informazioni chiese aiuto alle formazioni partigiane vicine per essere scortato in Svizzera.


Nel Biellese era forte la Brigata comunista Garibaldi-Biella che comprendeva il 6° distaccamento “Pisacane” comandato da Francesco Moranino, detto “Gemisto” nato a Tollegno nel 1920. Strassera contattò Moranino per l'aiuto occorrente per arrivare in Svizzera.


L'aiuto tuttavia non arrivò mai (nonostante l'invio di un messaggio radio di missione compiuta). I 5 partigiani vennero uccisi il 26 novembre 1944 in località Portula.





Le vittime furono: Emanuele Strassera, capo missione; Gennaro Santucci, partigiano; Ezio Campasso, partigiano; Mario Francesconi, partigiano; Giovanni Scimone: partigiano.


Successivamente, il 9 gennaio 1945 vennero uccise le spose di due dei partigiani, Maria Santucci e Maria Francesconi, uccise con un colpo alla testa perché avevano iniziato ad indagare per scoprire la verità sulla sorte dei loro mariti. Gli assassini cercarono di far ricadere la responsabilità della morte delle due donne sui fascisti ed i loro rastrellamenti. Il fatto rimase per anni avvolto nel mistero.





2.- Le indagini e i colpevoli


Nel dopoguerra i familiari dei 5 partigiani fucilati e delle 2 donne uccise presentarono alle autorità delle prove frutto di loro indagini. A seguito di queste prove vennero avviate delle indagini ufficiali che orientarono le responsabilità sul partigiano Francesco Moranino, nel frattempo diventato deputato comunista.


Il Moranino fu accusato dell'eccidio dei 5 membri della "Missione Strassera", il 26 novembre 1944 in località Portula, attirandoli in un’imboscata e della sorte che il 9 gennaio 1945 toccò a due spose degli uccisi.


Il 27 gennaio 1955 la Camera dei Deputati, con maggioranza di centrodestra, votò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Moranino (allora deputato del Pci, fu la prima autorizzazione a procedere concessa dal parlamento) su richiesta della Procura di Torino; l’accusa era di omicidio plurimo aggravato e continuato ed occultamento di cadavere, ma Moranino nel frattempo si era rifugiato in Cecoslovacchia.





3.- La condanna e la grazia


Il 22 aprile 1956, il processo svoltosi a Firenze si concluse con la condanna da parte della Corte d'Assise all’ergastolo di Moranino per sette omicidi. Si legge nella sentenza:


« Perfino la scelta degli esecutori dell'eccidio venne fatta tra i più delinquenti e sanguinari della formazione. Avvenuta la fucilazione, essi si buttarono sulle vittime depredandole di quanto avevano indosso. Nel percorso di ritorno si fermarono a banchettare in un'osteria e per l'impresa compiuta ricevettero in premio del denaro. »


La sentenza di condanna all'ergastolo fu confermata dalla Corte d'Assiste d'Appello nel 1957.


Nel 1958 alcuni sospetti sullo svolgimento del processo e delle indagini, che per molti avevano come solo scopo un intento persecutorio contro il comandante partigiano, portarono il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi a commutare la pena in dieci anni di reclusione (cosa che avrebbe permesso al Moranino di rientrare in Italia).


Il 27 aprile 1965 Francesco Moranino, sempre esule a Praga, venne poi graziato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, ma rimpatriò solo quando fu ufficialmente riconosciuto che i fatti di cui era accusato erano "atti di guerra" (tra l’altro non da lui ordinati), connessi con la Guerra di Liberazione e quindi giuridicamente legittimi.


Il 19 maggio 1968, Pci e Psiup annunciarono la candidatura nel collegio senatoriale di Vercelli dell’ex deputato condannato all’ergastolo, tuttavia graziato. Il Moranino fu rieletto con 38.446 voti ed entrò nella Commissione industria e commercio del Senato.


Morì, tre anni dopo, stroncato da un infarto.

 
 
 

fonti...

Post n°181 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

Per dovere di informazione preciso che tutta la vicenda della strage di Malga Porzus e' tratta dagli articoli di di Paolo Deotto - che si possono leggere su “Storia in network

 
 
 

Porzus 8^ parte

Post n°180 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

La grazia a Giacca


Ma c'è un ultimo mistero, questo destinato a restare irrisolto.


Cosa spinse Sandro Pertini nel luglio del 78, appena eletto Presidente della Repubblica, a concedere la grazia a Giacca?


L'ex gappista, lo ricordavamo prima, aveva un pesante debito con la giustizia per reati ordinari, essendo estinte le pene per i fatti di Porzus da provvedimenti di successivi indulti e amnistie.


Il settimanale L'Espresso pubblicò, il 25 settembre 1997, un'inchiesta al proposito, ma si scontrò con una diffusa epidemia di amnesia, malattia che aveva colpito il consigliere giuridico di Pertini, il segretario generale del Quirinale, perfino il funzionario della presidenza che si occupava all'epoca proprio delle pratiche di grazia.


Quanto al guardasigilli dell'epoca, il professor Bonifacio, era già morto da diversi anni. Mistero. Tuttavia Mario Toffanin, comandante Giacca, nonostante la grazia restò in Slovenia. Forse perché la sentiva come la sua patria, forse perché temeva di fare qualche spiacevole incontro rientrando in Italia.

 
 
 

Porzus 7^ parte

Post n°179 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

Condanne, amnistie e indulti

Parimenti conobbero il carcere altri imputati minori, che nessuno si era preoccupato di far espatriare, mentre per effetto di successive amnistie e indulti le condanne all'ergastolo vennero definitivamente cancellate il 15 maggio 1973.

A questo punto Mario Toffanin avrebbe potuto tranquillamente tornare in patria; ma i suoi conti con la giustizia non si limitavano a reati politici o comunque connessi ad eventi della guerra partigiana. L'ex gappista, stabilì la Procura della Repubblica di Trieste, doveva scontare trent'anni per effetto di cumulo di pene definitive, irrogate per una serie impressionante di reati, dal sequestro di persona, alla rapina aggravata, all'estorsione, al concorso in omicidio aggravato e continuato.

E Toffanin restò in Jugoslavia, rilasciando spesso interviste in cui rivendicava la legittimità della sua azione a Porzus, volta all'eliminazione di "spie e traditori".

Le inchieste e l'interminabile processo avevano comunque lasciato irrisolto il problema centrale: chi aveva dato l'ordine dell'azione a Porzus? E l'ordine era di uccidere, o la parola liquidare andava diversamente intesa? Come dicevamo sopra, l'atteggiamento del PCI di Udine, nella persona del segretario Modesti, fu il peggiore, perché volle difendere a tutti i costi una causa persa, probabilmente temendo più gravi ripercussioni per tutto l'apparato di partito e per la stessa operatività delle brigate Garibaldi, che peraltro nulla autorizza a dire che fossero implicate coi loro comandanti nella strage. Modesti sbagliò con le sue mille reticenze, ma ebbe la dignità di farsi in silenzio anche il carcere, forse non meritato, ma subìto in nome di una disciplina di partito che si può disapprovare, ma che, laddove viene pagata di persona, è degna di rispetto.

Francamente ci appare incredibile pensare come mandanti della strage di Porzus lo stesso PCI o il comando della Garibaldi - Natisone; se esponevamo ampiamente tutti i contrasti profondi che dividevano garibaldini e osovani, non per questo crediamo che questi contrasti potessero sfociare in atti di selvaggia crudeltà, eseguiti a freddo e senza altra motivazione che l'odio ideologico. Piuttosto ci pare credibile l'opinione espressa da Alberto Buvoli, direttore dell'Istituto Friulano per la Storia del movimento di Liberazione, che in un'intervista del 30 luglio 1997 al Corriere della Sera diceva: "L'ordine di intervenire a Porzus venne dagli Sloveni. La responsabilità della federazione comunista di Udine è semmai di aver affidato il compito a Giacca, noto squilibrato, con una fedina penale già sporca. Quando Lizzero, commissario politico delle Brigate Garibaldi venne a sapere della strage, chiese che Giacca e i suoi venissero fucilati… ma Giacca era protetto dagli sloveni".

Ci permettiamo di aggiungere una notazione a quanto dichiarato da Buvoli: con ogni probabilità il comando del IX Corpus diede l'ordine dell'azione, imponendo anche che fosse compiuta dal Toffanin, che era comunque un loro uomo, da loro proveniva e da loro, non a caso, tornò. Giacca era il più qualificato per eseguire un ordine nello stile di chi, non scordiamolo, inventò le foibe come strumento di dialettica politica con gli oppositori.

