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PENSIERI IMMARCESCIBII (Parte prima)

Post n°24 pubblicato il 24 Luglio 2012 da giugibzz1

 

 

 

                                "Io cerco per sapere, non per avere un'opinione" (sant'Agostino).

 

 

1.La stupidità è di molti. La saggezza di pochi. La vanità, ahimè, di tutti.

2.Tutto ciò che esce dalla bocca si trova già predisposto nel cuore. Per questo la scurrilità e la volgarità e il compiacimento nel servirsi di certe espressioni che rimandano a cose emananti sconcezza e fetore, non fanno che fotografare, più o meno con fedeltà, lo stato interiore di bassezza e di miseria morale del soggetto che le diffonde.

3.L’ironia è un’arma a doppio taglio perché, o rileva l’intelligenza e l’acume di chi se ne serve, o la sua inettitudine e la sua stupidità. Quindi attenzione a chi e a come la adopera. Si raccomanda, perciò, per non rischiare di farsi del male da se stessi, di leggere prima le istruzioni per l'uso e le eventuali controindicazioni e poi, se è il caso, utiliizzarla.

4.Il miglior libro resta sempre quello della vita. Gli altri si aprono e si richiudono. Questo rimane, talvolta anche se dolorosamente e nostro malgrado, sempre aperto, perché non si dimentichi mai la lezione.

5.Lo stolto, proprio perché tale, perde facilmente il controllo di sé, ed essendo evidentemente povero d’idee, si esprime di conseguenza, più con veemenza e abbondanza d’insulti che in forza di mirati e pacati ragionamenti.

6.Il perdono dato è come una moneta spesa da cui non dobbiamo attenderci il resto.

7.La parola “perdono” la si trova più facilmente sulle labbra che nel cuore degli uomini. La decantiamo, ma difficilmente la utilizziamo. Ce ne riempiamo la bocca, anche quando dentro di noi è assente. Così non meravigliarti se ti capita d’udirla anche dalla voce dell’ipocrita e del perverso.

8.Chi, alle sentite parole di scuse del proprio offensore, non sa rispondere con un gesto o una pur minima parola di apertura; ebbene, costui (o costei) potrà essere agli occhi degli uomini anche la persona più importante e più celebrata, ma sicuramente agli occhi di Dio è la più spregevole e la più meschina. Almeno di quel Dio che ha offerto la sua vita per noi sulla croce e che ci ha comandato di perdonare, neppure fino al già pregevole numero di sette volte, ma, addirittura, fino a settanta volte sette, cioè sempre.

9.Ci riempiamo la bocca di parole, di cui spesso non conosciamo nemmeno appieno il significato, quando non riusciamo a riempirci la testa d’idee.

10.Nel difficile, tortuoso ed enigmatico cammino della vita, il saggio si muove con circospezione per non trovarsi, come lo stolto, improvvisamente davanti al non più evitabile precipizio e finirvi così precipitosamente e rovinosamente dentro.

11.Saggio è colui che ricerca la conoscenza e che presume di non sapere anche quando in effetti sa. Stolto, viceversa, è chi ha un’alta considerazione di sé, dà tutto per scontato, è refrattario al dialogo, rifiuta la critica, si esprime con banalità e con un vocabolario ricco di luoghi comuni, ed è particolarmente attratto dall’effimero e dalle cose volgari. Se poi non ha ricevuto un’adeguata educazione è anche portatore di modi triviali.

12.Quando vuoi ridere degli altri, prima assicurati che nessuno abbia motivo di ridere di te. E quella sghignazzava, sghignazzava, con tale gusto e con così grande impeto, e intanto non si accorgeva di chi, alle sue spalle, di lei se la rideva.

13. Essere ammalato e non trovare il modo per esprimerti o difenderti come vorresti è brutto, molto brutto. Ma ben peggiore, dal punto di vista morale, è la situazione di colui, che, saputo ciò, si getta vigliaccamente su di te, come un rapace sopra la sua inerme preda, al solo scopo di infliggerti ulteriori ferite, o di ferirti mortalmente. Abominevole cosa, sì veramente abominevole, sia agli occhi degli uomini degni d’essere definiti tali, ma soprattutto al cospetto di Dio.

14.Criticare al solo scopo di demolire e basta, riesce più o meno a tutti, anche a certi idioti. Ma far seguire alla critica una proposta positiva e costruttiva è cosa, invero, di pochissimi.

15.Non m’interessa tanto il sapere chi ha detto quella determinata frase, ma che il concetto espresso non contenga castronerie.

