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RHO CRISTIANA

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UNA RELIGIONE CHE ILLUDE

Post n°625 pubblicato il 13 Settembre 2015 da fra873

Così parla il SIGNORE degli eserciti, Dio d’Israele: Cambiate le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo. Non ponete la vostra fiducia in parole false, dicendo:“Questo è il tempio del SIGNORE, il tempio del SIGNORE, il tempio del SIGNORE!”
Ma se cambiate veramente le vostre vie e le vostre opere, se praticate sul serio la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo luogo, e non andate per vostra sciagura dietro ad altri dèi, io allora vi farò abitare in questo luogo, nel paese che allora diedi ai vostri padri per sempre. Ecco, voi mettete la vostra fiducia in parole false, che non giovano a nulla. «”Voi rubate, uccidete, commettete adulteri, giurate il falso, offrite profumi a Baal, andate dietro ad altri dèi che prima non conoscevate, e poi venite a presentarvi davanti a me, in questa casa sulla quale è invocato il mio nome. Voi dite: «Siamo salvi!» Perciò commettete tutte queste abominazioni. È forse, agli occhi vostri, una spelonca di ladri questa casa sulla quale è invocato il mio nome? Ecco, tutto questo io l’ho visto, dice il SIGNORE.

(Geremia 7:3-11 – La Bibbia)

Quando leggo versi come questi mi rendo conto che l’uomo non cambia mai.

Conosco infatti molte persone che hanno un modo di comportarsi molto simile ai concittadini di Geremia, a Gerusalemme nel sesto secolo a.c.

Ciò che Geremia cercava di fare capire ai propri concittadini era che non serviva a nulla recarsi al tempio pensando di essere salvi, ovvero al sicuro, compiendo dei gesti meccanici che non erano accompagnati da vero pentimento! Egli li sfidò a cambiare piuttosto il loro modo di comportarsi, nella loro vita di tutti i giorni, smettendola di ingannare il prossimo, di opprimere le persone più deboli della società, di tenere i piedi in due scarpe servendo altri dei e poi presentandosi al tempio come se niente fosse.

Che senso aveva rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, offrire profumi a Baal, andate dietro ad altri dèi, e poi presentarsi al tempio, il luogo in cui Dio aveva garantito la sua presenza, dicendo: «Siamo salvi!» ?

Tanti, oggi come allora, sono convinti di poter avere un rapporto con Dio cercando di “accontentarlo” con degli atti meccanici. L’idea è quella di poter vivere come si vuole, fare tutto ciò che passa per la mente, qualunque tipo di peccato, non avendo alcun rispetto per il prossimo e per Dio, purché ogni tanto ci si ricordi di recarsi in qualche luogo particolare, magari una chiesa, fare una donazione, compiere qualche gesto religioso con una certa formalità, per poi tornare agli affari propri fino alla prossima volta.
Una religione di questo tipo è basata sulle superstizione e può stare in piedi senza che ci sia un rapporto personale con Dio. Ci si comporta con Dio come se egli fosse manipolabile dai nostri formali atti religiosi.

Ma Dio odiava l’ipocrisia ai tempi di Geremia e non possiamo pensare che la tolleri oggi.

Non possiamo aspettarci protezione da Dio e sicurezza solo perché abbiamo compiuto dei gesti religiosi o ci siamo legati a luoghi particolari. Dio vuole che cambiamo il nostro modo di agire, che lo onoriamo nei fatti e non solo nelle parole; vuole trasformarci interiormente, vuole che il nostro cuore cambi, vuole che siamo nuove creature.

Come? Confessando e pentendoci. Chiedendo a Cristo di entrare nella nostra vita.

Se non passiamo attraverso questa trasformazione, tutti i nostri gesti religiosi saranno solo un tanfo maleodorante alle narici di Dio.

 

 

Commenti al Post:
FlamineFurrinale
FlamineFurrinale il 21/09/15 alle 00:24 via WEB
Condivido il significato di fondo di questi pensieri, il richiamo alla coerenza nel rapporto col prossimo, con sé stessi, con Dio, ma non riesco ad evitare di sottolineare che non credo che Dio sia così permaloso, così facilmente alterabile a causa dei nostri miseri capricci. Lo immagino proprio come un padre col figlioletto da fare crescere, con pazienza, speranza e infinita bontà, proprio secondo l'esempio della parabola del figliol prodigo. Il ragazzo, lasciato libero di scegliere, alla fine è ritornato alla casa del padre, dopo avere compreso, ancora liberamente, l'errore commesso. E sappiamo com'è andata a finire.
Non è il padre severo ad allevare figli più giusti: autorevolezza non significa necessariamente autorità, o severità.
 
 
fra873
fra873 il 01/10/15 alle 13:54 via WEB
Dio oltre ad essere giusto è anche TRE VOLTE SANTO. L'Idea che un giorno Dio perdonerà tutti, E' UN'ERESIA CHE RISALE AL SECONDO SECOLO DOPO CRISTO. In realta,. la Sua Santità non Gli permette di convivere con il peccato. Quindi il peccato ci separa da Dio. In realtà il figlio prodico non fu lasciato libero di scegliere. Si ribellò al Padre e decise di sua spontanea volontà di allontanarsi. Le conseguenze furono che lontano dalla grazia di Dio trovò solo delusione, degrado morale e fisico. Senza Gesù nel nostro cuore le conseguenze sono queste. Solo la consapevolennza del nostre errore, il pentimento la confessione del nostro peccato ha permesso al figlio prodico di essere riammesso alla presenza del Padre.
 
