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Post n°55 pubblicato il 21 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Due riflessioni rischiose sul fenomeno Barack Obama, non più candidato, non più presidente in pectore, ma Presidente.
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Obama e BushHo sentito l'inaugurazione di Obama come cosa abbastanza aliena, della quale avere un certo, quasi reverenziale, timore. Certo una cosa non mia, per niente mia.
Non tanto il discorso - per quanto, anche il discorso ... - né l'imponenza dello spettacolo, i suoi costi (andranno nello stimulus plan) o lo show musicale, il ballo del Commander in Chief e tutto il resto. La presidenza USA è sempre stata imperiale, così è stata concepita sin dai suoi albori e non vi è nulla di sorprendente che ogni nuovo presidente cerchi di eclissare l'anteriore proprio lungo la dimensione imperiale, di fasto e potenza, che così tanto conta nell'immaginario di questa nazione. Questo è ancor più comprensibile in una situazione di profonda crisi quale la presente ed a fronte di un cambio della guardia fra due persone così, apparentemente, diverse e, certamente, così politicamente contrapposte. Il presidente più di "sinistra" da sempre succede ad uno dei presidenti più di "destra" di sempre: ovvio che voglia far vedere al suo paese ed al mondo la propria potenza.
Tutto questo, insomma, era previsto e, se non vi fosse stato il resto, credo che avrebbe potuto servire per farmi sentire, almeno emozionalmente, anche io partecipe di questo "cambio epocale". Il problema è che io non vedo alcun cambio epocale, anzi: vedo continuità. Assurdo? Può darsi, per cui mi spiego.
Non vedo, ovviamente, continuità nelle politiche relative ai diritti umani (l'ovvio esempio: oggi stesso Obama ha ordinato la sospensione dei processi a Guantanamo, le misure di detenzione già sono state modificate e presto son certo che il lager verrà chiuso) né, in parte, della politica estera. Su questa comunque pesano sia la storia passata che quella più recente, definendo dei vincoli tanto stretti che, credo, se Barack Obama riuscisse veramente a farli saltare durante il suo mandato, dovrei sorprendermi alquanto. Non ho dubbio, comunque, che l'uomo ci proverà. A questo livello, quindi, continuità zero.
La politica sociale, penseranno alcuni, è un'altra dimensione lungo la quale Obama sarà senz'altro ortogonale a Bush. Discorso troppo lungo da farsi, per cui vado per slogan: aldilà delle cretinate propagandistiche che scrivono i giornali italiani, la politica sociale di Bush non è stata tanto diversa da quella di Clinton e quella di Obama nemmeno sarà tanto diversa da quella di Clinton, per cui ... Chi vivrà vedrà ma evitiamo la mitologia della spesa pubblica in infrastrutture che non c'è stata per otto anni ed ora esplode. La contabilità è molto semplice: quello che si riuscirà a risparmiare riducendo le spese in Iraq (sperando di non aumentarle in Afghanistan) si spenderà a casa, più un pelo di extra deficit. Punto. Ma lasciamo stare, ci sarà tempo per questo.
Vengo quindi alla continuità, che è semplicemente detta.

"I am (we are) on a mission from God."