16.Qualcheduno ha lasciato scritto: “C’è una sola religione, benché ne esistano un centinaio di versioni”. Ecco qui presentato un modo allettante, ma anche ambiguo, di far apparire come vera una frase intrinsecamente falsa. Con siffatta espressione si cerca evidentemente di accontentare tutti. Solo che chi crede essere la propria religione l’unica certa, non ci sta. E così neppure io, perché so invece che esiste una sola attendibile religione, storicamente determinata, e che le altre centinaia che l’affiancano sono tentativi o cammini in parte falliti o grossomodo incompleti per giungere appunto a quell’unica vera fede, che io ravviso nel solo cristianesimo.

17.C’è stato un uomo di nome Gesù che, a un certo punto della nostra storia, è apparso quasi inaspettatamente e come dal nulla tra di noi, proclamandosi quale Messia vaticinato dagli antichi profeti di un popolo, il popolo d’Israele. Non solo, ma si è proclamato pure Figlio di Dio; affermazione che gli costerà la condanna a morte da parte del sinedrio giudaico con il supporto dell’autorità romana. Egli, poi, tra le moltissime altre altisonanti affermazioni del genere, ha pure detto di essere “la via, la verità e la vita “, aggiungendo subito dopo che nessuno va al Padre se non attraverso di lui. Da quel momento, non un sol uomo ha mai potuto dimostrare che egli fosse soltanto un illuso, o un millantatore, o addirittura un pazzo, anzi… Perciò, ditemi, a chi dovrei credere, a costui che ha dato la sua vita per la dottrina che ha predicato coerentemente fino alla fine, e che non ha accettato né onori, né ricchezze, e né è sceso a compromesso alcuno, oppure ai nostri migliori scienziati e filosofi? Costoro pontificano dalle loro scranne, tronfi e orgogliosi dei loro titoli accademici, ma, ciò nonostante, sono sempre oscillanti, come il moto di un pendolo, tra due teorie opposte (vedi specialmente i primi) o, per quel che riguarda i filosofi, così agli antipodi gli uni con gli altri da essere più litigiosi dei piccioni intorno al becchime, tanto che, il più celebrato forse tra costoro e da taluni studiosi addirittura accostato laicamente alla figura di Gesù ha, però ben diversamente da quest’ultimo, dovuto concludere tutta la sua ricerca di una vita intorno alla conoscenza, con una laconica, seppur celebre espressione: “So di non sapere”. Sicuramente non mi farò indottrinare, o riceverò passivamente “la buona novella” dai testi delle canzonette diffuse dai tanti improvvisati pseudo profeti e cattivi maestri del momento, mi riferisco in particolare alle cosiddette rock star, considerate dei veri e propri miti dalle migliaia di fan osannanti e deliranti, che riempiono gli stadi ai loro concerti e comprano i loro dischi. No davvero! Troppo ignoranti rispetto a Gesù e soprattutto poco credibili. Esse si mostrano al loro pubblico, oltre che con i loro messaggi dissacranti, in qualità di emancipatori dalle regole consolidate della società e di sovvertitori dei veri valori della vita, aiutati in ciò da un look accattivante, studiato appositamente per catturare sempre di più giovanissimi fan sprovveduti: jeans stracciati e scoloriti, giubbotti in tela o in pelle (magari finta) e cinturoni in cuoio con borchie, medaglioni al collo, bracciali ed anelli, vistosi tatuaggi in ampie zone del corpo, orecchini e piercing, viso rubicondo e/o occhi spiritati o stravolti, simili a chi abbia assunto qualche bicchierino di troppo e/o droghe da poco, capelli (quando ce l’hanno, altrimenti c’è per qualcuno il parrucchino, o il cappello) lunghi o arruffati, il tutto, per taluni di costoro, “condito”, diciamo così, da una puzza come di chi non si sia lavato da mesi (molto probabilmente usano un “profumo” particolare che ne ricalca ad arte il fetore, perché mi sarebbe difficile pensare diversamente). Insomma giocano a fare i proletari o i diseredati della terra, ma in realtà non lo sono, visti i salati cachet che si fanno pagare, e il loro pingue conto in banca che si portano dietro fino alla tomba. Tutt’altra cosa, come si è detto, è stato Gesù. E allora, giunti a questo punto, non mi rimane che concludere parafrasando il motto ricavato dal testo di una canzone di uno di quei paladini di questa melmosa società e che paradossalmente rivolge proprio contro uno dei suoi più apprezzati colleghi: “No Flasco, io non ci casco. Tu per propagandare con le tue canzonette, alcool, droga, notti insonni e sesso intaschi molti soldi, ma io a darti retta cosa ci guadagno? La figura del baggiano?". Ma quella, vi piaccia o no, io non la voglio assolutamente fare. Se realmente ci tenete a farla, fatela voi, suoi estatici e creduli ammiratori. E poi spingete pure “al massimo” l’acceleratore. Ma attenzione alla prossima curva, potrebbe esservi fatale.

