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Questione meridionale? Basta soldi Statali, ora le giovani imprese ed il libero mercato!

Post n°35 pubblicato il 05 Dicembre 2008 da amministratore_blog

Il presidente Napolitano, in questi giorni in visita a Napoli, ha esortato la politica ad una maggiore «attenzione al problema del Mezzogiorno e al rapporto tra Mezzogiorno e sviluppo nazionale» (tutte le virgolette riferiscono alle parole del presidente, così come riportate dalla stampa di ieri e l'altro ieri). Esortazioni alla politica da parte di alte cariche istituzionali sono quasi per necessità esercizi di retorica, appelli ai buoni sentimenti. Questa non fa eccezione. Ma vale la pena di discuterla in qualche dettaglio, per l'idea implicita della Questione Meridionale che ne traspare.
Innanzitutto, il presidente teme gli effetti della congiuntura sul Sud, i «fenomeni di recessione [...] che incombono sui già precari equilibri economici e sociali [...] nelle regioni meridionali». È difficile vedere in queste parole altro che la riproposizione della politica dell’emergenza. Nessuno dei «precari equilibri» nelle regioni meridionali ha in realtà a che fare con la crisi. Il problema dell’economia del Sud, la Questione Merdionale, è questione strutturale. Una effettiva convergenza tra le regioni italiane in termini di prodotto interno lordo pro-capite si è avuta solo fino agli anni 60. La crescita del Pil per lavoratore dal 1980 al 2000 al Sud è stata dell’ordine del 40-45% mentre è stata del 240% in Irlanda, partendo da livelli comparabili (da un paper di M. Maffezzoli per il Sud e dati Penn World Table per l'Irlanda). Davanti a dati di questo tipo, ogni preoccupazione congiunturale scompare nella sua irrilevanza.
Il secondo elemento degno di nota nelle considerazioni del presidente Napolitano riguarda la spesa pubblica. Lamentare i tagli al fondo per le aree sottoutilizzate (10 miliardi per il periodo 2007-2013 al Sud), richiedere che il federalismo fiscale debba comunque «garantire i necessari trasferimenti da Nord a Sud», propone logiche di spesa non condizionate ai risultati. Emergenza dopo emergenza, trasferimenti incondizionati dopo trasferimenti incondizionati, l’economia del Sud è ormai dipendente da quella del Nord. In solo nove regioni in Italia i trasferimenti fiscali sono positivi (i tributi raccolti sono superiori alla spesa pubblica - dati Ministero delle Finanze, 2005) [ho corretto un errore, grazie Marco e Alberto]: Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia. Il trasferimento fiscale pro-capite di un cittadino lombardo è di oltre 5.200 Euro; quello di un piemontese di 2.300 Euro (dati da LiberoMercato).
Questa situazione si ripete dal dopoguerra. A mancare non è affatto «attenzione verso il Sud»; piuttosto mancano i risultati di tanta attenzione. La spesa per trasferimenti al Sud è un investimento per il paese. Senza un ritorno, in termini di crescita del Sud, l’investimento è fallimentare. Bisogna avere il coraggio di condizionare quindi l’investimento al ritorno, di rompere la dipendenza economica del Sud dai trasferimenti, anche a costo di una difficile transizione.
Ma perché i trasferimenti di oltre 50 anni non hanno avuto effetto? La risposta è nel ruolo del settore pubblico e della grande impresa (finanziata dal settore pubblico) nello sviluppo economico. La crescita non si ha distribuendo spesa pubblica, costruendo cattedrali nel deserto, sussidiando imprese pubbliche e private improduttive, sostenendo salari indipendenti dalla produttività. La crescita si ha attraverso attività imprenditoriali produttive e profittevoli, cui siano garantite istituzioni e amministrazioni pubbliche efficienti, bassi livelli impositivi, e flessibilità nel mercato del lavoro. Il caso dell’Irlanda è a questo proposito sintomatico. 
Purtroppo anche nella parte più costruttiva del discorso del presidente, laddove si richiede una «autocritica e un'autoriflessione», a ben vedere ci si rivolge agli amministratori della cosa pubblica piuttosto che non alla società civile. È indubbio che una amministrazione pubblica più efficiente sia importante per il Sud. La spesa pro-capite per la scuola e per la sanità è simile al Nord come al Sud, ma gli studenti del Sud fanno peggio nei test Pisa e la qualità delle cure mediche al Sud è inferiore (come evidenziato dalla elevata migrazione verso la sanità del Nord; grazie ad Alberto Lusiani per il riferimento ai dati.). È indubbio anche che la classe politica dirigente al Sud sia responsabile di inefficienza e talvolta di corruzione. Ma la classe politica è espressione della società civile. Quando una economia è dipendente da trasferimenti fiscali, la società civile tenderà ad esprimere una classe politica in grado di massimizzare tali trasferimenti, anche a costo di enormi inefficienze. In questo contesto, richiedere una «autocritica e un'autoriflessione» alla politica è un inutile appello ai buoni sentimenti. 
E il cerchio dell’analisi si chiude. Il Sud ha bisogno di crescita e di efficienza. La ricetta offerta è ancora una volta il ricorso alla spesa pubblica incondizionata, motivata dall’emergenza. La stessa ricetta utilizzata dal dopoguerra in poi. Ma la spesa pubblica incondizionata induce dipendenza economica, distrugge la crescita, e favorisce lo sviluppo di una classe politica inefficiente. È davvero questo il meglio che possiamo offrire al Sud del paese?

A Cura di Alberto Bisin, by www.NoisefromAmerika.org

 
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