![](getmedia.php?Yor%60zo%26mm%7DKg%60w_gh%60%7D%7C5%3F%2544%3C2%25%3B9c50%25%3Aaiademo%25a%7CPf%3E%25%25%3E%05kmcnmgjgx%7B%27ek%2Fne%7Col%05jM)
Frammento "ascoso", dall'epilogo troppo scarno per un tal celebre personaggio. Analizziamone il perchè.
"...Tre volte il fé girar con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com'altrui piacque,
infin che 'l mar fu sovra noi richiuso."
(If, XXVI 139-142)
E' stato giustamente notato dalla critica come stranamente nell'inferno dantesco non vengano puniti i peccati di superbia e invidia. Ciò risulta vero ad una prima analisi. Ben guardando infatti, molti dei personaggi presenti nel regno oltremondano appaiono tra le righe collegati a tali vizi. La terzina proposta conclude il canto XXVI, all'interno del quale è narrato il noto incontro tra i pellegrini e Ulisse sotto forma di lingua fiammeggiante. Egli è ufficialmente un consigliere fraudolento: la retorica altisonante del suo dire ne sottolinea carisma e prestigio. Come mai dunque, una chiusa così indifferente? Nella neutralità dei versi si coglie la condanna velata e accessoria: spingendo se stesso e i compagni oltre i limiti tradizionalmente imposti alla Terra Ulisse agisce superbamente ed è, così, fautore unico del proprio destino. Non necessità dunque di partecipazione emotiva nè tantomeno intellettuale da parte dei poeti; Odisseo è autoreferenziale.