A poco vale obiettare che l'irrilevante numero di osovani non avrebbe potuto costituire alcun ostacolo all'eventuale dilagare fino al Tagliamento del IX Corpus. Se il pericolo non esisteva sotto il profilo militare, era comunque da eliminare una sacca di dissidenza, altrettanto pericolosa in un'ottica di cieco fanatismo politico. A questo punto la funzione del PCI di Udine sarebbe stata solo e unicamente quella di "passacarte", perché neanche la scelta di Toffanin come esecutore era loro. Purtroppo, come dicevamo, una disciplina di partito rigida e assoluta impedì di fare piena luce. Ma riteniamo che la nostra ipotesi non sia del tutto priva di fondamento.

E qui potremmo chiudere questa breve rilettura di una delle pagine più tristi della nostra storia nazionale.

 
 
 

Porzus 6^ parte

Post n°178 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

Inchieste farsa


Dopo che un'inchiesta del Comando Regionale Veneto non è approdata a nulla, il CLN di Udine decide la costituzione di una commissione d'inchiesta, formata da un rappresentante della Osoppo, uno della Garibaldi e presieduta da un membro del CNL stesso. Ostelio Modesti, il segretario del PCI di Udine, ha continuato la sua politica dello struzzo, opponendo inerzia al Comando Regionale che gli chiedeva di incontrare i responsabili della spedizione alle malghe. Ora la commissione del CLN dovrebbe chiarire le cose, ma si fa ancora tutto il possibile per ritardare, finché si arriva al 25 aprile, all'ordine di insurrezione generale, che fa passare ovviamente in secondo piano qualsiasi altra questione.


Sarà la magistratura ordinaria ad occuparsi della strage di Porzus, in seguito alla denuncia presentata il 23 giugno 1945 al Procuratore del Re di Udine dal Comando Divisioni Osoppo. Il processo ebbe inizio solo sei anni dopo, nell'ottobre 1951, davanti alla Corte d'Assise di Lucca, dove era stato trasferito per "legittimo sospetto" e motivi di ordine pubblico e dopo un palleggiamento tra magistratura ordinaria e militare.


Il dibattimento d'appello si svolse a Firenze tra l'1 marzo e il 30 aprile 1954. Dopo quasi un decennio dalla strage di Porzus veniva resa definitiva la sentenza che condannava Giacca e i suoi due luogotenenti all'ergastolo. Tutti e tre erano riparati da anni in Jugoslavia. Chi pagò un conto probabilmente non suo fu Ostelio Modesti, condannato a trent'anni, di cui nove scontati effettivamente.

 
 
 

Porzus – 5^ parte

Post n°177 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

 


 


Chi volle l'eccidio del 7 febbraio?



La risposta a tutt'oggi non è sicura. Di certo c'è l'esistenza di una lettera firmata da Kardelj, indirizzata a Vincenzo Bianchi, nome di battaglia Vittorio, rappresentante del Partito comunista italiano presso il IX Corpus, che era tornato da Mosca insieme con Togliatti, in cui lo si invita a liquidare le formazioni partigiane che, in Friuli, non accettano di porsi agli ordini del IX Corpus. Ed altrettanto certo è che, dopo il rifiuto degli osovani a integrarsi nel comando del IX Corpus sloveno, incominciano a circolare, sempre più insistenti, le voci di tradimento.



Queste voci d'altra parte trovavano facile esca in alcuni contatti, peraltro mai negati dai partigiani osovani, sia con la Decima Mas, sia con il federale fascista di Udine, Cabai, che si fa latore di un'ambigua proposta dell' SS Sturmbannfuhrer (tenente colonnello) Von Hallesleben, comandante della piazza di Pordenone. In entrambi i casi si propone agli osovani di formare un fronte comune contro i comunisti e, nel caso della Decima Mas, contro comunisti e nazisti, in nome della difesa dell'italianità del Friuli.



Erano gli ultimi mesi di una guerra le cui sorti erano ormai chiare a tutti e nell'atmosfera un po' surreale da si salvi chi può le proposte stravaganti non mancavano.



Bisogna sottolineare che in entrambi i casi fu la Osoppo ad essere sollecitata alle trattative, che non furono una sua iniziativa; e in entrambi i casi le proposte furono respinte. Ma mentre le proposte tedesche furono dirette ed immediatamente rifiutate con due lettere (28 dicembre 1944 e 10 gennaio 1945) di don Aldo Moretti consegnate all'arcivescovo Nogara, che a sua volta le consegnò al federale Cabai, nelle proposte di Borghese, comandante la Decima Mas, non mancò chi vide lo zampino del maggiore Nicholson, che guidava la missione inglese in zona, e che avrebbe voluto così acuire, in chiave anticomunista, la divisione tra osovani e garibaldini. In questo groviglio ambiguo due cose sono certe: il comando della Osoppo non strinse alcun accordo con fascisti e nazisti, ma il fatto stesso degli avvenuti contatti servì ad alimentare il clima ormai avvelenato tra osovani e garibaldini.



Più interessante, dal punto di vista sostanziale, ci sembra la vicenda di Elda Turchetti. Questa ragazza di Pagnacco, paese dove i tedeschi avevano depositi di carburante, viene segnalata da Radio Londra (probabilmente su analoga segnalazione del maggiore Nicholson) come spia al soldo dei nazisti. Spaventata, si rivolge a un amico partigiano garibaldino per protestare la propria innocenza. Questi l'accompagna da Mario Toffanin, Giacca, comandante dei GAP di Udine, che si comporta in modo decisamente strano. Se fosse stato sicuro che la Turchetti era una spia Giacca l'avrebbe senza dubbio uccisa; nel dubbio, l'avrebbe dovuta consegnare al proprio comando per gli accertamenti. Invece Elda Turchetti viene consegnata da Giacca a Tullio Bonitti, capo della polizia interna della Osoppo, che a sua volta conduce la ragazza a Porzus. Perché una sospetta spia veniva consegnata proprio alla formazione più volte accusata di mantenere ambigui rapporti col nemico? Ci fu chi disse che la Turchetti venne consegnata alla Osoppo per fare realmente la spia, per conto di Giacca contro la Osoppo. Difficile sapere la verità, perché la Turchetti fu uccisa a Porzus.


E siamo arrivati a parlare nuovamente di Mario Toffanin, Giacca. Padovano, nato il 9 novembre 1912, a tredici anni era già operaio ai Cantieri San Marco di Trieste. Iscritto dal 1933 al partito comunista clandestino; sei anni dopo, ricercato, riparava a Zagabria. Aderì al movimento partigiano di Tito fin dall'invasione delle forze dell'Asse nell'aprile del 1941. I compagni jugoslavi dovevano avere in lui molta fiducia perché lo inviarono in missione prima alla federazione comunista di Trieste, poi a quella di Udine per "dare la sveglia" ai compagni italiani. Giacca non fu mai un partigiano combattente vero e proprio: trovò la sua collocazione migliore nei GAP. Del resto, era poco propenso alla disciplina di tipo militare, ma in compenso era fedelissimo al partito.



E dalla federazione comunista di Udine gli arrivò l'ordine di "liquidare" il problema della presenza osovana a Porzus, con la specifica che si trattava di un ordine del comando supremo. L'ordine è del 28 gennaio 1945. Il tempo di organizzare l'azione, radunando un centinaio di uomini dei GAP a Ronchi di Spessa e il 7 febbraio Giacca sale alle malghe di Porzus, coadiuvato dai suoi luogotenenti Aldo Plaino e Vittorio Iuri. Pare che gran parte degli uomini fossero all'oscuro degli scopi della missione; molti ignoravano anche dove si stesse andando.


Il comandante osovano Bolla non si allarma per le segnalazioni delle sentinelle, che vedono salire alle malghe la lunga fila di uomini: era atteso un battaglione di rinforzo, richiesto al comando divisione Osoppo proprio per l'acuirsi delle tensioni tra garibaldini e osovani. Gli uomini di Giacca ostentano un'aria dimessa, nascondono le armi sotto gli abiti, pochissimi portano il fazzoletto rosso. Spiegano alle sentinelle di essere partigiani sbandati dopo uno scontro con i nazifascisti; ma mentre in due parlamentano con le guardie della Osoppo, il grosso degli uomini inizia ad accerchiare la zona.



Poi, è la strage.


