L’alba, appena sorta, tinteggiò di rosso acceso l’orizzonte, evidenziando grosse nuvole cupe. Una vela di legno, diretta chissà dove, era l’unica testimone di quella fantasmagoria di colori che facevano divampare il cielo.
A prua, un uomo osservava in silenzio.
Tutto lasciava presagire che il vento, di lì a poco, avrebbe soffiato con maggior vigore. L’uomo pensava che avrebbe dovuto ridurre la velatura, ma non si diede fretta.
Rimase immobile a guardare.
La radio di bordo diffondeva le note di una composizione di Chopin: “Tristesse”. Esse s’intonavano perfettamente con il suo animo.
Egli rimase ancora un po’ a guardare e lentamente si avviò sotto coperta. Ne uscì con grossi sacchi. Contenevano le vele da sostituire. L’operazione si svolse lentamente, quasi come un rito. Dopo aver messo a segno la velatura, indossò una cerata e si pose al timone.Rimase immobile, assorto.Sembrava desse corpo ai suoi pensieri.
Erano momenti, quelli, che immancabilmente gli facevano affiorare i ricordi, quelli più cari, che serbava gelosamente nel cuore.
Pensava ad una donna. Quella che era rimasta la sua donna, per la vita, per l’eternità. Come in un lampo intravide il suo volto, la sua figura, il suo modo di parlare, di far l’amore. Quante volte l’aveva accompagna in quei viaggi senza meta.
In cerca di niente e di tutto.
Rammentava le notti fredde in cui l’aveva riscaldata con il suo corpo, le volte in cui, nel corso della navigazione, le aveva rubato un bacio dicendole: “Ti amo amore” accompagnato da un sorriso infantile.
Lei di Cuba, corpo minuto, lineamenti dolci, modi gentili. Lo aveva incantato per la bellezza del suo volto e per la dolcezza.
Si erano conosciuti nel vecchio bar di un porto.Lei al banco, lui seduto, la guardava incantato. Una sola volta i loro occhi s’incrociarono, il resto fu amore. Grande, immenso, paragonabile ad un’onda anomala. Immensa, possente, travolgente.
Era il suo modo di amare: immenso, possente, travolgente. Proprio come un’onda anomala!
L’alba ed il tramonto erano momenti di grande angoscia. Non riusciva a dimenticare ed i ricordi lo tormentavano.
“Marliuz cazza meglio la scotta della randa”
“Amore tieni meglio il timone”
“Tesoro lasca un po’ il fiocco”.
Poi correva a porgerle un dolce e lieve bacio sulle labbra.
Orami era un rito.
Lei, di notte, cercava continuamente il contatto con il suo corpo. Non era bisogno di sesso, sembrava volesse rassicurarsi della sua presenza. Che non fosse più sola!
Un colpo di mare scosse con violenza la barca, i pensieri fuggirono dando un po’ di pace a quella mente stanca, ossessionata dalla nostalgia.
Un sigaro prese posto nelle labbra dell’uomo, l‘accendino antivento emise una fiamma giallognola ed una nuvola di fumo avvolse il volto di Manlio.
Il vento si era fatto più fresco e le onde cominciavano ad incresparsi. L’uomo indirizzò lo sguardo dove, solitamente, lei usava sedersi quando il tempo si metteva a brutto.
Era vuoto.
Rimase un attimo a guardare, poi agitando la testa, come se volesse mandar via il ricordo, mise in azione il timone automatico e lasciò la coperta della barca.
Sintonizzò la radio sulla frequenza che trasmetteva gli avvisi di mare, rilevò il punto con il GPS, lo trasferì sulla carta nautica e sistemò le poche cose rimaste sul tavolo. Il bricco del caffè, ormai vuoto, la bottiglia di grappa alla camomilla, il bicchiere di ferro smaltato sul quale aveva inciso il nome di lei.
Ormai usava solo gli oggetti appartenuti a lei. Un modo per avvertire, ancora, la sua presenza.
Ritornò in coperta ed attese.
L’orizzonte aveva cambiato i colori.Ora era livido. Nel cielo nubi cupe s’inseguivano spinte dal vento e modellate a forme strane, mutavano repentinamente.La navigazione si faceva impegnativa.
Presto Marco dovette correggere la rotta. Il vento aveva cambiato direzione e lui preferiva un’andatura che gli permettesse un facile adattamento sotto raffica.
Per diverse ore Manlio fu impegnato in una navigazione dura.
