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Da un articolo del Corriere....Alcune considerazioni...

Post n°50 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Un recente articolo-inchiesta del Corriere della Sera denuncia la pratica di alcune scuole private che non pagano i propri docenti. Tali docenti, a loro volta, accettano di lavorare gratuitamente perché l'esperienza accumulata nelle scuole private viene poi usata per accedere all'impiego pubblico. L'articolo si riferisce in particolare alla Campania, ma il fenomeno non sembra essere limitato a questa regione.
Come spesso accade quando si parla di precariato e dintorni l'articolo adotta un tono moralistico ed evita di indagare più a fondo le ragioni economiche del diffondersi di tali pratiche. È un peccato, perché se non si capiscono le ragioni economiche si finiscono poi per proporre rimedi inefficaci e fantasiosi.
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Per chi non ha voglia di leggersi l'articolo la sintesi è in questo pezzo del paragrafo iniziale.

"Esiste ormai da anni una regola tacita imposta dai dirigenti di tante scuole private ai docenti freschi di abilitazione all'insegnamento che entrano nel mondo della scuola attraverso il canale degli istituti privati: le scuole paritarie assumono con un regolare contratto i giovani insegnanti permettendo loro di accumulare punteggio e scalare le graduatorie provinciali d'insegnamento (condizione necessaria per lavorare un giorno nella scuola pubblica e ottenere il fatidico posto fisso). I docenti in cambio accettano di lavorare gratuitamente o per poche centinaia di euro nelle scuole private. È raro che un giovane insegnante si ribelli a questa prassi: nelle regioni meridionali il numero dei docenti precari è molto alto e le scuole private non hanno problemi a trovare insegnanti pronti a tutto pur di ottenere un incarico annuale."