God, per carità, c'è sempre nei discorsi dei presidenti USA, per cui tutto dipende dall'intensità con cui lo tirano fuori, e quando, e per quali ragioni. E quanto spazio decidono di dare ai simboli religiosi, ai messaggi religiosi, nelle loro apparizioni pubbliche. Di Bush, che con il suo God ci parlava faccia a faccia, sappiamo già tutto, inclusi gli scherzetti che gli ha tirato in Iraq. Riflettiamo su Obama, invece.
I suoi discorsi, lo sappiamo, sono quelli dei pastori battisti americani. Nel suo discorso inaugurale, il signor God è spuntato solo cinque volte (nelle varie analisi non ho trovato alcun confronto con quello di Bush, ma spunterà ...), ma l'intero messaggio aveva carica religiosa. Ha deciso di far aprire la cerimonia da un prete, battista anche questo se ho capito bene, il quale ha pregato (tutti in ginocchio, tutti a capo chino) per dieci minuti, finendo con un bel "amen". Il suo continuo appellarsi alla fede è parallelo a quello di Bush, eccetera. Potrei continuare, ma alla fine ciò che conta non sono tanto i singoli atti o le parole, ma l'intera atmosfera che, sia oggi che nei giorni scorsi, sia qui che all'estero, sui giornali e in televisione, aveva uno e un solo messaggio: questo è un second coming, un momento di rigenerazione (espiazione no, grazie, abbiamo già dato), di rinnovamento interiore e materiale che otterremo seguendo la guida di un grande e nuovo leader. Il quale, magari, non sarà letteralmente quello previsto dai teorici del second coming, ma gli assomiglia alquanto.
E in questo, in questa visione messianica del suo ruolo, nell'idea chiarissima in "tutti" che da lui, dalla sua amministrazione, dalle sue scelte dipende il nostro futuro, dall'idea che dio è con noi e ci guida e siamo la nazione prescelta, dall'idea che occorre rifondare il paese dalle radici, tornare alla "vera America" (quante volte l'ha ripetuto questo concetto?), dall'idea che poiché abbiamo eletto un nero alla presidenza il nostro (USA) peccato originale ci è stato perdonato, abbiamo espiato ed ora siamo una nazione più pura, unita, giusta, in tutto questo incredibile simbolismo ed in questo afflato religioso, di palingenesi totale ... in questo io trovo, profonda, la continuità con George W. Bush.
La differenza che tutti notano, ossia che Bush è un fondamentalista religioso di destra mentre Obama è un fondamentalista religioso di sinistra, a me sembra completamente secondaria. Entrambi, Bush ed Obama, sono l'espressione politica di quello che Bob Fogel chiama The Fourth Great Awakening (leggetevelo il libro, ve lo raccomando) che è in corso nella società americana dagli anni '50-'60 e che sta ora giungendo a maturazione. Ciò che rende questo risveglio religioso potenzialmente negativo, è il suo intrecciarsi e scontrarsi con un altro risveglio religioso, quello del fondamentalismo musulmano. Che, guarda caso, inizia proprio nello stesso periodo, fine anni '50 - inizio anni '60, in cui Fogel data le origini dell'americano, ed ha le stesse motivazioni socioeconomiche.
Da questo punto di vista, il risorgere di "dio-patria-famiglia" in Europa - sia esso nella versione medievale del signor Ratzinger, o in quella d'avanspettacolo del duo di laidi peccatori BS-Fini, o in quella del nazionalismo aggressivo di santa madre Russia - io lo vedo come l'eco, il riflesso necessario, di queste due emergenze, più profonde, più antiche e senz'altro più "sentite" (nel senso in cui i risvegli religiosi devono essere "sentiti" dal popolo per avere rilevanza storica). La riscoperta europea della supposta identità cristiana (in qualsivoglia variante) è un processo che parte dalle elites politiche e religiose e che viene fatto proprio dalle masse solo come strumento per reagire ad un'aggressione esterna (l'immigrazione, prima ancora che il terrorismo). Essa è uno scudo di autodifesa, la manifestazione di un'identità che dovendosi affermare "altra" dal moro immigrato lo fa in modo banale, appellandosi ai simboli storici di quella identità: la croce contro la mezzaluna. Ma non è questo un risveglio religioso, una riscoperta di spiritualità, un afflato morale, un richiamo a valori antichi che di nuovo vengono praticati, e così via. Tutto questo, nelle masse europee, non sta accadendo: esse vivono e si comportano tanto secolarmente ed irreligiosamente ora quanto trent'anni fa. Questo al contrario delle masse americane, specialmente le meno abbienti, per le quali la riscoperta della religiosità è effettiva ed influenza drasticamente i comportamenti anche quotidiani, i sistemi di valori, le scelte, la visione del mondo. Ed in contrasto, ovviamente, delle centinaia di milioni di musulmani che vanno progressivamente identificandosi con la versione integralista della loro religione.
In Europa la "cristianita'" è una "buzz-word" che serve una funzione di coordinazione politica per la nuova destra europea, per niente liberale, corporativa, xenofoba, autoritaria: tutte queste pessime caratteristiche diventano pregi se le vendiamo sotto l'ettichetta della cristianità.
Negli USA il risveglio religioso viene prima, da molto lontano, non ha motivazioni politiche - la destra forcaiola e guerrafondaia USA ha cercato, con successo, di manipolarlo in quella direzione dopo 9/11; un successo con cui Obama dovrà fare i conti e non saranno conti facili - ma ha (forse, questa almeno è la tesi di Fogel) motivazioni socio-economiche legate alla crescita della diseguaglianza ed alla ricerca di soluzioni egualitarie.
Aldilà di quali ne siano le cause, che non credo proprio d'aver capito, il fatto è che il risveglio religioso USA coinvolge tutti, non è né di destra né di sinistra, ma è della nazione. E' un risveglio religioso popolare e condiviso. Questo risveglio religioso riflette o genera (causa? effetto? non saprei) una domanda di cambiamento radicale, di rigenerazione morale e comportamentale, di nuovo "coming together" of the nation, di una rinnovata fiducia nello stato, nella politica "grande" che salva la vita: basta seguire fedelmente gli ordini che i nostri grandi leaders ci danno. Non scordatevi, per favore, che il messaggio originale di Bush era quello del "compassionate conservatism" della bible belt che, dopo 9/11, trasformò rapidamente nel più congeniale "war on terror". In entrambi i casi il messaggio aveva radici religiose e invitava a follow the leader nella nuova grande missione di cambiamento e rigenerazione.
Obama, io credo, è la versione di sinistra di questo stesso fenomeno: è la politica, nella persona del grande presidente, che ci salverà dalla crisi economica in cui siamo caduti. Il mondo intero attende, apparentemente, d'essere salvato da Barack Obama: change you can believe in, ha promesso, e tutti ci credono. Forse per mancanza d'alternative.
Personalmente, la messianità evangelica di tutto questo mi paralizza perché, nelle cose che contano, it is going to be business as usual. Per questo sento Obama (come sentivo Bush) completamente estraneo a me: perché le regole di questa politica non solo non le condivido, nemmeno riesco a capirle.

 
 
 
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