Creato da: infernox il 24/11/2011
ln tempo di crisi, gli intelligenti cercano soluzioni, gli imbecilli cercano colpevoli.

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« Scritto il 6 settembre 2011Meglio la troika »

L'efficienza dei partiti

Post n°21 pubblicato il 29 Luglio 2012 da infernox

E’ domenica.     Lettura di un ottimo articolo sulla situazione politica odierna, scritto da Ricolfi sulla Stampa.    Ricolfi ha il merito di analizzare l’argomento dal punto di vista dello scienziato, in modo asettico.

 

In effetti la situazione, come ho gia’ avuto modo di definirla, e’ un po’ kafkiana.   C’e’ un Governo “non-eletto”, che gode di una maggioranza stratosferica, rispetto ai governi precedenti, e che continua il suo iter abbastanza agevolmente, anche se non tutte le cose che fa sono poi commendevoli.   In ogni caso il procedere delle riforme non si interrompe, e piano piano qualche problema in piu’ (dell’Italia) viene risolto.

 

Sto parlando ovviamente dei problemi economici, per esempio la spesa per pensioni, o per la sanita’, etc.    Il Governo incide soprattutto su questo lato delle riforme (ultimo il provvedimento preso ieri, che riguarda l’aumento delle tasse universitarie per i fuori-corso).

 

Ci sono pero’ altre riforme che non competono al Governo, e si rifanno per esempio alla modifica della legge elettorale, oppure a riforme di tipo costituzionale (la forma di stato, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, i poteri delle Camere, etc).    Qui il Governo non opera, ed il campo e’ lasciato ai partiti.

 

Ovviamente in questi campi dopo nove mesi siamo allo zero totale.   La maggioranza stratosferica si liquefa in un’amalgama mal assortita, ed ognuno va per la sua traiettoria senza che si combini nulla.   Questo e’ la dimostrazione piu’ evidente che il grado di efficienza ed affidabilita’ dei partiti, quando non sono “sotto tutela” della badante Monti, e’ assolutamente pari a zero.

 

Prendiamo la legge elettorale.   In che modo una legge elettorale possa influire sulla governabilita’ e’ un dilemma di difficile risoluzione.   Il Porcellum (legge attuale) ha dato una maggioranza solida alla destra nelle ultime elezioni, ma questa maggioranza si e’ sfaldata lo stesso dopo circa due anni.

 

Un’obiezione che si fa al Porcellum e’ quella delle liste bloccate, ma anche la proposta del PD, che prevede i collegi, non risolve questo lato del problema, perche’ ci sono un buon 50% dei collegi dove il risultato e’ abbastanza scontato, e quindi e’ facile per i partiti designare in tali collegi un candidato di comodo, ottenendo lo stesso risultato delle liste bloccate.

 

Il PDL invece propone un ritorno alle preferenze, abrogate a furor di popolo nel 1991 a seguito di un referendum.   Questa scelta implica che ogni candidato faccia una campagna elettorale dispendiosa e lunga, per farsi conoscere, e comunque favorisce i candidati gia’ noti al grande pubblico, e non prelude affatto ad un ricambio scontato della classe politica.   A meno che la gente non decida (e potrebbe anche farlo) di non votare piu’ per i vecchi nomi noti e di scegliere abbastanza a caso qualche nome nuovo nelle liste.   In ogni caso le liste le compongono i partiti e quindi occorre essere “scelti” per poter essere poi eletti.

 

Beh, adesso propongo l’articolo di Ricolfi, che introduce qualche ulteriore riflessione “scientifica” sull’argomento:

 

Sono fra i pochi italiani che non sognano di presentare una propria lista alle prossime elezioni politiche, e proprio per questo mi sento più libero di osservare le liste altrui. Che da un po’ di tempo pullulano un po’ ovunque, e rendono difficile orientarsi in vista della prossima scadenza elettorale.