18.Non c’è nessuno che sia portato naturalmente al riso quanto lo stolto. Ride incontrollatamente in ogni occasione e su ogni cosa, tranne ovviamente che di se stesso e di ciò che più gli sta a cuore. Il suo è un riso sguaiato, rumoroso, irriverente, maleducato; insomma una vera e propria sghignazzata con cui nasconde o cerca di nascondere assai maldestramente una povertà d'idee, una miseria spirituale e una bassezza morale riscontrabili in nessun altro. Già i nostri antenati lo avevano sottolineato con questa notissima massima: ”Risus abundat in ore stultorum”.

19.La logica è quella parte della filosofia che studia le condizioni di validità di un ragionamento. La parola, di derivazione greca, significa “arte del discorrere”, cioè modo del corretto ragionare. Essa (la logica classica) si avvale di tre principi fondamentali, trasmessici sin dall’antichità, principalmente da Aristotele, e che sono così chiamati: 1) Principio d’identità; 2) Principio di contraddizione (o di non contraddizione); 3) Principio del terzo escluso, o “tertium non datur”. Io però ne aggiungerei un quarto, che reputo il più importante in assoluto, e che non credo sia stato già enunciato formalmente da alcuno prima d’ora, anche se si ritrova sicuramente, almeno in modo implicito, in vari lavori dei miei predecessori filosofi. Esso può essere definito col termine “Principio d’esistenza o di realtà”, il che vuol dire che di qualsiasi concetto formulato o formulabile, non possiamo negare la realtà del contenuto, almeno in modo totale, potendo semmai stabilirsi, o tentare di stabilire soltanto, se il contenuto del mio pensiero sia soggettivo, oppure oggettivo, non dipendente, cioè, dalla produzione, cosciente o meno, della mia attività cerebrale, o parimenti possieda entrambe le peculiarità. Perché dico questo? Per il semplice motivo che la filosofia, che è la disciplina speculativa per eccellenza, è sempre meno studiata e quindi sempre meno prerogativa dei più. La cultura è sempre più scientifica, ma soprattutto tecnologica (digitale) e virtuale, in mano così a gente che non sa più usare i concetti in modo appropriato e non sa più parlare né scrivere correttamente. Da ciò l’impoverimento delle idee, conseguente all’impoverimento del proprio vocabolario, il sovvertimento e il capovolgimento dei veri valori, il sopravvento del relativismo, la negazione o la limitazione di concetti basilari quali quelli di Dio, della verità e dell’ordinamento gerarchico delle cose, senza o disconoscendo i quali, non si capisce più niente della realtà. Insomma, siamo di fronte a un vero e proprio disastro culturale: quello della cultura umanistica in particolare. Altro che il governo in mano ai filosofi, come auspicava Platone, per rimediare ai mali della società, qui siamo già alla resa, succubi oramai degli imbecilli, mentre una nuova e più potente ondata della precedente sta montando, con questa nuova generazione di asini. Se non l’argineremo in tempo, e con metodi all’occorrenza drastici, presto ci sommergerà. E allora saranno guai seri per tutti. Spero solo, arrivato a questo punto, di essere stato un cattivo profeta. E chi si sente colpito da questa impietosa analisi, non se la prenda più di tanto, ma pensi che per imparare non è mai troppo tardi. Anche se è meglio farlo prima che dopo.

20.Come la furia di un uragano travolge indistintamente qualunque cosa si trovi sul suo percorso di distruzione, finché non giunga al suo naturale esaurimento; e come non si può placare l’impeto delle onde di un mare in burrasca, ma bisogna fuggirlo e attendere pazientemente che si plachino i marosi, così è per colui che si faccia prendere dall’ira. Si volge bestialmente contro tutto e tutti, ora gridando, ora minacciando, ora imprecando, ora gettandosi furiosamente su oggetti e persone: impossibile calmarlo. Inutile soprattutto riportarlo alla ragione. Ogni argomento, ogni parola atti allo scopo sono da costui evitati o osteggiati maggiormente. E’ come un animale inferocito. L’ira l’ha oramai preso al cervello. Non rimane che bloccarlo se ci riusciamo, e/o aspettare che la rabbia, come uno dei processi naturali in precedenza descritti, sbollisca per virtù propria, con la speranza, infine, che lasci dietro di sé, una volta terminata, il minor numero di danni e/o di vittime possibili.