Finalmente il vento cominciò a calare. Il mare, lentamente, perdeva gran parte della sua astiosità. Dopo qualche tempo, l’uomo affidò l’imbarcazione al timone automatico e scese sottocoperta.
Ripose la cerata, si cambiò gli abiti fracidi d’acqua di mare e si concesse una lunga sorsata dalla bottiglia di grappa ed accese un sigaro.
Sapeva di dover rilevare dove la tormenta lo aveva sospinto e navigare per il porto più vicino. Ma rimase rilassato a fumare. Doveva scrollarsi un po’ della stanchezza accumulata.
Stava per prender sonno, ma si scosse. Andò al tavolo di carteggio per rilevare, dal GPS, latitudine e longitudine. Riportò i dati sulla carta nautica e digitò, sullo strumento, quelli relativi al porto da raggiungere.
In brevissimo, ebbe il nuovo angolo di rotta.Avrebbe dovuto approdare dopo alcune ore.
Manlio risalì in coperta, controllò che tutto fosse in ordine, inserì i dati della nuova rotta sul pilota automatico e ritorno in quadrato a riposare.
Si infilò nel sacco pelo. Odorava ancora di lei.Forse era il profumo inviato dai ricordi.
Era troppo stanco per farsi assalire dai fantasmi del passato e crollò in un sonno profondo. Russò come gli capitava quando era particolarmente stanco o stressato.Cosa che lo infastidiva molto quando dormiva con la sua donna.
Lei amava molto il sonno e lui non voleva che il suo respiro, pesante, la importunasse. A volte la canzonava dicendo:
“ Lo sai che dormire è un po’ come morire?”.
Fu svegliato dall’acuto richiamo di una sirena. Si precipitò verso le scalette che portavano in coperta. Cadde, intrappolato dal sacco a pelo dal quale non era riuscito ad uscire completamente.
Stava incrociando con una grossa nave.
Disattivò il pilota automatico e dando una forte angolazione alla barra del timone, si allontanò da quell’enorme ammasso di ferro. Aveva dormito alla grande. I due bracci del porto erano a poche miglia di distanza.
Entrò in rada e trovò un posto tranquillo dove ormeggiare.Le nuvole avevano dato spazio al sole, ormai al tramonto.
Sistemata la barca, Manlio si concesse una doccia e si rasò. Non aveva voglia di cucinare. Trafugò dalla cambusa formaggio, pane e la sua affezionata bottiglia di grappa alla camomilla. Si sistemò nel pozzetto e rimase in attesa della notte. Si annunciava bella dopo quella sfuriata di vento.
La luna cominciò a salire spandendo luce argentata, le stelle facevano da corona.
Il silenzio calò nel porto.
Marco rimase solo, solo come non mai era stato. Travolto dai suoi ricordi, angosciato dalla mancanza di lei.
Scese le poche scale che conducevano sottocoperta , prese il sacco a pelo e lo portò sul ponte. Sentiva freddo, ma non era quello che prende il corpo, era un freddo interiore che solo il calore un cuore può dissipare. S’infilò nel sacco a pelo. Il profumo di lei lo colpì violento, due lacrime rigarono il suo volto.
Era ancora forte il ricordo di lei, gli procurava una enorme sofferenza, ma non riusciva a mandarlo via.
Trascorse molto tempo a ricordare, ma alla fine la stanchezza gli portò il sonno.
L’alba sorse splendida e dipinse di colori nuovi le barche ormeggiate.
Era un’alba nuova, diversa dalle altre. Sembrava portasse serenità.
Passò un pescatore e volse lo sguardo verso quella barca di legno. Rollava dolcemente, come se cullasse quell’uomo abbracciato dal suo sacco a pelo.
Si fermò.
Era troppo innaturale.
Un suono lacerante di sirena ruppe il silenzio che incombeva sul porto e sul gruppo di poche persone schierate intorno alla barca. Quella giunta la sera prima.
Il destino l’aveva fatta incrociare con una brutta “tempesta”.
Fu un uomo dal camice bianco a sentire sussurrare quell’uomo.
“Forse un nome” disse in seguito.
Era lì, racchiuso in un sacco a pelo che emanava un odore particolare, d’indefinibile bellezza.
“Ma non era comprensibile” aggiunse l’uomo con il camice bianco.
“ Forse un nome straniero” .
Nell’istante in cui Manlio pronunziava delicatamente quel nome, un gabbiano dalle grosse ali volò vicinissimo alla barca, emise un roco richiamo e s’involò rapidamente.
Forse aveva ascoltato quel nome. Un piccolo nome in cui era racchiuso una grande storia d’amore.
E volarono insieme, da lei.