   
FlamineFurrinale
FlamineFurrinale il 15/11/15 alle 16:06 via WEB
Non ritengo che Dio si trovi nella necessità di condannare o perdonare, penso piuttosto che ci abbia "costruiti" con l'insita capacità di comprendere e di scegliere ciò che riteniamo di volere fare o essere.
Se il figliol prodigo decise di sua spontanea volontà di allontanarsi dal padre, non si comprende perché non sarebbe stato lasciato libero di scegliere.
Potrebbe sembrare un paradosso, ma se non potessimo liberamente sbagliare non potremmo, per contro, liberamente crescere e maturare. Non è questione di eresie.
 
     
fra873
fra873 il 18/11/15 alle 14:32 via WEB
"Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio, non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui" (Giovanni 3:36) Concludendo la sua testimonianza a Cristo, il Battista si eleva all'altezza la più sublime della dottrina evangelica proclamando l'importanza della fede in lui. Poiché egli è il Figlio di Dio, il diletto del Padre; poiché "ogni cosa gli è stata data in mano", ed egli ci vien presentato come, l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo; ne segue necessariamente che chi crede di cuore in lui riceve la vita, poiché diviene. uno, per fede, con colui che è LA VITA. Questa vita è eterna, è impiantata nell'anima, e la morte naturale, che vince e tiene per un tempo soggiogato il corpo, nulla può su di essa; essa cola in noi da Cristo "che vive e regna per sempre", e che ha dato questa immutabile promessa ai suoi credenti, cioè alle sue pecore: "Io do loro la vita eterna, e giammai in eterno non periranno, e niuno la rapirà di man mia Giovanni 10:28. Si osservi che nel passo ora citato Cristo usa il tempo presente, io do, lo stesso fa qui il Battista, e lo stesso fa l'Evangelista nella prima Epist. 1Giovanni 5:13. Questa vita eterna è un possesso presente ed indistruttibile del credente non già un bene che egli riceverà all'ora della morte, o all'alba della risurrezione. Verrà allora completata e resa perfetta; ma essa è fino da ora il dono prezioso e duraturo di Cristo a chiunque crede in lui, e dal momento in cui ha creduto Giovanni 1:12. Il vocabolo tradotto qui "non crede" non è quello usato al principio del versetto. Non lo si trova altrove nei Vangeli; ma in altri passi (Atti 14:2; Romani 2:8; 1Pietro 2:8; 3:1,20) vien tradotto: "disubbidiente" e questo pure è il vero suo senso in questo passo: "Uno che non ubbidisce al Figlio". Esso esprime il lato volontario della incredulità, rivolta, rifiuto di sottomettersi al Figlio, e per contrasto insegna che la fede, mentovata nella prima parte del versetto, è la sottomissione della volontà al Figlio, nelle cui mani il Padre ha dato ogni cosa. Il cambiamento di espressione da "fede" a "disubbidienza" in questo versetto, deriva dall'autorità e dal potere attribuiti a Cristo nel precedente; perciò quelli che non lo ricevono per fede sono colpevoli di disubbidienza alla sua autorità, e il castigo di quelli che perseverano in quella ribellione sarà di "non veder la vita", cioè di non entrare nella vita eterna, per gustarla e possederla. Non entreranno mai nel cielo Salmi 2:12; Romani 2:8-9. In queste parole vien descritta la disapprovazione divina del peccato, e il finale castigo che aspetta tutti i peccatori nel giorno del giudizio. Nell'Apocalisse 6:16, all'ira di Dio si aggiunge "l'ira dell'Agnello". Quest'ira non è né una passione crudele, né un odio implacabile; ma il contegno che l'amore, la santità e la giustizia devono necessariamente assumere verso quelli che rigettano l'amore e perseverano nel peccato. Non c'è detto che quell'ira si avventi su di loro, ma che "dimora sopra essi". Questa infatti è la situazione dell'uomo peccatore dinanzi alla giustizia di Dio: l'ira di Dio riposava su di lui dalla sua nascita Efesini 2:3, e non essendo stata tolta, nell'unico modo in cui potesse venire rimossa, cioè per "la fede nel Figlio", essa rimane sopra lui, come la naturale sua eredità. Godet considera questa spiegazione delle parole: "l'ira di Dio dimora sopra lui", come debole e poco naturale; preferisce scorgervi: "l'ira provocata dal rifiuto di ubbidienza, e che cade sull'incredulo come tale". È questa una verità importante per quanto concerne la misura dell'ira di Dio; ma non inconciliabile colla spiegazione che abbiamo data, della parola dimora. Supporre, come fanno alcuni, che l'uomo, il quale aveva delle vedute così chiare della natura e della missione del Nostro Signore, potesse dipoi dubitare se Gesù era il Cristo, è supporre cosa altamente improbabile. Il messaggio che Giovanni, dal suo carcere, mandò a Gesù, egli lo mandò per l'istruzione dei suoi discepoli, non per la propria soddisfazione.
 
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