Prevista da alcuni per aprile 2013 (fine naturale della legislatura), da altri già per il novembre prossimo (elezioni anticipate). Anche limitando l’attenzione alle liste meno improbabili o improponibili, l’elenco è già piuttosto lungo: Movimento Cinque stelle (Grillo), Italia Futura (Montezemolo), Grande Sud (Miccichè e Poli Bortone), Sel (Vendola), lista Monti, lista Tremonti, lista Passera, lista Berlusconi, lista Giannino, lista Scalfari. Senza contare le liste già evaporate del Terzo polo (Fli, Api), o le molte liste che potrebbero travestire o incorporare i vecchi partiti. Dalle parti di Berlusconi, ad esempio, si parla di un nuovo nome per il Pdl («Vola Italia»?), e di un nuovo simbolo (l’aquilone); dalle parti di Casini si è spesso parlato di un contenitore per i cosiddetti moderati più ampio dell’Udc (il «Partito della Nazione»); dalle parti di Di Pietro e della Lega si cercano stratagemmi per non sparire: a Di Pietro piacerebbe essere, diciamo così, «ospitato» dal movimento di Grillo, Maroni ha già fatto togliere il nome di Bossi dal simbolo della Lega; il Pd sembra tentato dalla vecchia formula degli «indipendenti di sinistra», che questa volta potrebbe essere riesumata o candidando al Parlamento rappresentanti della società civile, o collegandosi a una lista civica (lista Scalfari?), o facendo entrambe le cose.

Insomma, la confusione è grande, e il non sapere con che legge elettorale si voterà non fa che aumentare la confusione stessa. Una confusione che è amplificata dai sondaggi che gli aspiranti leader di nuove liste commissionano ai sondaggisti. L’argomento è un po’ tecnico, ma vale la pena ugualmente accennarvi con un esempio. Un nuovo leader X commissiona all’istituto demoscopico Y un sondaggio per sapere quanti italiani sarebbero seriamente intenzionati a votare la sua nuova lista Z. Il sondaggista, raggiante, gli comunica: ben il 12%. Il nuovo leader presenta la sua nuova lista e, inaspettatamente, prende il 4% scarso, senza nemmeno passare la soglia di sbarramento. Che cosa è successo? Il sondaggista ha preso una cantonata? No, semplicemente è successo che alle elezioni si sono presentate altre due liste affini alla lista Z - chiamiamole Z1 e Z2 - e tutte e tre insieme si sono spartite il 12% delle nostre intenzioni di voto, intercettando rispettivamente il 4% (lista Z), il 3% (lista Z1), il 5% (lista Z2). In breve, voglio dire che il successo elettorale di un partito non dipende tanto dal suo indice di gradimento, ma dal tasso di affollamento della regione dello spazio politico che intende occupare. Sicché, se non si sa ancora chi parteciperà al voto, gli esiti dei sondaggi possono risultare molto fuorvianti.

Dunque il vero problema, per le prossime elezioni, sarà di capire come sarà fatto lo spazio politico e chi lo occuperà effettivamente, visto che ci saranno molte sigle nuove, e nello stesso tempo tante sigle spariranno o finiranno per restare sulla carta. In attesa di sapere chi si presenterà davvero, possiamo cercare di capire come sarà fatto lo spazio politico e che tipo di forze proveranno a occuparlo. Un modo per capirlo, a mio parere, sarà di sottoporre ogni forza politica, vecchia o nuova che sia, a due test, che chiamerò zattera-test e Monti-test.

Il primo è un test, per così dire, sociologico. Si tratta di capire, scorrendo l’elenco dei candidati e le loro posizioni nelle graduatorie interne dei partiti, se la lista è una lista-zattera oppure no. Per lista-zattera intendo una lista concepita prevalentemente per traghettare nel nuovo Parlamento persone che, pur avendoci malgovernato per decenni, non intendono rinunciare alla carriera politica, o perché ne hanno assoluto bisogno (rinviati a giudizio e condannati più o meno definitivi), o perché non saprebbero cosa altro fare nella vita, o perché si ritengono indispensabili, insostituibili o, come amano dire quando parlano di se stessi, si sentono «una risorsa per il paese».