Il capitano Bricco si salva, come vedevamo in apertura, solo perché viene ritenuto morto. Tra i venti partigiani portati via, si salvano solo Leo Patussi e Gaetano Valente, il cuoco, che, per aver salva la pelle, chiedono di essere accettati tra i garibaldini. Per gli altri non c'è scampo. L'irruzione alle malghe non aveva portato alcuna prova del "tradimento" della Osoppo, salvo la presenza in luogo della Turchetti; ma vedevamo prima che era stato lo stesso Giacca a consegnare la presunta spia agli osovani.


Le uccisioni durano fino al 18 febbraio nel Bosco Romagno, dove poi verranno ritrovati i corpi, mal sotterrati.


Dopo l'azione a Porzus, Toffanin, Plaino e Iuri, i triumviri che avevano guidato i battaglioni di GAP, fecero una relazione scritta, indirizzata alla Federazione comunista di Udine e al Comando del IX Corpus Sloveno, nella quale si sottolineava che l'azione era stata effettuata "col pieno consenso della Federazione del partito".



La relazione (che, come si nota, non era indirizzata ad alcun organo della Resistenza) cercava di giustificare le uccisioni con affermazioni fantasiose (i comandanti Bolla ed Enea che al momento della fucilazione non trovano di meglio che gridare "viva il fascismo internazionale", i partigiani osovani "figli di papà" che "giacevano in comodi sacchi a pelo ed erano provvisti di tutti i conforti"), ma non allegava alcuna prova concreta.


Quanto è accaduto alle malghe inizia a delinearsi. Quando Mario Lizzero, commissario politico delle brigate Garibaldi in Friuli viene a sapere dell'accaduto va su tutte le furie e chiede che Giacca e i suoi luogotenenti siano fucilati. Non riesce ad ottenerlo, riuscirà solo a farli destituire dalle loro cariche di comando nei GAP. Ostelio Modesti e Alfio Tambosso, segretario e vice segretario della federazione del PCI di Udine, forse iniziano a rendersi conto che è stata una grave imprudenza affidare la missione a Mario Toffanin, ottimo elemento per le azioni spicce e violente dei GAP, ma rozzo e violento e con un certificato penale già ben nutrito di reati, furto, rapina, omicidio, sequestro di persona, che nulla avevano a che vedere con azioni militari o politiche.



Ma adesso è troppo tardi per i ripensamenti e viene scelta la linea di condotta peggiore, quella di gettare tutta la croce addosso a Giacca, (che avrebbe mal inteso gli ordini) favorendone peraltro l'espatrio in Jugoslavia, insieme ad altri implicati nella strage.

 
 
 

Porzus - 4^ parte

Post n°176 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

 



 


I trattati del 1924 avevano inserito nel territorio italiano ampie regioni miste o a maggioranza slava; correzioni e rettifiche apparivano ovvie; ma le rivendicazioni slovene erano inaccettabili per gli osovani. La comunanza ideologica tra sloveni e garibaldini alimentava il sospetto che questi ultimi volessero realizzare un'annessione "di fatto". Le formazioni comuniste a loro volta ricambiavano la diffidenza, sospettando gli osovani di atteggiamenti reazionari, accusandoli di avere come primo scopo non la lotta ai nazifascisti, bensì la lotta ai comunisti. In questo clima, i periodici tentativi (ve ne furono una ventina) di creare un comando unificato finirono sempre nel nulla.


In particolare, un comando unificato si sarebbe dovuto costituire dopo un'incursione tedesca nel castello di Pielungo. Nel vecchio maniero gli osovani avevano rinchiuso alcuni militari tedeschi catturati in uno scontro. Reparti tedeschi, con un'improvvisa azione di commando, riuscirono a liberare i loro commilitoni. L'episodio ebbe conseguenze immediate: CLN udinese e regionale veneto (CRV) intervennero destituendo i due principali responsabili dell'Osoppo, Grassi - Verdi e De Luca - Aurelio, accusati di comportamento imprudente, non avendo predisposto sufficienti servizi di guardia, e affidarono al maggiore Manzin-Abba il comando provvisorio. Per i due capi osovani, arresto "sulla parola", in attesa di decisioni. Cosa per nulla gradita a quelli dell'Osoppo, anzi.



Peggio ancora fu quando a metà agosto, in un incontro CLN-garibaldini-osovani a San Francesco, sopra Pielungo, fu stabilito il nuovo organigramma dell'Osoppo. Al comando militare Abba, del Partito d'Azione, suo vice il comunista Bocchi-Ninci, capo delle Garibaldi. Commissario il comunista Lizzero-Andrea, vice-commissario l'azionista Comessatti-Spartaco.


In pratica il "comando unificato" era posto in mano ai comunisti e agli azionisti, considerati loro paravento. Le formazioni osovane reagirono con una specie di golpe, al quale CLN e garibaldini dovettero arrendersi. Destituiti gli azionisti Abba e Spartaco, i vecchi comandanti tornarono ai loro posti. Ribaltamento incruento per fortuna, ma che la diceva lunga, se gli uni e gli altri si fronteggiavano mitra in spalla.


D'altra parte difficilmente gli osovani potevano accettare quella che di fatto si sarebbe tradotta in un "inglobamento" nelle formazioni garibaldine, quando le stesse, poche settimane prima, in località Piancicco, avevano sottratto, mitra alla mano, un carico di armi destinate alla Osoppo, paracadutate dagli Alleati.


Pur in questa continua contrapposizione, garibaldini e osovani riescono a combattere insieme quando, il 27 settembre 1944, irrompono da Tarvisio 30.000 uomini tra tedeschi, fascisti e cosacchi, ben decisi ad eliminare due zone libere, comprendenti 55 comuni sulle montagne e territori pedemontani al di qua e al di là del Tagliamento. Quest'oasi di libertà, che durava da poco più di due settimane, viene devastata con artiglieria, carri armati e due treni blindati. In tre giorni di battaglia nel triangolo Tarcento - Bergogna - Cividale i partigiani perdono oltre 400 uomini tra morti e dispersi. Il 2 ottobre i tedeschi attaccano nuovamente su tutto il fronte partigiano, da Meduno a Bordano, lasciando mano libera alle truppe cosacche, che si abbandonano ad ogni tipo di violenza. Le forze partigiane devono ripiegare. Il gruppo Brigate est della Divisione Osoppo si porta nella zona di Attimis, ponendo il proprio comando alle malghe di Porzus. In zona è presente anche la brigata Garibaldi - Natisone, che ha il suo comando nel vicino villaggio di Canebola.


La fratellanza d'armi che ha visto garibaldini e osovani combattere assieme sta nuovamente svanendo, perché altri avvenimenti erano nel frattempo maturati.


Il 6 settembre le truppe sovietiche, occupata la Romania, si erano congiunte all'armata popolare di Josip Broz (Tito). Con grande delusione degli alleati (che al futuro maresciallo avevano sacrificato il generale Mihailovic, leader della resistenza monarchica) Tito attuò la "svolta stalinista".



La pressione per definire la linea di frontiera lungo il Tagliamento si fece via via più accentuata.



Risale al 9 settembre il messaggio di Kardelj, capo delle forze di liberazione slovene e luogotenente di Tito, ai capi comunisti dell'Alta Italia. Kardelj parlava di una "comune presa di potere nella regione Giulia di comunisti italiani e sloveni". Ad una prima missione segreta, a giugno, del plenipotenziario sloveno prof. Urban (Anton Vratusa) al CLNAI di Milano aveva fatto seguito una seconda trasferta a settembre, con precise richieste sulla delimitazione dei confini.



Cadorna, comandante militare del CLNAI si era dichiarato contrario, mentre Longo era favorevole alle richieste slovene. Fu deciso un rinvio a guerra conclusa, ma le aspirazioni slovene e la disponibilità comunista non erano un segreto e il clima di diffidenza e sospetto ai confini orientali non poteva che aumentare.



Contribuì poi a gettare benzina sul fuoco la lettera di Palmiro Togliatti, segretario del partito comunista, con la quale si ordinava al comando della brigata Garibaldi - Natisone di porsi alle dipendenze operative del IX Corpus sloveno; la lettera conteneva anche il testo dell'ordine del giorno da approvare: "I partigiani italiani riuniti il 7 novembre in occasione dell'anniversario della Grande Rivoluzione (rivoluzione russa del 1917; n.d.a.) accettano entusiasticamente di dipendere operativamente dal IX Corpus sloveno, consapevoli che ciò potrà rafforzare la lotta contro i nazifascisti, accelerare la liberazione del Paese e instaurare anche in Italia, come già in Jugoslavia, il potere del popolo".


Parlavamo in precedenza del potere più formale che sostanziale del CLN sulla condotta della guerra partigiana: di fatto un ordine operativo come quello sopra citato avrebbe dovuto pervenire, al più, dal comando del CLNAI.



