Creato da giugibzz1 il 23/04/2011

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L'ETICA DEL CRISTIANO

Post n°17 pubblicato il 17 Novembre 2011 da giugibzz1

 

 

     IL COMPORTAMENTO MORALE DEL CRISTIANO INIZIA PRECISAMENTE DALL’AMORE TOTALE E INCONDIZIONATO PER DIO, PER SFOCIARE POI, DI CONSEGUENZA, IN QUELLO SECONDARIO, MA NON MENO COINVOLGENTE, PER IL PROSSIMO. -L’AMORE CRISTIANO PRIVILEGIA EVIDENTEMENTE I NUOVI FRATELLI NELLA FEDE, SENZA PER QUESTO RINNEGARE QUELLO DOVUTO DI DIRITTO ALLA PROPRIA FAMIGLIA COSTITUITA E NATURALE. -AL CRISTIANO SI RICHIEDE PER LO PIU’ DI ESSERE UMILE, MANSUETO, GENEROSO, CASTO, MORIGERATO, LEALE, LIETO, FEDELE, ONESTO, OPEROSO, TOLLERANTE, MISERICORDIOSO, PERSEVERANTE, PRONTO, TEMPERANTE, VIGILANTE, RICONOSCENTE, INSISTENTE, INDULGENTE, TENDENTE ALLA PERFEZIONE, PURO DI CUORE, TIMORATO DI DIO, FIDUCIOSO, TRANQUILLO, GIUDIZIOSO, REMISSIVO, SINCERO; COSTANTE NELLE ORAZIONI E FERMO NELLE PROPRIE DECISIONI. -DEVE, ALTRESI', CON PERIZIA, SAPER TENERE A FRENO LA PROPRIA LINGUA E NON ESSERE MALDICENTE, NE’ VOLGARE, NE’ FARE USO DI TURPILOQUIO O BESTEMMIE, MA SIA BUON TESTIMONE DELLA PROPRIA FEDE, SENZA REAGIRE ALLE OFFESE, NE’ TENER CONTO DEI TORTI SUBITI. -AL CONTEMPO SI MOSTRI CAUTO, SEMPLICE, PREVIDENTE, ASTUTO, IMPAVIDO, FORTE, DISPOSTO AL MARTIRIO, PUR POTENDO, ALL’OCCORRENZA, DI FRONTE ALLE PERSECUZIONI, PRENDERE LA VIA PIU’ SEMPLICE E IMMEDIATA DELLA FUGA. -ANCORA, DEVE COSTANTEMENTE ESERCITARSI ALL’UBBIDIENZA SULL’ESEMPIO DI GESU’, CHE FECE ATTO DI SOTTOMISSIONE AL PADRE FINO AD IMMOLARSI SULLA CROCE PER L’UMANITA’. -GLI E’ FATTO POI OBBLIGO, NON SOLO DI RISPETTARE, ESSERE SOTTOPOSTO, E RENDERE AD ESSE I DOVUTI ONORI E OSSEQUI, MA ANCHE PREGARE PER LE AUTORITA’ COSTITUITE, COSI’ COME PER I PROPRI NEMICI E PERSECUTORI, RESTANDO, TUTTAVIA, INEQUIVOCABILMENTE INTESO, CHE LA PRIMA OBBEDIENZA, IL CULTO E OGNI ALTRA FORMA DI ADORAZIONE SPETTANO UNICAMENTE A DIO. -INFINE, IL CRISTIANO DEVE STACCARSI DALLE COSE TERRENE E CONSIDERARSI CITTADINO DEL CIELO E, COME TALE, AMARE E PROCLAMARE LA PACE, LA GIUSTIZIA E LA VERITA’; IL TUTTO, AL FINE DI CONSEGUIRE LA PROPRIA E L’ALTRUI SALVEZZA. -L’INNO ALLA CARITA’, DELL’APOSTOLO PAOLO (1CO.13:1-13), PUO’ CONSIDERARSI IL SUO MANIFESTO IDEALE.

 

                                                                          giuliobozzi53       

Poggibonsi, 17/11/2011

 
 
 

ALCUNE DOVEROSE CONSIDERAZIONI FILOSOFICHE CONCERNENTI LA PRECARIETA' DELL'ESISTENZA E DI QUELLA UMANA IN PARTICOLARE

Post n°16 pubblicato il 23 Ottobre 2011 da giugibzz1

"L'essere è, il non essere non è" (Parmenide).