21.E’ più facile tirare fuori un ragno dal proprio buco che lo stolto dalla sua scempiaggine.

22.Riprendi lo stolto ed egli ti si volterà rabbiosamente contro come un cane che sia stato tirato per la coda. Correggi il saggio ed egli, invece, ti ringrazierà.

23.Il saggio impara dai suoi errori. Lo stolto ripete i propri all’infinito.

24.Il tirchio si fa mancare il necessario. Il parsimonioso fa a meno del superfluo. L’avido è schiavo della sua brama.

25.Dieci consigli utili per chi si accinga a esercitare la nobile arte dello scrivere. 1) Fatti venire delle buone idee. 2) Padroneggia bene la lingua che devi usare. 3) Rifletti a fondo sull’argomento da trattare. 4) Circoscrivilo adeguatamente. 5) Individua il soggetto o i soggetti a cui vuoi rivolgerti prevalentemente. 6) Non essere retorico. 7) Mettici del sentimento. 8) Tieniti lontano dalle ideologie prevalenti. 9) Pensa all’insuccesso a cui potresti andare incontro. 10) Infine scrivi, scrivi, scrivi (l'esercizio affina le proprie attitudini).

26.Ogniqualvolta offendo l’altro, anche se credo di avere dei buoni e giustificati motivi per farlo, chissà perché, ma non mi sento del tutto soddisfatto. Non trovo ragione di gioirne. E’, infatti, come se avessi offeso insieme con lui, anche un po’ di me stesso; cioè, quella parte di una medesima umanità che in fondo condividiamo tutti quanti. E’ la mia dignità di uomo, che alla fine ne rimane deturpata.

27.Quando Dio mise in atto il suo eterno progetto d’amore di creare l’uomo “a sua immagine e somiglianza”, non credo che avesse mai pensato che la più privilegiata delle sue creature terrestri, si sarebbe un giorno degradata a tal punto da diventare: 1) Un ateo. 2) Un prigioniero delle proprie passioni più basse e dei suoi istinti più brutali. 3) Uno stolto. Ma è talmente tanto l’amore di Dio per noi, che, invece di cancellarci dalla faccia della terra, ci ha riscattato per sempre, con la passione, morte e resurrezione del suo Figlio unigenito, Gesù Cristo.

28.Guardati dal vizioso, soggetto veramente subdolo. Costui, non pago di esser prigioniero dei suoi vizi; non pago di mostrarli e di propagandarli come fossero virtù, vuole anche e soprattutto rendertene partecipe. Per questo ti si mostra amico e ti lusinga oltre misura, perché tu abbassi la guardia e ti fidi di lui, per esser pronto così, poco a poco, goccia a goccia, ogni giorno che passa, a iniettarti sempre di più il suo malefico veleno, fino a che tu non l’abbia del tutto assorbito e diventi anche tu un altro vizioso al pari o peggiore di lui.

29.Ci sono parole che non sempre sono da considerare offese, ma fotografano, purtroppo, il reale stato del soggetto contro il quale sono indirizzate, altre invece, che possono essere evitate, sono delle vere e proprie offese riversate intenzionalmente per ferire gravemente la dignità e la reputazione del nostro avversario. Così, talvolta, non possiamo fare a meno dall’usare termini quali stolto, imbecille, idiota, serpente, ipocrita, ecc., o perifrasi che esprimono in sostanza quei medesimi nomi (li troviamo usati anche nella Bibbia), però possiamo e dobbiamo evitare parole alternative ricche di significato spregiativo e di uso volgare che si riferiscono, o a parti ignobili del corpo umano, o a qualche suo escremento, o allo stato e a mestieri particolari di soggetti considerati ancora disprezzabili, o comunque emarginati da buona parte della società, e così via. Insomma, ci siamo capiti. Se proprio non possiamo fare a meno di apostrofare qualcuno, evitiamo, però, nel farlo, di usare le parole più oltraggiose, pensando che il nostro fine è di riportarlo sulla retta via e non di sconfiggerlo umiliandolo.

30.Lo stolto irride il saggio, ma non sa che la sua rovina è vicina.

 

 
 
 
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