Se è doveroso riconoscere al partito comunista il più alto contributo, in uomini e in sangue, alla lotta di liberazione, è altrettanto doveroso sottolineare come il partito comunista perseguì sempre e comunque la sua propria politica, che si sostanziava nella cooperazione con gli altri partiti democratici (la cosiddetta svolta di Salerno era la rassicurazione che il PCI seguiva una via italiana al socialismo) attuata da Togliatti nel Regno del Sud e contemporaneamente nell'atteggiamento "internazionalista" che significava di fatto l'acquiescenza ai progetti sovietici che, nel caso dei confini orientali italiani, erano ben chiari e facevano conto sul leader jugoslavo Tito, allora considerato un docile stalinista.


In questo clima non c'è da stupirsi che gli osovani respingano la proposta di integrarsi anch'essi nel IX Corpus: la proposta poteva avere un senso dal punto di vista operativo, per porre sotto un unico comando tutte le forze impegnate nella lotta contro fascisti e nazisti. Ma ormai l'ordine normale delle cose era stravolto: gli alleati erano tra loro avversari e sempre meno il comune nemico poteva cementare una fiducia che non esisteva più.



Il 7 novembre 1944, mentre a Canebola i garibaldini festeggiano l'adesione alle formazioni di Tito, a Porzus il capitano De Gregori (Bolla), che già si trovava a forza ridotta perché molti partigiani erano stati inviati in licenza per la sospensione invernale delle operazioni, convoca i suoi e fa presente la situazione di tensione che si è creata con la Garibaldi - Natisone. "Vogliono farci sloggiare. Chi vuole andarsene è libero di farlo. Io resto". Restarono alle malghe in una ventina.

 
 
 

Porzus – 3^ parte

Post n°175 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

 




Ma la Resistenza assunse ben presto caratteristiche marcatamente politiche; l'armistizio preludeva inevitabilmente a uno sganciamento dell'Italia dall'alleanza con la Germania, con le inevitabili ritorsioni che sarebbero venute (come vennero) da quest'ultima. I partiti politici antifascisti, che iniziavano a ricomparire dalla clandestinità al passo dell'avanzata degli Alleati sul territorio italiano, non potevano rischiare un altro "25 luglio", restando tagliati fuori dal gioco; le sorti della guerra erano segnate, la sconfitta della Germania era considerata inevitabile (anche se nessuno credeva che ci sarebbero voluti ancora quasi due anni di guerra) e si trattava di prepararsi per il futuro assetto che l'Italia avrebbe dovuto assumere al termine del conflitto. Il primo CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) sorse a Roma, già il 9 settembre 43.



Lo fondarono Ivanoe Bonomi, indipendente, Alcide De Gasperi (Democrazia Cristiana), Alessandro Casati (partito liberale), Pietro Nenni (partito socialista), Mauro Scoccimarro (partito comunista) e Ugo La Malfa (partito d'azione). Aderì poi al CLN anche Meuccio Ruini, in rappresentanza della democrazia del lavoro. Al CLN Bonomi rivendicò il diritto di essere considerato come "l'unica organizzazione capace di assicurare la vita del paese".



Era un'affermazione perlomeno ottimistica, se non poco realistica, considerando che al momento il CLN rappresentava poco più che sé stesso, in una situazione nazionale di estrema confusione. Ma era stato gettato il seme, e l'incitamento "per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all'Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni" veniva da un organismo politico e si sarebbe concretizzato nella costituzione di bande partigiane che esplicitamente si richiamavano agli ideali politici dei partiti di riferimento. I partigiani di Italia Libera aderivano al partito d'azione, una formazione d'élite che si sarebbe dissolta molto presto dopo la guerra, ma che raccoglieva uomini come Parri, Lussu, Valiani, Garosci.



Le Fiamme Verdi erano i partigiani di ispirazione cattolica, forti soprattutto nel Bresciano e nell'Udinese; con loro si unirono anche molti liberali e indipendenti.



Le Brigate Garibaldi, braccio armato del partito comunista, furono il primo gruppo partigiano a darsi una struttura organica, istituendo a Milano, all'inizio del novembre 43, un Comando Generale, con Luigi Longo comandante generale e Pietro Secchia commissario politico.
Sarebbe qui interessante anche approfondire le differenze tra Resistenza al Nord e al Sud, ma non vogliamo esulare troppo dal nostro tema.



Da quanto finora esposto appare già evidente che il movimento partigiano ebbe, aldilà del denominatore comune della lotta contro fascisti e nazisti, la caratteristica di raccogliere gruppi politici tra loro antitetici, riflettendo quell'innaturale alleanza tra Unione Sovietica e mondo capitalista, resa inevitabile dalla comune lotta contro il nazismo. Tuttavia ci sono alcuni punti che è importante sottolineare, perché ci aiuteranno a capire meglio la genesi di eventi come la strage di Porzus.



La Resistenza non ebbe in Italia un peso militare determinante, né lo avrebbe potuto avere, perché restò sempre un fenomeno elitario e comunque in buona parte legato, per la sua sopravvivenza, ai rifornimenti di armi, viveri, materiale, che gli Alleati iniziarono ad effettuare alla fine del 1943, dopo un primo incontro avuto in Svizzera da Ferruccio Parri con Allen Dulles, capo dei servizi segreti americani.



Gli angloamericani del resto avevano interesse a mantenere il contatto e, per quanto possibile, il controllo sui gruppi partigiani, sia per operazioni di sabotaggio, di appoggio, di informazione, sia perché questi costituivano comunque la longa manus di quei partiti politici che avrebbero determinato la politica italiana del dopoguerra. E l'alleanza tra gruppi che sopra definivamo antitetici fece sì che nel movimento partigiano si trovassero contemporaneamente monarchici e repubblicani, liberali e comunisti, militari gelosi delle propria apoliticità contrapposti a quanti invece consideravano la Resistenza anzitutto un fenomeno politico.



Una posizione del tutto peculiare era poi quella del partito comunista, che fu il partito che diede più combattenti di tutti gli altri alle forze partigiane, ma che era guardato con sospetto dai gruppi "alleati" per i suoi mai recisi legami con Mosca, e che a sua volta ricambiava con sospetto gli altri gruppi, ai quali via via attribuiva simpatie monarchiche, badogliane, capitaliste, se non addirittura tout court fasciste.


Se formalmente i gruppi partigiani dipendevano dal CLN e, per l'alta Italia, dal CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, costituito alla fine del 1943), delegato del CLN romano, di fatto la gran miscela di gruppi diversi generò anche due visioni ben diverse dello stesso concetto di lotta partigiana.



I gruppi che facevano capo alla democrazia cristiana e che raccoglievano tra loro anche la maggior parte delle prime bande autonome (di origine, come vedevamo, perlopiù militare), nonché liberali e spesso anche azionisti, furono sovente accusati di attendismo dai comunisti quando decidevano di evitare scontri diretti con le truppe tedesche, se la disparità di forze faceva presumere l'inutilità militare dello scontro.



Viceversa furono una creatura comunista i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), piccoli gruppi di non più di cinque - dieci elementi, che agivano soprattutto nelle città, con azioni veloci contro tedeschi e fascisti. Le azioni dei GAP spesso non avevano alcun peso dal punto di vista militare, ma il loro scopo era dichiaratamente quello di mantenere una tensione contro l'occupante e di mantenere sempre vivo lo spirito di lotta del combattente partigiano, nonché quello, meno dichiarato, di mostrare a nemici e alleati che il partito comunista sapeva colpire con decisione e durezza.


Alle accuse di attendismo spesso veniva controbattuto, accusando i comunisti di inutile spietatezza e cinismo, perché le azioni dei GAP provocavano poi l'inevitabile rappresaglia tedesca. L'attentato di via Rasella, con la conseguente strage alle fosse Ardeatine, resta in questo senso emblematico. Ma, se vogliamo fare un altro esempio, un attentato come quello che costò la vita al filosofo Giovanni Gentile fu un'altra azione decisa autonomamente dal partito comunista ed attuata dai GAP, in un quadro di una lotta sempre più crudele.
Pensiamo di aver delineato abbastanza il quadro di frazionamento e di rivalità intestine che contraddistinse tanti momenti della lotta partigiana; ci scusiamo con gli amici lettori per la non breve digressione, peraltro indispensabile per inquadrare gli avvenimenti che andremo a rileggere.