A dir la verità, l'evidenza empirica offerta nell'articolo non è molto soddisfacente. Infatti l'articolo si limita a riportare tre interviste. La prima è di una certa M., ''trentenne che da quasi tre anni lavora in un istituto primario paritario ... a metà strada tra Salerno e Napoli'' e dichiara di ricevere solo 300 euro al mese. La seconda è di S., che ha lavorato 6 anni per 200 euro al mese ma ora è felicemente approdato a un posto fisso in un liceo pubblico di Salerno. Infine G., che ''ha 27 anni ed è alla sua seconda esperienza in una scuola privata del salernitano'', e dichiara di lavorare del tutto gratuitamente.
È un po' poco per sostenere la tesi che la pratica viene adottata ''dai dirigenti di tante scuole private''. Voglio però sperare che il giornalista che ha scritto l'articolo lo abbia fatto spinto dalla conoscenza di una realtà sufficientemente vasta da poter essere considerata significativa e cha abbia usato le interviste come rappresentative di una situazione diffusa (se così non è, ciò che dico nel resto dell'articolo è basato su fatti erronei e può quindi essere ignorato). I commenti all'articolo, giunti copiosi, sembrano inoltre indicare che il fenomeno è noto e diffuso. Prenderò quindi sul serio la tesi dell'articolo, assumendo che la situazione descritta nel paragrafo introduttivo sia una buona approssimazione della realtà. Prenderò anche sul serio la tesi che tale realtà differisca tra Nord e Sud del paese; questo sembra trasparire dai commenti e dal tono dell'articolo, che in effetti si concentra sulla ''Campania'', anche se ad essere onesti qui l'evidenza diretta è un po' più debole.
Cerchiamo prima di tutto di valutare cosa sta succedendo con gli strumenti di un economista. I docenti che accettano di prestare i propri servizi senza farsi pagare lo fanno volontariamente. Essendo presumibilmente persone che non agiscono intenzionalmente per farsi del male, lo fanno perché ritengono che tale azione sia meglio delle alternative (non lavorare, cercare un lavoro in un altro settore, emigrare). Come chiarisce l'articolo, la controparte della transazione è la concessione di punteggio che aumenta la probabilità di ottenere un posto fisso in una scuola pubblica. Deve essere quindi vero che tale aumento di probabilità più che compensa, in valore economico, il sacrificio di lavorare gratuitamente o quasi.
Come è possibile ciò? Stiamo parlando di valori economici non indifferenti. L'unico caso giunto a maturazione, quello di S., riguarda 6 anni di lavoro quasi gratuito. S. non sembra reputarsi sfortunato, e dice tranquillamente che ne è valsa la pena per ottenere alla fine il posto publico. Ma anche se in media occorresse aspettare meno, diciamo quattro anni, si tratterebbe comunque di periodi cospicui.
Qual è il valore di un posto alla scuola pubblica? Esso è dato dal valore atteso scontato della differenza tra l'utilità che si ottiene in tale posto e l'utilità che si ottiene nel migliore impiego alternativo (ossia, principalmente, l'utilità che si ottiene migrando o cercando lavoro in un settore diverso dalla scuola). Chiamerò tale differenza ''rendita da impiego pubblico''. L'utilità è funzione del salario che si riceve e delle condizioni di lavoro. È difficile comparare le condizioni di lavoro, ma un ovvio beneficio del posto pubblico, rispetto a quello privato, è la sua stabilità. Data l'importanza di tale aspetto, sospetto che in generale a parità di salario un agente razionale preferisca il posto pubblico.
L'aspetto salariale però è altrettanto importante, e probabilmente offre la chiave per comprendere perché il fenomeno risulta essere più diffuso nelle regioni meridionali. È fatto abbastanza noto che il costo della vita varia a seconda delle zone del paese; il effetti il costo della vita risulta tipicamente essere inferiore al Sud che al Nord (si veda questa ricerca condotta dall'Istat e da altri istituti di ricerca per evidenza più precisa di questo fatto). Secondo la curiosissima nozione di egalitarismo che prevale in Italia, sono i salari nominali dei dipendenti pubblici che vanno uguagliati tra le diverse aree territoriali, piuttosto che i salari reali. Data la realtà prevalente di un costo della vita inferiore al Sud, questo significa che il salario reale di un dipendente pubblico (e quindi di un insegnante) è più alto al Sud che al Nord. Si aggiunga a questo che i salari del settore privato sono più bassi al Sud che al Nord (si veda ad esempio questo rapporto ISFOL). Riassumendo: il salario reale che si ottiene con un impiego pubblico è più alto al Sud che al Nord, mentre il salario reale che si ottiene fuori dal settore pubblico è più basso al Sud che al Nord. La differenze è quindi, senza ambiguità, più alta al Sud che al Nord. Se ne conclude che la rendita da impiego pubblico è più alta al Sud che al Nord, e quindi dobbiamo aspettarci che la gente sia disposta a fare più sacrifici al Sud che al Nord per accaparrarsi tale rendita.
A chi va la rendita? Questo dipende dal meccanismo di allocazione. In generale possiamo vedere il processo di assegnazione della rendita come una lotteria, in cui i partecipanti possono aumentare la probabilità di vittoria mediante l'acquisizione costosa di ''biglietti''. Per esempio, un sistema in cui il posto pubblico viene assegnato a caso tra tutti quelli che hanno l'abilitazione equivale a una lotteria in cui ciascuno ha esattamente un biglietto gratuitamente distribuito, e ha quindi uguale probabilità di vittoria. Con tale sistema la rendita affluisce interamente ai fortunati vincitori.
Il sistema usato in Italia è differente, dato che è possibile aumentare la probabilità di vittoria, tra le altre cose, mediante insegnamento nelle scuole private. Questo è equivalente a regalare alle scuole private un pacchetto di biglietti della lotteria, che poi sono libere di vendere al miglior offerente. A quale prezzo? Al prezzo determinato dalla concorrenza tra coloro che cercano di acquisire la rendita. Il fatto che il prezzo venga pagato in termini di ore di lavoro gratuito, piuttosto che con un esborso monetario, non cambia la natura economica della transazione. Se è vero quanto riportato dall'articolo, per cui gli insegnanti sono disposti a lavorare gratis o quasi per anni, questo significa che il prezzo d'equilibrio di tali biglietti è alto assai.
Che fare? Leggendo i commenti saltano fuori le solite soluzioni dirigiste-giustizialiste. Obblighiamo le scuole a pagare per bonifico bancario. Mandiamo gli ispettori del lavoro. Mandiamo la guardia di finanza. Si tratta sempre di soluzioni inefficaci. La logica economica è stringente: il meccanismo attuale consente alle scuole private la creazione dal nulla di un bene economico, ossia l'aumentata probabilità di accesso alla rendita da impiego pubblico, e gli incentivi alla produzione sono quindi forti. Il problema è come spartire la torta, e le quote verranno determinate dalla concorrenza. Imponendo il bonifico bancario, per esempio, si ottiene solo che le scuole private richiedano più ore di insegnamento, o più banalmente richiedano la restituzione brevi manu dei soldi previamente depositati. Le transazioni di cui stiamo parlando, è bene tenerlo a mente, sono interamente volontarie da entrambe le parti. È estremamente difficile impedire uno scambio tra due parti consenzienti.
Una soluzione che ovviamente funziona è quella di eliminare il vantaggio che l'insegnamento nella scuola private conferisce per l'ottenimento del posto pubblico. Questo è equivalente a sottrarre alle scuole private i biglietti della lotteria, e distribuirli a qualcun altro. Quando dico ''funziona'' intendo che elimina le rendite che affluiscono alle scuole private, e che onestamente non hanno giustificazione economica, perlomeno in questa forma. Se si decide di finanziare le scuole private infatti bisogna farlo apertamente, non mediante meccanismi occulti e distorsivi che oltretutto premiano comportamenti illegali.
Non ci si illuda però che, a seguito di tale provvedimento, tutti i posti da insegnante nella scuola privata attualmente sottopagati verranno magicamente trasformati in posti pagati al pari della scuola pubblica. Tanti di questi posti semplicemente spariranno.
Non conosco a sufficienza il meccanismo di assegnazione dei posti di insegnati per valutare chi beneficerebbe dalla sottrazione dei ''biglietti della lotteria'' alle scuole private. In generale, se ci sono altri soggetti che possono far aumentare la probabilità di ottenere la rendita (per esempio, politici o burocrati che possono influenzare l'assegnazione dei contratti di supplenza nella scuola pubblica), ci si può aspettare che aumenterà la fetta di rendita che va a tali soggetti.

Ovviamente esiste una soluzione semplice semplice che elimina distorsioni, malcostume e comportamenti illegali: ridurre drasticamente la rendita da impiego pubblico. C'è qualcuno che ne parla?

fonte: NFA

 
 
 
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