Non è difficile costruire un tale test, studiando la composizione per età, genere, anzianità parlamentare e status penale dei candidati che ogni partito mette in pole position. Perché mentre è verissimo che un singolo non può essere escluso o demonizzato solo perché è maschio, ultrasessantenne e magari ha fatto 4 legislature, lo stesso discorso non vale per un partito che è pieno zeppo di persone con quel tipo di profilo. E’ facile prevedere che, alle prossime elezioni, molte liste non passeranno lo zattera-test. Non solo, ma è estremamente probabile che il sistema con cui si voterà sarà comunque - sotto questo profilo - molto simile a quello attuale, proprio per consentire ai partiti di gestire le progressioni di carriera dei loro membri senza la fastidiosa interferenza dei cittadini-elettori. E’ per questo che, a parole, tutti i partiti sono contro il porcellum, ma poi - quando si tratta di sostituirlo - si sbizzarriscono in proposte che conservano la loro «quota di porcellum», ossia la possibilità di assicurare l’elezione ai candidati scelti dal partito.

Il secondo test, invece, è di natura strettamente politica. Alle prossime elezioni, lo si voglia o no, il metro fondamentale con cui dovremo misurarci sarà quel che ha fatto il governo Monti. Destra e sinistra c’entreranno poco, per il buon motivo che - quando sono state al governo - hanno entrambe fatto molto meno di quel che si sarebbe dovuto fare per evitare il declino dell’Italia. Sicché, alla fine, io vedo solo quattro posizioni di fondo, e quindi quattro esiti possibili di un Monti-test applicato a una forza politica. Provo a esporle sinteticamente, su una scala crescente di «montismo».

Posizione A (anti-montiani). Monti ha fatto male, troppe tasse, troppa macelleria sociale. L’Europa e la Merkel ci strangolano. Non possiamo escludere un ritorno alla lira. Qui si ritrovano il Movimento Cinque Stelle (Grillo), la Lega Nord (Maroni), L’Italia dei valori (Di Pietro) e in parte Sel (Vendola).

Posizione B (montiani semi-pentiti). Monti ha fatto bene, ma noi avremmo fatto un po’ diverso, ossia meglio. E’ la posizione comune di Pdl e Pd, che si differenziano fra loro solo per quel che di leggermente diverso avrebbero fatto. Questo «leggermente diverso» significa meno tasse per il Pdl, meno riduzioni di spesa pubblica per il Pd. In buona sostanza significa un po’ meno rigore sui conti pubblici, anche se a spese di ceti sociali diversi (il Pdl a spese dei dipendenti pubblici, il Pd a spese delle partite Iva).

Posizione C (montiani puri). Monti ha fatto il massimo, bisogna continuare con l’agenda Monti. Solo Monti ha l’autorevolezza per difendere gli interessi italiani di fronte all’Europa. Il cammino delle riforme va proseguito con determinazione. Qui troviamo l’Udc (Casini), i montiani del Pd (ad esempio Pietro Ichino), nonché - ovviamente - il variegato mondo delle liste-Monti più o meno esplicite (lista Passera?).

Posizione D (oltre-montiani). Monti ha fatto bene, ma poteva e doveva fare molto di più. Più liberalizzazioni e alienazioni del patrimonio pubblico, più spending review, meno tasse sui produttori. In breve, si tratta di essere più montiani di Monti. Più che continuare con l’agenda del Monti-politico, andare avanti con l’agenda del Monti-studioso, del Monti commissario-europeo, del Monti editorialista del Corriere della sera. Qui troviamo la massima concentrazione di liste nuove: la lista Giannino (presentata ieri), la lista Montezemolo, una eventuale lista Marcegaglia, forse le minoranze liberal-liberiste di Pd e Pdl.
Dunque il materiale per cominciare a riflettere non mancherebbe. E sarebbe bene cominciare a farlo al più presto perché, altrimenti, il rischio è che alle prossime elezioni succeda quel che succede sempre. E cioè che ognuno voti il leader o il partito che gli sta più simpatico (o meno antipatico), senza avere un’idea precisa delle conseguenze di quel voto sul futuro dell’Italia. Fino a ieri potevamo - forse - permetterci questo lusso, oggi non più.

 

 
  

 

 

 

 
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