La Divisione Osoppo era nata nella notte fra il 7 e l'8 marzo '44, quando si erano incontrati al seminario di Udine don Ascanio De Luca, don Aldo Moretti e il parroco di Attimis, don Zani. In quella riunione era stata battezzata l'organizzazione clandestina con il nome del paese friulano, Osoppo, dove i patrioti risorgimentali combatterono gli austriaci. I partigiani che la componevano erano quasi tutti ex alpini, di tendenze democristiane, azioniste o liberali; i simboli della divisa erano il cappello con la penna d'aquila e il fazzoletto verde, "colore della speranza e delle nostre montagne, che ci distinguerà chiaramente dai fazzoletti rossi", come disse uno dei fondatori, Don De Luca.


La base per il reclutamento e le prime azioni fu l'eccentrico e disabitato castello Ceconi a Pielungo, nella val d'Arzino. I due capitani Grassi (Verdi) e Cencig (Manlio), e don De Luca (Aurelio) formarono i primi reparti, rifornendosi di armi attraverso i lanci aerei organizzati dalle missioni alleate. Si presentò subito la questione dei rapporti con le formazioni garibaldine. Se comune appariva la guerra all'occupante tedesco, diverse erano le posizioni relative al "dopo" e cioè alla sistemazione dei confini a conflitto concluso.




 

 
 
 

Porzus - 2^ parte

Post n°174 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante

Molti segreti se li portò nella tomba Mario Toffanin, Giacca. A differenza di altri, Giacca su Porzus aveva parlato molto, dando tante versioni diverse, con una sola costante: "se li avessi di nuovo davanti, li accopperei ancora tutti". Morì, ottantaseienne, venerdì 22 gennaio 1999, nell'ospedale della cittadina di Sesana, in Slovenia. Era lui il comandante dei reparti che compirono l'eccidio. Il protagonista della vicenda, almeno il più visibile; non necessariamente il più consapevole.

Partigiani contro partigiani, con accuse reciproche, fino al tragico epilogo di sangue. Nella vicenda di Porzus si materializza violentemente quello che fu il problema centrale della Resistenza: la competizione, più che la collaborazione, tra i diversi gruppi ideologici. In più si aggiunsero le rivendicazioni territoriali slovene, che avevano una loro legittimità storica, ma che contribuirono ad arroventare una situazione già calda.

Ma non possiamo leggere queste vicende, accadute in quell'estremo lembo di territorio italiano tra le provincie di Udine e Gorizia, se prima non accenniamo brevemente alla nascita della Resistenza in Italia e ai suoi sviluppi.

Una storiografia oleografica ci ha spesso presentato la Resistenza come un movimento di popolo, una spontanea ribellione di massa contro l'oppressione fascista e nazista. Se vogliamo guardare più realisticamente ai fatti, partiamo da una data fondamentale: 25 luglio 1943.

Il Gran Consiglio del Fascismo vota a maggioranza un ordine del giorno presentato da Dino Grandi, che, chiedendo il ripristino dei poteri degli organi costituzionali (Parlamento, Corona), di fatto sfiducia Mussolini, mettendo fine a diciotto anni di una dittatura che, se negli anni precedenti aveva goduto di un grande seguito popolare, aveva poi gettato l'Italia nella tragedia della seconda guerra mondiale. Il Re Vittorio Emanuele III fa arrestare Mussolini e nomina Primo Ministro il Maresciallo Pietro Badoglio. Sul 25 luglio, sulle effettive intenzioni degli uomini che causarono la caduta del Duce, si discute e si discuterà ancora a lungo.

Ma resta un dato di fatto: il fascismo fu liquidato dai fascisti e dal Re, né le attività clandestine di gruppi antifascisti ebbero alcun peso sull'estromissione di Mussolini dal potere.

Le ambiguità di Badoglio, l'illusione di poter tenere a bada contemporaneamente gli Alleati e i tedeschi, le incertezze di un Re più preoccupato delle sorti della Corona che di quelle della Patria, si tradussero in un mese e mezzo di politica ambivalente e pasticciona, col solo risultato di consentire ai tedeschi, che avevano ben poca fiducia nella lealtà del nuovo governo italiano, di rinforzare massicciamente la propria presenza militare nella penisola (limitata, al 25 luglio, a quattro divisioni).

Quando l'otto settembre di quel tragico 1943 fu reso noto l'armistizio firmato unilateralmente cinque giorni prima dall'Italia con gli Alleati, le truppe tedesche furono pronte a disarmare numerosi reparti dell'esercito italiano e ad arrestare e deportare centinaia di migliaia di militari dell'ex alleato, ora considerato traditore. Lo sbandamento delle forze armate in quei terribili giorni fu quasi totale, anche se non mancarono episodi di resistenza eroica da parte di unità che non accettarono supinamente il disarmo. La nascita di quell'ombra di stato che fu la Repubblica Sociale e la conseguente divisione dell'Italia tra repubblica fascista al Nord, e Regno del Sud (nei territori che via via venivano conquistati dagli Alleati risalendo la penisola), segnarono l'inizio della guerra civile in Italia.

Le prime bande che si costituirono in funzione antitedesca e antifascista erano formate perlopiù da militari che erano riusciti a sottrarsi ai rastrellamenti massicci che le truppe germaniche iniziarono subito dopo l'otto settembre, o che non accettarono di servire nella Repubblica Sociale, considerata poco più che un paravento dei veri padroni, i tedeschi.

Si trattava di unità isolate, senza collegamenti tra loro e senza una strategia definita, generalmente guidate da ufficiali che si sentivano comunque vincolati dal giuramento di fedeltà al Re.

 
 
 

STRAGE DI PORZUS

Post n°173 pubblicato il 11 Febbraio 2009 da decimacomandante
Foto di decimacomandante

puo sembrare "fuori tema" ma in quei momenti sui confini orientali c'erano troppi e contrastanti interessi! E' bene conoscere a fondo la tragedia che insaguino' quella terra...


UN'OMBRA CUPA SULLA RESISTENZA


di Paolo Deotto - fonte “Storia in network”


Porzus - 1^ parte


7 febbraio 1945, mercoledì, alle 14.30.


Nelle malghe di Porzus, due casolari sopra Attimis, in provincia di Udine, ha sede il comando Gruppo brigate est della divisione Osoppo, formata dai cosiddetti "fazzoletti verdi" della Resistenza, partigiani cattolici, azionisti e indipendenti. Giungono in zona cento partigiani comunisti, agli ordini di Mario Toffanin (nome di battaglia Giacca) sotto le false spoglie di sbandati in cerca di rifugio dopo uno scontro con i nazifascisti.


In realtà, è una trappola: alla malga vengono uccisi il comandante della Osoppo, Francesco De Gregori (nome di battaglia Bolla), il commissario politico Enea, al secolo Gastone Valente, una giovane donna sospettata di essere una spia, Elda Turchetti e un giovane, Giovanni Comin, che si trovava a Porzus perché aveva chiesto di essere arruolato nella Osoppo. Il capitano Aldo Bricco, che si trovava alle malghe perché doveva sostituire Bolla, riesce a fuggire e salva la vita perché i suoi inseguitori, dopo averlo colpito con alcune raffiche di mitra, lo credono morto.


Altri venti partigiani osovani vengono catturati e condotti prima a Spessa di Cividale e poi nella zona del Bosco Romagno, sopra Ronchi di Spessa, una ventina di chilometri più a valle. Due dei prigionieri si dichiarano disposti a passare tra i garibaldini. Gli altri saranno tutti uccisi e sbrigativamente sotterrati tra il 10 e il 18 febbraio. Della cosa si cercò di non far trapelare nulla. Ancora un mese dopo c'era chi assicurava che i capi Bolla ed Enea erano tenuti prigionieri dai garibaldini o dagli sloveni.


-----------------


"… La propaganda clericale del tempo descriveva i partigiani comunisti, inquadrati nelle Brigate Garibaldi, come dei Satana spergiuri che volevano consegnare il Friuli alla Jugoslavia. Furono del resto pure inglobati nella Osoppo molti fascisti, come il Reggimento Alpini Tagliamento (formazione della Repubblica di Salò) che operava nella zona con il compito di combattere i "comunisti jugoslavi" e questo avvenne con la mediazione dell'Arcivescovado di Udine (Arcivescovo Nogara). Lo scopo della Osoppo e della Tagliamento infatti coincideva, l'obiettivo comune era quello di criminalizzare i partigiani delle Garibaldi.


