Creato da Pitagora_Stonato il 12/07/2010

EREMO MISANTROPO

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Post n°1015 pubblicato il 16 Dicembre 2014 da Pitagora_Stonato
 

Aspettò più di mezz'ora prima di rimettere il naso fuori della porta. Il corridoio era deserto e silenzioso. Ritornò dentro e si infilò la sua vecchia giacca da camera di velluto, prese il pacchetto delle sigarette e uscì. Aveva già schiacciato il bottone di chiamata dell'ascensore quando vide una sedia a rotelle, dalla porta socchiusa dello sgabuzzino. Ci fu uno scatto metallico e le porte dell'ascensore si aprirono, ma Ciccio non entrò. Andò a prendere la sedia e la spinse in camera, vicino al letto di Sam.

«Forza» gli disse, «si va a spasso».

«Cosa?»

Ciccio lo tirò giù dal letto e lo adagiò sulla sedia. Si tolse la giacca da camera e lo coprì con quella. Gnaghi li guardava a bocca aperta.

«Di' un po'» disse Sam, «ma l'infermiera lo sa?» «Sta' zitto. Silenzio perfetto o ci mettono tutti in isolamento».

Lo spinse fuori. Sotto il peso le ruote cigolavano. Ci fu un rumore secco e forte quando la sedia saltò lo scalino tra il pavimento del corridoio e quello dell'ascensore. Ciccio si voltò per vedere se qualcuno aveva sentito e si trovò di fronte Gnaghi. Urlando a bassa voce gli disse:

«E tu che vuoi, deficiente? Torna in camera!» «No» disse Gnaghi.

Ciccio gli diede uno spintone con le mani nello stomaco ma subito dopo lo afferrò e lo tirò dentro, schiacciando il bottone di discesa. Rosa stava uscendo dalla sala infermiere con una cartella in mano, a testa bassa. Le porte si chiusero appena in tempo.

«Scemo» disse Ciccio a Gnaghi. «Stavi per rovinare tutto».

Gnaghi guardava le pareti dell'ascensore e sorrideva. Arrivò quasi subito nel sotterraneo. Era un corridoio molto largo, con i muri dipinti di marrone. Attaccati al soffitto, da un lato, c'erano dei grossi tubi Ciccio spinse fuori la carrozzella e sterzò a destra. Sam disse:

«Bel panorama. Valeva la pena, valeva proprio la pena».

«Vuoi aspettare di essere un fantasma?» disse Ciccio.

Il corridoio era lunghissimo, e camminarono per cinque minuti. Gnaghi teneva una mano sulla spalla di Ciccio. Incrociarono un infermiere che li guardò appena, ma poi si voltò indietro a guardarli. Ciccio si fermò per leggere una scritta sul muro mezzo sbiadita, di fianco a un portone metallico.

«Che dice?» domandò Sam.

«Obitorio» disse Ciccio.

«Ecco, spingi, va'».

Dopo un po' incontrarono un'altra porta, più piccola, socchiusa. Ciccio si fermò ancora e andò a sbirciare. Dentro era illuminato, ma Ciccio riuscì a vedere solo un tavolo con provette e storte e in lontananza alcune gabbie di cavie bianche che correvano da una sbarra all'altra, senza fermarsi mai. Ciccio riprese a spingere, senza dire niente. Non sentì più la mano di Gnaghi sulla spalla e si voltò: era andato anche lui a sbirciare dalla fessura. Ciccio corse indietro e lo afferrò. Gnaghi era alto il doppio di lui. Ripresero la marcia in silenzio e dopo un po' arrivarono alla biforcazione. Seguirono la freccia «Oncologia» e svoltarono ancora a destra. Poco dopo Ciccio si fermò di nuovo.

Il corridoio aveva una rientranza lunga e buia, che portava ad altre porte, di magazzini. In fondo, nel buio, stavano Maria e Ercole. Si baciavano. Le mani di Ercole erano sul seno di Maria.

Gnaghi, Ciccio e Sam rimasero a guardarli per pochi secondi, senza che loro se ne accorgessero. Poi Ciccio si schiarì debolmente la gola e diede una spinta alla carrozzella.

La nausea diventò all'improvviso talmente forte da essere un dolore, un dolore talmente forte da non sapere neanche dov'era. Pensò che sarebbe morto stanotte e che Maria allora l'avrebbe accolto tra le sue braccia, e poi sarebbe andato sempre da lei, le notti che era di servizio, ad aiutarla a preparare i flaconi, e a parlare, e forse lei l'avrebbe baciato ancora.

Si accorse che stava per piangere e si strofinò gli occhi con il palmo della sua mano troppo piccola per contenere il seno di una donna. Si accorse che Gnaghi parlava.

Gnaghi parlava, gli parlava con quel suo linguaggio incomprensibile, a voce bassa, e Ciccio rimase ad ascoltarlo, col suo dolore. Gnaghi gli spiegò tutto, gli disse la verità.

 

da"Mostri" di Tiziano Sclavi

 
 
 
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