       

       Che l'esistenza, in questa vita, sia affetta dalla precarietà del proprio essere è cosa risaputa, tanto è evidente e sotto gli occhi di ciascuno, nel continuo e giornaliero apparire e scomparire (generazione e morte) dei molteplici individui di tutte le specie poste sotto questo cielo stellato, uomo, naturalmente, incluso. Anzi, è proprio l'uomo, in quanto unico essere razionale, per ora conosciuto, dell'universo, quello che sembra sopportare maggiormente la sofferenza e le contraddizioni contenute in questa anomala situazione. Da una parte vede i viventi, in particolare i suoi simili e le persone più care, nascere e morire, così, come dal nulla, e al nulla ritornare; dall'altra sente invece l'esigenza di perpetuare il suo essere, e di non arrendersi di fronte all'inconcepibile e alquanto assurda evidenza, quella della morte, appunto, creando perciò, col mezzo del suo ingegno, opere considerate immortali, frutto, a dire il vero, spesse volte, più della sua vanità che della necessità, e questo nel campo della musica, delle arti figurative, della letteratura, eccetera. Ma soprattutto ponendosi, gira e rigira, le stesse frequenti, identiche domande vertenti sulla sua condizione dopo la morte, sull'esistenza e l'immortalità dell'anima, sulla ricompensa dei giusti e dei malvagi; in altre parole sull'al di là, ipotizzando in esso la realtà di un essere completamente altro da lui, beato, onnipotente e immortale, che egli chiama Dio. Divinità che è oggetto in primo luogo di timore, avvolta com'è dal mistero, e da cui cerca perciò di ottenere benevolenza e favori, e di placarne l'ira, espressa, com'egli crede, dagli sconvolgimenti causati dalle forze della natura, e che deve allora ingraziarsi e alla quale rende doverosi omaggi con specifici atti di culto, composti, per lo più, da sacrifici spesso cruenti, offerte votive e orazioni: ed ecco nata la religione.        -Non va però allo stesso modo per tutti quanti gli uomini. Vi sono, purtroppo, anche i cosiddetti atei, coloro, cioè, che negano l'esistenza di un altro mondo oltre a questo, il mondo definito della trascendenza, e, soprattutto, negano l'esistenza di un creatore e reggitore dell'universo, giudice e arbitro del destino umano. Secondo gli atei, divenuti fenomeno di massa a partire principalmente dal ventesimo secolo, il mondo non sottostà a nessuna ragione che non sia quella della pura casualità. E' apparso dal nulla senza un apparente motivo, e al nulla anche se ne ritorna, dopo un percorso più o meno lungo, al modo di un cerino, che si accende improvvisamente e squarcia, per un momento, il buio fitto della notte, per poi spengersi per sempre, dopo aver bruciato se stesso. In parole "scientifiche" si potrebbe parlare della dottrina del big bang, la grande esplosione dalla quale, secondo alcune teorie cosmologiche, ha avuto origine l'universo. Anche secondo questa teoria, l'universo va piano piano, dopo la sua iniziale espansione, seguita al grande scoppio del primordiale e piccolo concentrato di energia (l'atomo dell'esistenza), verso la sua implosione, e quindi verso la sua definitiva estinzione, a meno di un altro improbabile big bang, che, comunque, non necessariamente riprodurrebbe gli stessi avvenimenti del precedente, come vorrebbero invece alcune concezioni proprie sia del pensiero occidentale che orientale, e che vanno, per questo, sotto l'altisonante nome di "eterno ritorno".        -Che cosa rispondere, dunque, dal punto di vista filosofico, a siffatte credenze che paiono contraddire i più elementari principi della ragionevolezza? Gli atei, in definitiva, affermano che dal nulla può provenire qualcosa (il mondo prima non c'era e improvvisamente, senza una ragione sottostante, seppur faticosamente e poco alla volta, è apparso). Che dal meno può provenire, per virtù propria, il più (per cui, da un piccolissimo nucleo di energia originario, si sarebbe sviluppata poi tutta la complessa e molteplice realtà delle cose). Che dagli esseri inferiori, quali ad esempio i pesci e i primati, provengono quelli superiori quali l'uomo, e che dalla materia consegue il pensiero (vedi, in particolare, la dottrina dell'evoluzionismo). Ancora, che il mondo si regge sulla casualità e sul determinismo (quindi niente spazio alla finalità, alla razionalità, alla libera volontà dell'uomo, e perciò è affermata anche la conseguente amoralità del suo comportamento). Infine, dichiarano che non esiste una verità assoluta, valida per tutti gli uomini, di ogni luogo e d'ogni tempo, ma solo opinioni, affermazioni cioè frammentarie e parziali, che possono mutare ed essere mutate secondo l'uso che di esse se ne fa, e le situazioni in cui ci troviamo ad operare.        -Proveremo naturalmente a ribattere, a cominciare proprio da quest'ultima affermazione, a ciascuna di codeste riduttive opinioni e sottolineo, non a torto, opinioni. Infatti, se non esiste una verità assoluta con cui misurare le nostre idee, anche le conclamate "verità scientifiche" di costoro non restano alla fin fine che dei semplici pareri, sebbene espressi da personaggi taluni indubbiamente autorevoli nel loro campo d'indagine, e, quindi, giacché pareri, dello stesso valore, né più né meno, dell'opinione mia, tua o di qualsiasi altro sulle questioni in questa sede posteci. Del resto, negare per principio l'esistenza della verità, è una grave contraddizione in termini, poiché, nel preciso istante in cui questa viene negata la si riafferma necessariamente. In definitiva, negando il concetto di verità aprioristicamente, senza alcuna indagine critica, ci si trova costretti ad affermare come verità assoluta il proprio, manifestamente falso e paradossale enunciato.        -Occupiamoci, a questo punto, di problemi più concreti, quali sicuramente quelli che trattano della casualità del mondo e del suo determinismo, teorie, per altro esclusive, di quei, a mio dire, "manipolatori" del pensiero appena sopra citati, a discapito della sua causalità e del suo finalismo come sembrerebbe, invece, affermare il sano, buon senso comune, che raramente erra, e sfatiamone, possibilmente anche in fretta, il seducente e subdolo intento che sottostà, a parer mio, a quelle tesi. Diciamo in proposito che nulla appare sotto il nostro sguardo come procedente a caso e che non consegua un suo fine. Non sono sicuramente un biologo, né vi sarebbe il tempo, anche qualora lo fossi, per fare dettagliate analisi in materia, ma mi reputo abbastanza intelligente e osservatore per capire che basta rivolgersi all'uomo, la più complessa e la più alta delle creature, per eludere in tal modo tutte le lungaggini procurate dallo studio delle numerose fasi intermedie e risolvere meglio e facilmente a mio favore la disputa. Infatti, egli è un esemplare unico, irripetibile e tra lui e il resto dei viventi vi è, con la sua comparsa a una certa fase della concatenazione biologica, un improvviso salto in avanti, una vera e propria frattura, un fosso incolmabile determinato essenzialmente dalla coscienza e dalla moralità del suo agire. L'uomo dunque, fornito di consapevolezza, raziocinio e libertà, non è un prodotto del caso, o del determinismo, che, come tali, escludono la possibilità di poter produrre una creatura con siffatte ed ineguagliabili caratteristiche, ma deve essere causato e finalizzato da qualcun altro, a lui superiore e che viva in una realtà che non sia contingente come la nostra. Da queste elementari premesse, grazie al suo ragionamento, egli ne deduce così una realtà trascendente e immutabile, benché invisibile e l'esistenza di un Dio, perché ne avverte su di sé gli effetti, essendo spesso impotente a dirigere gli avvenimenti transitori del suo mondo e a comprenderli, se non alla luce, appunto, di una realtà sovrastante la propria. Oltre a ciò, non può ritenersi neppure frutto del caso, anche perché egli è solito procedere per cause nelle sue attività e ordina tutto per le stesse. Ammettere la casualità come presupposto della comparsa dell'uomo, sarebbe anche qui, del resto, un ripresentare la stessa contraddizione in termini vista sopra parlando della verità. Si riaffermerebbe, ovverosia, nello stesso mentre in cui lo si vorrebbe negare, il concetto di causalità: in questo specifico caso, della casualità dell'uomo.        -Questi, d'altra parte, come già ho avuto modo d'accennare poco sopra, non è causa di se stesso, ma è causato. Difatti prima non c'era e ora suo malgrado c'è, e poi di nuovo, impotente a reagire, non ci sarà più. Qualcun altro tira, effettivamente, le fila per lui, senza che per questo sia privato del suo libero arbitrio. E neppure, sebbene sia un essere finalizzato e non determinato, e che perciò consegue dei fini e, soprattutto, un fine principale, può ritenersi fine a se stesso, ma il suo fine è altro da lui, esterno a lui. Il suo essere difatti è precario perché egli si possa bastare, deve così, inevitabilmente, appoggiarsi a un altro essere che non sia necessitato, ma sussista in sé, abbia in sé cioè la propria ragione d'esistere, e detto ente si chiama Dio. Dal nulla, inoltre, se inteso come entità metafisica, il supposto nulla assoluto, non potrebbero derivare in alcun modo, non soltanto l'uomo ma neppure altra cosa concepibile nella o fuoriuscente dalla nostra mente. Infatti, nessuna bacchetta magica, nessun illusionista riuscirebbero mai a darci neanche un'apparenza d'esistenza, se questa derivasse veramente dal nulla, perché dal nulla, come fa capire la stessa definizione del termine, non può conseguire niente, altrimenti, se contenesse in sé anche solo un pur minimo germe della futura realtà, seppure illusoria, non sarebbe più un nulla, ma, al contrario, un qualcosa (altra contraddizione in termini, che ritorna sempre, come si vede, in quelle pseudo dottrine di filosofi e scienziati, spesso dell'ultimo grido).         -A maggior motivo non è da ritenersi per certa l'altra falsa, e infondata, nonché illogica asserzione che dal meno possa procedere il più, se non v'è già contenuto in potenza e quindi in attesa di passare all'atto. Le specie superiori non possono così derivare da quelle inferiori, né l'uomo ovviamente da un primate. Se tuttavia non si ammette il creazionismo in senso stretto, si potrebbe ammettere un evoluzionismo moderato e guidato. Guidato però da chi? Non sicuramente dal caso, né dalla necessità, bensì da una mente intelligente, creatrice e ordinatrice al tempo stesso. Ed ecco riproposta l'ipotesi di Dio, perché, se il mondo fosse frutto della casualità, come esso avrebbe potuto svilupparsi con ordine e raziocinio? E come potrebbe l'uomo, se fosse solo un prodotto del caso o della necessità deterministica, creare opere tanto intelligenti? Provate a scomporre un suo capolavoro tra i più penetranti com'è sicuramente La Divina Commedia e a ricomporla a casaccio; dubito che possa essere riformata, tale e quale la conosciamo, anche dopo miliardi di tentativi: il caso proporrà sempre e solo il disordine, e la necessità prodotti freddi e privi di sentimento e di libertà creativa. Ditemi avanti, chi è nato prima l'uovo o la gallina? Qualunque sia la risposta giusta, una cosa è indubbia, dietro ad entrambe le teorie dev'essere ipotizzata una intelligenza speciale che ha creato qualcosa di speciale, sia che l'abbia fatto in un modo, o nell'altro. Ridurre l'uomo a prodotto del caso o della necessità e il suo pensiero a una reazione meccanica di atomi che vanno in collisione fra loro, o al risultato di una reazione chimica, pur complessa che sia, è svilirne la sua dignità, rimpicciolirne la sua grandezza, toglierli la responsabilità delle sue azioni, farne, cioè, da essere libero e morale qual è, una specie di automa predeterminato o, al più, un animale fra animali, e renderlo così giustificato delle sue azioni e dei suoi appetiti più bassi e volgari. Ecco a cosa ci vogliono portare i teorizzatori del materialismo meccanicistico e gli atei in particolare. Ecco smascherata la loro ingannevole intenzione: fare dell'uomo un soggetto privo di valori e di punti di riferimento che non sia egli stesso ("l'uomo misura di tutte le cose"); un borioso insomma, un altezzoso che si dimentica troppo facilmente e in fretta che è venuto dalla polvere e in polvere dovrà poi ritornare.         -Per completare ora l'argomento sul nulla quale serbatoio da cui sarebbe derivata poco a poco la realtà, in modo deterministico per taluni, e accidentale per altri, ma in entrambe le teorie senza la direzione di un pensiero antecedente ad essa, in maniera da poterla dirigere ordinatamente e costantemente verso un fine stabilito, devo anche aggiungere che del nulla, in quanto entità metafisica, non ne possiamo, in nessun caso, avere o fare, una seppur minima, fugace, soggettiva, artefatta, deficitaria, ingannevole esperienza; praticamente, esso non può essere pensato, ed è, perciò, un concetto privo di valore. Un tuo caro ad esempio muore, non c'è più, tuttavia ti rimane di lui il ricordo, e quando svanirà anche quello non è che penserai il nulla, non lo penserai e basta. Eppure costui è venuto all'esistenza un giorno, e se non è venuto dal nulla, e come si è visto dal nulla non può procedere nulla, neppure può finire nel nulla, neanche se rimanesse per sempre di lui una manciata di terra, poiché non sarebbe più lui, ma terra appunto. Se dunque non esiste il nulla quale entità metafisica, sebbene vediamo e sentiamo su di noi la precarietà e l'insufficienza del nostro essere e della realtà da noi percepita, non ci resta che congetturare, come ultima analisi di questo nostro faticoso, per quanto breve, studio, che l'esistenza di un ente metafisico. Un ente infinito, eterno, puro spirito, raziocinante, onnipotente, libero; in una parola perfetto, privo di ogni deficienza del contingente. Costui deve essere anche la causa prima non causata, non condizionata, e di per sé sussistente che ha dato origine all'universo, qualunque sia il procedimento seguito nel porlo all'esistenza. Posto fuori dallo spazio e dal tempo, immerso in un eterno presente tutti gli avvenimenti gli sono perciò noti dall'inizio alla fine. Solo in questo essere nessuno di noi scompare, ma la nostra vita rimarrà, con tutto il suo trascorso, come su una pellicola indelebile. In esso il nulla non ha dimora. Esso è difatti pienezza d'essere e sorgente di vita. Solo di lui possiamo dire con sicurezza che è l'assolutamente vero, essendo esso solo immutabile (e in effetti, si può definire filosoficamente vero, ciò le cui caratteristiche permangono costanti nel tempo). Non a torto siffatta entità è definita unanimemente Dio. Sempre presente a se stesso, è il principio e il fine di ogni realtà. Trascendente e immanente nel medesimo tempo, ogni cosa dipende dalla sua volontà. Tutto determina e da nulla viene determinato. Onnisciente e onnipresente, nessuna cosa si sottrae al suo sguardo, niente al suo giudizio.         -Giunto qui, però pure mi taccio. La filosofia ha terminato la sua indagine, oltre non può più andare; la parola deve passare alla religione, o, meglio, sarebbe a dire, alla Rivelazione. Quella rivelazione che Dio ha fatto di Sé, un giorno, nella persona del suo unigenito Figlio, Gesù Cristo, all'umanità. Solo in Lui possiamo trovare, difatti, l'estinzione alla nostra sete di verità, la valorizzazione della nostra dignità di creatura amata e voluta da Dio, nonché la risoluzione ai nostri insoluti interrogativi filosofici di sempre, e che concernono il nostro destino personale: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Il tutto tradotto in una sola frase: perché esistiamo?