In molte zone facevano persino presidi misti, cioè repubblichini e osovani.
Quelli della Osoppo, si appropriavano delle forniture inglesi che spettavano alle Garibaldi, l'accordo con gli inglesi era che il 30% di ogni lancio fatto alla Osoppo doveva essere destinato alle Garibaldi. Quelli della Osoppo non rispettarono mai l'accordo ed i Garibaldini per approvvigionarsi e procurarsi armi dovevano assaltare i presidi tedeschi e fascisti…
"
(da un'intervista rilasciata nel 1996 dal comandante partigiano Mario Toffanin, Giacca)



"
… La Grande Slovenia, volevano i partigiani comunisti. Noi volevamo solo combattere per la libertà, non per il comunismo, ed eravamo favorevoli a lasciare ad un referendum dopo la liberazione la scelta sui confini… Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento, gli dicevo, la vedono i comunisti e i partigiani sloveni, quello stemma a loro ricorda il fascismo, toglila. E lui no, cocciuto, perché credeva sopra ogni cosa all'Italia, senza compromessi, senza tante prudenze politiche… Avevamo sempre operato insieme, anche se noi cattolici ci preoccupavamo, oltre che della onestà dei fini, anche della onestà dei mezzi. Ci furono discussioni assai accese con i comandanti comunisti sulla necessità di azioni che comportavano sacrifici di vite umane".
(da un'intervista rilasciata nel 1997 da Monsignor Aldo Moretti, Lino, Medaglia d'Oro al valor militare, uno dei fondatori della Divisione Osoppo).


----------



Quando nel 1997 il regista Renzo Martinelli doveva girare gli esterni del suo film
Porzus, si trovò alle prese con i divieti di diversi sindaci, che non consentirono le riprese sui loro territori. Erano passati più di cinquant'anni, ma di Porzus molti non volevano neppure parlare; non mancò chi chiese di vietare la presentazione del film a Venezia.


Cattive coscienze, risentimenti, fanatismo ideologico duro a morire, uniti ad una insopprimibile abitudine a riscrivere la storia con ottica di parte, hanno fatto sì che a tutt'oggi restino dei punti interrogativi su quella cupa vicenda. Non abbiamo la pretesa di poter fornire tutte le risposte; confidiamo solo che una rilettura seria e serena sia possibile, a passioni sopite e senza nessuna preconcetto. E speriamo che cinquantasei anni di distanza siano sufficienti, non foss'altro per rendersi conto che non esiste causa, per nobile che sia, che possa trarre giovamento dalle falsificazioni della realtà.

 
 
 

.

Post n°172 pubblicato il 09 Febbraio 2009 da decimacomandante
Foto di decimacomandante

 
 
 

Eugenio Wolk detto “Lupo”

Post n°171 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da decimacomandante

 

 

Eugenio Wolk, detto “Lupo”, il comandante dei “Gamma” nasce a Cernigov in Ucraina nel 1915, figlio del nobile Nicola Wolkoff e della principessa Caterina Galitzin. Tra le pagine della cultura di un quotidiano, “Il Piccolo” di Trieste, trovo un articolo di Pietro Spirito che ne parla attingendo ai documenti dell’ archivio di Carlo Alfredo Panzarasa amico e compagno d’armi di Wolk.

Tralascio di chiedere all’ autore quali siano stati “gli orribili crimini” di cui si macchio’ la Decima Flottiglia MAS e passo ad esaminare la breve biografia di “Lupo”

Wolk con pochi parenti superstiti, riparo’ in Italia dopo la Rivoluzione d’ottobre. La famiglia era stata decimata dalle guardire rosse. Nel 1933 entro’ all’ Accademia Navale di Livorno e nel 1941 fu destinato a quella che di li a poco sarebbe diventata la Xa Flottiglia MAS

Finita la guerra – scrive ancora Spirito – Wolk si consegno’ agli alleati riuscendo ad ottenere per se e per i “Gamma” la condizione privilegiata di prigionieri sulla parola, cio’ anche grazie a Lionel P.B. Crabb, comandante degli incursori britannici, che aveva molta stima dei suoi ex nemici.

Inquadrati nella Allied Navies Experimental Station , gli uomini dei gruppi “Gamma” della Xa MAS ottennero una sorta di immunita’, sia presso gli Alleati che in Italia e alcuni di loro furono persino assunti a servizio nelle Forze Armate degli Stati Uniti (con grande disappunto del comandante delle forze alleate Earl B. Nichols)

I “Gamma” nel periodo successivo alla fine della guerra operarono lo sminamento del porto di Venezia e portarono a compimento numerosi difficili interventi di recupero di naviglio affondato.

Grazie alle benemerenze acquisite, nel 1947 Wolk emigro’ in Argentina dove, come consulente tecnico della Marina militare di quel Paese, costitui’ ed addestro’ il corpo degli incursori, creato sulla falsariga della Decima, e mise a punto nuove apparecchiature innovative.

Rientrato in Europa nel 1965, Wolk si stabili’ in Svizzera dove mori’ nel 1995.

Nell’ articolo si ricorda anche la sua geniale rivoluzione nell’ uso delle pinne e il progetto – naufragato per il sopravvenuto armistizio – di attaccare il porto di New York. Si cita ancora il misterioso episodio della ex corazzata “Giulio Cesare”, preda bellica requisita dai russi, affondata nel porto di Sebastopoli nel 1955, ma di questo Wolk ha sempre declinato ogni responsabilita’

Documenti, lettere, fotografie dell’ archivio di Wolk raccolte da Carlo Panzarasa e consegnate al “Centro Studi Carlo Alfredo Panzarasa” dell’ Associazione culturale “Novecento” sono state utilizzate da Bruna Pompei per realizzare il volume “Eugenio Wolk, “Lupo” comandante dei “Gamma” della Xa Mas” (Edizioni Ritter)


vedi anche http://www.anaim.it/wolk.htm

 
 
 

6.- Reparto “Attivita’ Navali Insidiose”

Post n°170 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante

Era composto da eccezionali nuotatori specializzati in azioni di sabotaggio marittimo, noto come “Gruppo Gamma” (*) esso fu ricostituito sulle stesse basi che aveva prima dell’ armistizio, con i precedenti quadri e molti dei suoi vecchi elementi. A Valdagno fu aperta una scuola con una piscina per addestramento e sperimentazione di nuovi mezzi.


Fondamentale per i “Gamma” era:


1.      Creare specialisti ben addestrati,


2.      Mettere a punto materiale segreto nuovissimo e di tipo perfezionato, soprattutto di scoppio


3.      Inviare informatori al di la’ delle linee per studiare le difese dei porti in relazione possibili attacchi a navi nemiche


4.      Effettuare operazioni preliminari di guerra contro navi in rada e nei porti occupati dal nemico.


 


(*) Il “Gruppo Gamma”, per merito del comandante Eugenio Wolk, aveva ripreso a funzionare il 15 settembre 1943 (…..) Attorno alla sua insegna si raccolsero subito gli ufficiali e i sottufficiali che avevano fatto parte della specialita’ e numerosi volontari. Tra gli altri, nel mese di ottobre, raggiunse il reparto il tenete Luigi Ferraro, eroe di Alessandretta, che da solo era riuscito ad affondare in acque turche ben 24.000 tonnellate di naviglio avversario. Ferraro divenne il vicecomandante del reparto

 
 
 

5.- Enne, Gamma e …NP

Post n°169 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante


Ripercorriamo brevemente quanto gia’ detto nei primi interventi di questo blog…


Uno dei reparti che si riorganizzo’ rapidamente fu quello dei “Nuotatori-Paracadutisti” per tutti erano gli “NP” (ennepi’)Lasciamo alle parole del “decumano” Armando Zarotti la spiegazione delle funzioni e l’ origine di questi reparti:


“Gli NP tratti dai reparti di Fanteria di Marina “San Marco”, rappresentano una nuova specialita’ della guerra 1940-45. Gli “N” (Nuotatori) si legano strettamente ai “Gamma” (subacquei incursori e sommozzatori della Xa Flottiglia MAS. I “P” (paracadutisti del “San Marco”) nascono in un secondo tempo.


Il comandante degli “N”, il capitano del Genio Navale Nino Buttazzoni, previde la possibilita’ di fondere le due specializzazioni in una ola con nuove e piu’ efficienti modalita’ di impiego. Il progetto di Buttazzoni, presentato prima della guerra alla Marina Militare, fu accettato. Nasceva cosi’ un reparto di “Nuotatpri-Paracadutisti”, stupenda macchina bellica in grado di assicurare contributi riolutivi in terra, mare e cielo”


A Jesolo e sulle spiagge alla foce del Piave i reparti “NP” seguirono i corsi NESGAP (Nuotatori,  Esploratori, Sabotatori,  Guastatori, Arditi, Paracadutisti) con istruttori delle scuole di Tarquinia, Porto Clementino, Viterbo, Livorno e San Rossore… gli stessi che avevano addestrato gli uomini della “Folgore” e della “Nembo” che tante prove di coraggio, abilita’ ed eroismo avevano dato nei primi anni della guerra.


