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Post n°108 pubblicato il 09 Settembre 2017 da maryempatika
Immersa nei miei studi sull’analisi transazionale, mentre analizzo le componenti della strutturazione sociale elaborate da Eric Berne sono assalita da una serie di riflessioni riguardanti la società odierna e l’uso dei social networks. Il noto psicologo sociale Eric Berne sosteneva che ogni essere sociale ricopre un proprio ruolo ben definito nel contesto in cui vive. Esso serve per creare una serie di dinamiche che consentono una sorta di organizzazione in cui regole, valori ed ideali di riferimento non devono mancare. Le dinamiche si esprimono nel “modello di gioco” che si sceglie di attuare in cui ogni essere sociale si muove nel quotidiano e nella interazione con l’Altro. Anche nei social networks ognuno ricopre un ruolo o meglio, si crea un “personaggio” che in molti casi (sempre più diffusi!) viene costruito con minuziosità eccessiva e cura. Spesso i personaggi che si creano sui social networks non hanno nulla di reale. Sono addirittura contrastanti con la vera personalità del soggetto che lo ricopre.
Sui social networks la gente vuole sentirsi più figa, più forte e potente. Si fa a gara a chi totalizza più “mi piace” ai propri selfie (intanto dilaga la selfiete, una delle nuove dipendenze) o a chi colleziona più followers (di cui concretamente non gliene frega niente di ciò che sei!). Ai tempi di Eric Berne si prestava attenzione a quello che si voleva rappresentare nell’interazione sociale in contesti come il lavoro, la famiglia, la coppia. Chissà se Eric Berne avrebbe continuato a fare le sue ricerche sulle transazioni sociali in quest’epoca scontata in cui tutto è fittizio, costruito, frivolo e superficiale. Qualsiasi azione compiamo è diventata stupidamente social. Dai tempi di Eric Berne e della sua teoria dei giochi sono cambiate molte rappresentazioni sociali. Ciò che non è cambiato è che alla base dei ruoli e dei personaggi che la gente si crea sui social ci sono la fame di stimolo e la fame di riconoscimento.
La fame di stimolo ci ricollega ad una parte infantile che è dentro di noi, una componente che è sempre alla ricerca di “carezze”. Per “carezza” si intende ogni atto che implica il riconoscimento della presenza di un’altra persona. Come direbbe Berne: “senza carezze non si cammina a petto in fuori”. Scatta la continua ricerca dell’approvazione altrui per qualsiasi cosa si faccia. Ciò è mossa dalle insicurezze, dal vuoto che molta gente cela dentro di sé e del quale spesso non ne ha consapevolezza. Più aumentano i contatti sui social e più si è soli e disperati (e vuoti!). Dilaga sempre più la fame di riconoscimento, di sentirsi speciali e presi in considerazione. Si ostentano i cambi di look, i propri spostamenti, le uscite, le foto con le persone con le quali si “passa” il tempo.
Ma essenzialmente al di là di questi comportamenti sociali, rituali, giochi, ruoli che ci siamo auto-attribuiti chi siamo noi? Questa domanda necessita di una risposta ma sfuggire ad essa è più facile…richiede meno difficoltà di farsi un selfie e racimolare un numero soddisfacente di “mi piace” per farci aumentare l’autostima, per farci sentire accettati in una società in cui anche i rapporti sociali sono così precari e facilmente sostituibili e rimpiazzati dal nuovo “lui” o “lei” che ci fa la richiesta di amicizia e che potrebbe essere un potenziale follower. Si bada più al numero che alla qualità dei contatti. E poi ci si ritrova a vivere un momento difficile della propria esistenza e a prendere coscienza che le persone sulle quali puoi seriamente contare si possono a malapena contare sulle dita di una mano. Ma sì, continuiamo pure a “giocare” (come direbbe Eric Berne), a seguire un copione che prima o poi ci starà stretto, illudiamoci di essere integrati in un sistema che ci rende sempre meno liberi ma schiavi e meno consapevoli di ciò che si è realmente….
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