La compagnia “Ceccacci” degli “NP” diede ottimi risultati sia nel raccogliere informazioni sui movimenti e sull’ entita’ delle forze nemiche che in atti di sabotaggio al di la delle linee del fronte. Non pochi di questi audaci informatori furono catturati e fucilati dagli anglo-americani. (*)


 


 


(*) Nell’ aprile del 1994, la TV italiana programmo’ una serie di documentari sulla guerra in Italia girati da operatori militari americani dal 1943 al 1945. Titolo della serie “Combat film” Tra l’ altro i telespettatori videro le sequenze della fucilazione di alcuni nemici della forze alleate catturati, che nel commento dello speaker erano definiti “spie”. Erano uomini del battaglione “Vega” (di cui facevano parte gli “NP” e gli uomini del “Gruppo Gamma” con compiti di informazione e sabotaggio al di la’ del fronte. Non erano dunque “spie” e tantomeno “traditori”, quei giovani che affrontarono impavidi la morte per fucilazione al petto, non alla schiena, cioe’ “con Onore” – Vedi anche: “Guerra segreta oltre le linee” Aldo Bertucci  (Mursia 1994)


 


Ricordiamoci che il Battaglione ”Vega” era stato costituito per impedire ai comandi tedeschi di impiegare uomini della Decima in abiti civili per azioni di informazione e sabotaggio.

 
 
 

4.- Volontari e addestramento

Post n°168 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante

Si  istituirono scuole d’ istruzione per i volontari dei mezzi d’assalto, in particolare per piloti e motoristi e per sommozzatori. Si apri’ la scuola palombari e sommozzatori di Portofino e poi un’ altra a Portorose (Istria). A Sesto Calende vi era una scuola per “siluri umani” a Jesolo la base di addestramento per i Nuotatori paracadutisti. A Camaiore e a Portorose furono create strutture per l’ addestramento dei volontari dei mezzi di superficie (Scuola di ardimento)

 

 
 
 

Nota

Post n°167 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante


Scrive Bordogna: “Condizioni del mare permettendo, le operazioni dei mezzi d’assalto della Xa Flottiglia continuavano nel Tirreno e in Adriatico, e spesso con successo. I nostri spericolati e coraggiosi equipaggi non davano tregua alla imponente flotta nemica incessantemente protetta da nutriti stormi aerei e dall’ artiglieria costiera, dotata di radar (a noi sconosciuto) e armata, oltre che di mitragliere di bordo, di intere batterie di cannoni a tiro rapido. Ma i “barchini” della Decima, pur continuamente decimati, e per venti mesi di seguito, non cessarono mai i loro attacchi”

 
 
 

3.- I reparti in Adriatico

Post n°166 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante

 



Si e’ detto che la Xa era attiva anche in Adriatico: oltre ai Nuotatori Paracadutisti di Jesolo (VE) la Xa aveva a Pola una base di sommergibili tascabili classe CB e, a Venezia, una base di motovedette e MAS



Il 12 febbraio era entrato in azione un modello perfezionato di motosilurante, la MS 75, che effettuo’ numerose incursioni e missioni… minando il tratto di mare tra Giulianova e Pescara e contro unita’ nemiche in rada. Le basi di partenza furono Ancona (prima del luglio 1944) e Porto Corsini.


Il 22 agosto la MS 75 attacco’ col siluro un cacciatorpediniere all’ ancora nel Porto di Ancona.


Oltre ai sommergibili tascabili classe CB in Adriatico fu armato un nuovissimo sommergibile CM. Inoltre le VAS (Vedette Anti Sommergibili) di stanza a Venezia, scortavano i convogli italiani e davano la caccia a sommergibili alleati. Una base di VAS fu organizzata anche a Genova, con gli stessi compiti.

 
 
 

2.- Reparti navali in azione

Post n°165 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante


La prima di tutte, in ordine cronologico, fu progettata con mezzi di superficie da impegnare davanti al porto di Napoli. Base di partenza doveva essere Terracina, lo sbarco alleato ad Anzio mise in difficolta’ le comunicazioni con La Spezia, si dovette rinunciare e portare la base a Fiumicino da dove partirono poi numerose incursioni contro convogli nemici che rifornivano la testa di ponte alleata di Nettuno. In queste azioni alcune unita’ nemiche furono colpite e affondate.


 


Nella notte del 22 gennaio 1944, quando il VI corpo d’armata americano effettua un altro sbarco tra Anzio e Nettuno la Decima entra in azione con 3 MTSM che a piena velocita’ si infiltrano tra la flotta nemica, attaccano un cacciatorpediniere e colpiscono una corvetta. Nonostante la valanga di fuoco scatenata contro i nostri “barchini” dalle navi americane, gli equipaggi rientrano con spericolate manovre di disimpegno e con un ferito, il sergente Pisu.


Le azioni si ripeterono nelle settimane e nei mesi seguenti costringendo i comandi alleati a rallentare le operazioni di rifornimento e a sospendere le operazioni notturne di sbarco di truppe fresche. Il risultato delle azioni della Decima contribuii a rallentare l’ avanzata su Roma.


 


Le incursioni notturne continuarono con successo in Tirreno e anche sull’ Adriatico.


 


La notte sul 21 febbraio 1944 il sergente Rocco Chiarello e il maro’ Guido Candiollo, preso contatto con unita’ nemiche al largo della costa pontina, con un siluro centrarono una nave pattuglia che affondo e con una bomba di profondita’ danneggiarono gravemente un dragamine, rientrando incolumi alla base.


 


I MAS furono dislocati a Porto Santo Stefano e da li compirono numerose missioni, purtroppo non sempre gli equipaggi fecero ritorno.


 


Temporaneamente spostata a Fiumicino una squadriglia di MAS affronto -  tra il 28 e il 30 aprile ’44 – una unita’ adibita al trasporto e allo sbarco di carri armati (LST – Landing Ship Tank), nonostante il fuoco di sbarramento l’ unita’ comandanta dal GM Baglioni centro’ la nave con un siluro facendola affondare in pochi minuti con il suo carico di una trentina di carri destinati al fronte.


 


Ai primi di marzo due MAS ingaggiarono un violento scontro a fuoco con sette unita’ inglesi che incrociavano in zona e che – in preda alle fiamme – cessarono di sparare dopo un accanito combattimento.


 


Dopo lo sbarco alleato sulle coste della Francia meridionale (15 agosto 1944) una base di mezzi d’ assalto fu dislocata a San Remo e una base per i MAS fu organizzata a Savona. Anche da queste basi partirono numerose incursioni. La Xa pati’ perdite in quel periodo sia per il fuoco nemico che per il bombardamento aereo delle basi liguri


 


Venne organizzata e attrezzata una colonna mobile che trasportava su autocarri gli operatori, i loro “barchini” e relative scorte di carburante, armi, munizioni, apparecchiature ed una officina meccanica con tanto di laboratorio elettrico. L’ autocolonna poteva spostarsi nei punti strategici della costa per impiantarvi in breve tempo nuove basi mimetizzate da cui operavano i mezzi in piena autonomia.


 


Nota: ad imitazione degli italiani anche i tedeschi misero a punto un loro siluro pilotato, il “Marder” che era una specie di maiale (SLC o siluro a lenta corsa, usato dalla Decima)  composto da due siluri sovrapposti. 23 Marder il 23 marzo tentarono di attaccare la flotta anglo-americana al largo di Anzio, l’ impresa falli e numerosi piloti tedeschi furono catturati. Ripeterono l’azione il 21 aprile con 20 siluri pilotati, subendo il totale fallimento e la perdita di tutti i mezzi di una ventina di uomini. Da allora non risultano significative azioni di mezzi insidiosi tedeschi, ma anche americani, inglesi, francesi e russi cercarono di metter in campo mezzi subacquei simili a quelli condotti dagli incursori italiani, ma non solo i loro mezzi furono tecnicamente inadeguati… ma anche i loro operatori non seppero mai usarli con la perizia e l’ efficacia degli uomini della Xa Flottiglia Mas!

 
 
 

1.- Riorganizzazione di reparti navali

Post n°164 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante

Dopo l’ 8 settembre erano state rimesse in piedi anche le attivita’ specifiche marinare dei mezzi d’assalto subacquei e di superficie della vecchia Xa Mas. In questa fatica Borghese fu coadiuvato principalmente dal CC Mario Arillo, dal CF Alberto Agostini, dal TV Ungarillo Ungarelli, dal CC Antonio Di Giacomo, dal STV Elio Scardamaglia e da altri fedelissimi che affrontarono e superarono con senso pratico infinite difficolta’ tecniche e l’ostruzionismo sistematico della Marina germanica.


 


In pochi mesi – scriveva Borghese – il lavoro preparatorio riporto’ il reparto navale alla primitiva efficienza e fu possibile organizzare le prime operazioni belliche.

 
 
 

LE AZIONI IN MARE

Post n°163 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da decimacomandante

 


Prima di passare alle vicende del battaglione “Lupo”, che abbiamo lasciato a Milano in attesa di raggiungere il fronte, e’ doveroso soffermarsi – sia pur brevemente – sulla vasta e capillare organizzazione del reparti navali e anfibi della Xa Flottiglia Mas, solidali in un sistema di numerose specializzazioni militari con funzioni specifiche e complementari.


 


Poco si sa e pochissimo si racconta di queste ardite imprese di uomini spinti dal coraggio, dall’ incoscienza ma soprattutto dalla ferma volonta’ di riscattare, anche con la vita, l’ Onore della Patria affossato dai re e dai badogliani in “un’ ora di vilta”. Noi lo faremo seguendo le note ed i riferimenti riportati da Mario Bordogna (dal luglio 1944 ufficiale d’ordinanza del Comandante Borghese) nel libro “Junio Valerio Borghese e la X a Flottiglia Mas – dall’ 8 settembre 1943 al 26 aprile 1945” ed. Mursia.

 
 
 

 

---

Junio Valerio BORGHESE

Capitano di Corvetta

Nacque a Roma il 6 giugno 1906. Allievo all'Accademia Navale di Livorno dal 1923, nel luglio 1928 conseguì la nomina a Guardiamarina ed imbarcò sull'incrociatore Trento.

Promosso Sottotenente di Vascello nel 1929, prese imbarco sul cacciatorpediniere Fabrizi e nel 1933, nel grado di Tenente di Vascello, imbarcò sui sommergibili Tricheco ed Iride; con quest'ultimo partecipò a missioni operative durante il conflitto italo-etiopico e nella guerra di Spagna.

Allo scoppio del secondo conflitto mondiale ebbe il comando del sommergibile Vettor Pisani e nell'agosto 1940, promosso Capitano di Corvetta, ebbe il comando del sommergibile Sciré con il quale trasportò mezzi ed operatori nelle missioni di Gibilterra e di Alessandria.

Costituitasi il 15 maggio 1940 la X Flottiglia MAS per Mezzi d'Assalto, assunse il comando del Reparto Operatori Subacquei e con la promozione a Capitano di Fregata, anche quello della Flottiglia. Al comando dello Sciré trasportò ad Alessandria gli operatori subacquei che nella notte fra il 18 ed il 19 dicembre 1941 violarono la munitissima base navale inglese di Alessandria ed affondarono le due corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth.

Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e comandò, fino al termine del conflitto, la ricostituita X Flottiglia MAS. Posto in congedo mori a Cadice (Spagna) il 26-8-1974. E' sepolto nella Cappella Borghese di Santa Maria Maggiore in Roma.

 

C.C. J. V. Borghese

Motivazione della Medaglia d'oro al Valor Militare

Comandante di sommergibile, aveva già dimostrato in precedenti circostanze di possedere delle doti di ardimento e di slancio. Incaricato di riportare nelle immediate vicinanze di una munitissima base navale nemica alcuni volontari, destinati a tentarne il forzamento con mezzi micidiali, incontrava nel corso dei reiterati tentativi di raggiungere lo scopo prefisso, le più aspre difficoltà create dalla violenta reazione nemica e dalle condizioni del mare e delle correnti. Dopo aver superato con il più assoluto sprezzo del pericolo e con vero sangue freddo gli ostacoli opposti dall'uomo e dalla natura, riusciva ad assolvere in maniera completa il compito affidatogli, emergendo a brevissima distanza dall'ingresso della base nemica ed effettuando con calma e con serenità le operazioni di fuoriuscita del personale. Durante la navigazione di ritorno, sventava la rinnovata caccia del nemico e, nonostante le difficilissime condizioni di assetto in cui era venuto a trovarsi il sommergibile, padroneggiava la situazione, per porre in salvo l'unità e il suo equipaggio.

Mirabile esempio di cosciente coraggio, spinto agli estremi limiti di perfetto dominio d'ogni avverso evento.

Mediterraneo Occidentale, 21 ottobre - 3 novembre 1940 

Altre decorazioni a riconoscimenti per merito di guerra:

  • Medaglia di Bronzo al Valore Militare (Mediterraneo occidentale, febbraio 1938)
  • Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia (Mediterraneo orientale, dicembre 1941)
  • Promozione al grado di Capitano di Fregata (1941).

 
 

L' idea dello "scudetto" con il teschio e la rosa rossa ci venne ricordando il comandante Todaro, Medaglia d' oro, una delle figure leggendarie della Decima ante 8 settembre.

Todaro, come Teseo Tesei, un altro dei nostri eroi, aveva lasciato a noi della Decima una traccia profonda ed indelebile. Todaro era il mistico di un determinato tipo di vita, che cercava piu' che la vittoria... una bella morte. "Non importa" ci diceva "affondare la nave nemica. Una nave viene ricostruita. Quello che importa e' dimostrare al nemico che ci sono degli italiani capaci di morire gettandosi con un carico di esplosivo contro le fiancate del naviglio avversario". Tra l' altro, prima di cadere, ci aveva parlato del suo desiderio di coniare un distintivo dove apparisse l' emblema di una rosa rossa in bocca ad un teschio: "Perche' per noi" aveva detto " la morte in combattimento e' una cosa bella, profumata"

Nel suo ricordo, disegnammo cosi' lo "scudetto": E mai, forse, un distintivo fu "capito" e portato con tanta passione. Perche' sintetizzo' veramente lo spirito rivoluzionario, beffardo, coraggioso, leale che animo' in terra ed in mare, gli uomini della Decima repubblicana"

(J. V. Borghese)

 

Quando mi accorsi che attorno a noi si era creato il vuoto, che istituzioni, enti, comandi e cosi' via non esistevano piu'... capii che era necessario interpretare in senso rivoluzionario la nuova realta' e fornire agli uomini che stavano radunandosi attorno a me delle direttive atte a rompere decisamente con gli schemi di un passato e di una tradizione che non avevano retto alla prova dei fatti. Emanai cosi' alcune disposizioni fondamentali:                            

  1. Rancio unico per ufficiali, sottufficiali e marinai
  2. Panno della divisa uguale per tutti
  3. Sospensione di ogni promozione sino alla fine della guerra, fatta eccezione per le promozioni per merito di guerra sul campo
  4. Reclutamento esclusivamente volontario
  5. Pena di morte per i militari della Decima che vengano riconosciuti colpevoli di furto o saccheggio, diserzione, codardia di fronte al nemico

Il profondo significato morale e spirituale di queste disposizioni fu pienamente inteso dai volontari della Decima...!

J.V. Borghese

 
BIBLIOGRAFIA:
 
DECIMA MARINAI! DECIMA COMANDANTE!, di Guido Bonvicini, ed. Mursia
GLI ULTIMI IN GRIGIOVERDE - vol. II, di Giorgio Pisanò, ed. CEN,
BATTAGLIONE FULMINE - Xa FLOTTIGLIA MAS, a cura di Maurizio Gamberini e Riccardo Maculan, Editrice lo Scarabeo
BERSAGLIERI IN VENEZIA GIULIA 1943 - 1945, di Teodoro Francesconi, Ed. Del Baccia
GORIZIA 1940 - 1947, di Teodoro Francesconi, Ed. dell'Uomo Libero
NEL RICORDO DEL BATTAGLIONE FULMINE, a cura di Carlo A. Panzarasa ed Emilio Maluta
SOLI CONTRO TUTTI, di Nino Arena, ed. Ultima Crociata
Notiziario dell'Associazione ex Combattenti Decima Flottiglia MAS n°8
 
TIBET LIBERO

 

AREA PERSONALE

 

ULTIME VISITE AL BLOG

HeiligeLanzegeom_guzzidanilopellegrini43Hadonescuolaodmikefonlucatamburini83albertorossi61blinlastafGiampi2604alescrisostomo72s.molinellilga72
 

FACEBOOK

 
 

ULTIMI COMMENTI

 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963