 

 

 

 

 

                                                                  giuliobozzi53 

Poggibonsi,23//10/2011 

 

 

 

 

 

 

                                           

 

 

 

 
 
 

E' POSSIBILE LA SALVEZZA SENZA I SACRAMENTI?

"Ed ora che cosa aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e purificati dai tuoi peccati, invocando il suo Nome" At.22:16.

 

      

       Innanzi tutto, per chi non fosse del tutto edotto in materia, o ne fosse completamente disinformato, diciamo che, nella teologia, quella cattolica in particolare, il sacramento è un segno sensibile, sacro, istituito permanentemente da Gesù Cristo quale mezzo di santificazione e di salvezza. In pratica, sono gli atti liturgici attraverso i quali si comunica la grazia di Cristo. Si devono distinguere ben sette sacramenti: battesimo, cresima o confermazione, eucarestia, penitenza o riconciliazione, unzione degli infermi, ordine e matrimonio. L'eucarestia, cioè l'ostia consacrata dalle mani del celebrante, e in cui si ritiene esservi la presenza reale del corpo del Signore Gesù (miracolo della transustanziazione), è il sacramento per eccellenza, definito perciò il Santissimo Sacramento, e per questo fatto oggetto non di sola venerazione, come il largamente praticato culto delle immagini, bensì di vera e propria adorazione da parte della intera comunità ecclesiale.       -Il termine "sacramento" tuttavia non appare nel Nuovo Testamento, benché in esso siano citati il battesimo e l'eucarestia. Tali atti liturgici vennero tradotti in greco con il termine "misteri", forse in analogia con i culti misterici dei pagani. Fu Tertulliano a tradurre in latino, all'inizio del III secolo, la parola greca mystérion (mistero) come sacramentum, termine che in epoca precristiana indicava il pegno di un'azione futura ponendo l'accento sull'oggetto dato in pegno, mentre nell'accezione cristiana focalizzava l'attenzione sull'acqua del battesimo e sul pane e sul vino dell'eucarestia. Il termine mistero è rimasto, comunque, ancora oggi nelle Chiese Ortodosse ad indicare il sacramento. Le sfumature semantiche sussistenti tra "mistero" e "sacramento" sono in gran parte all'origine del diverso carattere della teologia sacramentaria occidentale e orientale.         -I sacramenti, definiti da sant'Agostino "segni esterni e visibili di una grazia interiore e spirituale", sono talvolta detti "segni". Per la teologia cattolica e buona parte di quella protestante essi vengono considerati segni efficaci, producenti la realtà che rappresentano, parte della teologia protestante considera invece i sacramenti "segni estrinseci", che richiamano semplicemente al credente la realtà interiore della grazia.         -Determinati sacramenti, come l'eucarestia e la penitenza, sono ricevuti di frequente. Altri, come il battesimo, la confermazione e l'ordinazione, possono essere impartiti una sola volta. Dai tempi di sant'Agostino (IV-V sec.) si è detto che questi ultimi conferiscono il "carattere": in altre parole, poiché Dio è fedele alle sue promesse, il dono presente in questi sacramenti non può essere ritirato. La grazia può essere latente se una persona non si conforma alle norme della Chiesa, ma non è necessario impartire due volte il sacramento, una volta che sia stata ristabilita la comunione con la Chiesa.        -Il Nuovo Testamento afferma l'esistenza di un unico mistero, il piano di Dio per la redenzione del mondo in Cristo, nascosto a chi non crede ma rivelato a chi ha fede (Ef.1:9-10), quantunque, come si è detto, nella storia del pensiero cristiano sia stato dato il nome di "mistero" o "sacramento" a un certo numero di atti.        -Nel XII secolo, Pietro Lombardo coagulò il consenso attorno al numero dei sacramenti, fissandolo a sette. Questi erano, in effetti, gli atti liturgici che la Chiesa trovava necessari per un'adeguata celebrazione del mistero cristiano. Il Medioevo propose anche la dottrina dell'efficacia del sacramento ex opere operato, per la quale il sacramento è valido in virtù dell'atto compiuto e non della dignità del ministro, sottolineando in questo modo l'assoluta relazione del gesto cristiano alla grazia di Cristo e non a una presunta sacralità del celebrante. Una serie di decisioni conciliari del XIII secolo rese ufficiale il numero di sette, ribadito successivamente, nel cattolicesimo, dal Concilio di Trento (XVI sec.). Anche le Chiese ortodosse riconoscono questi sette riti come sacramenti, ma nessuna decisione ufficiale ne fissa il numero. I riformatori protestanti del XVI secolo dichiararono la legittimità di due sacramenti soltanto, battesimo ed eucarestia, poiché li ritennero i soli istituiti da Cristo. I riformatori rigettarono gli altri sacramenti, sostenendo che la grazia di Dio è attingibile più direttamente attraverso canali personali: preghiera, scrittura e predicazione. Vi sono poi altre confessioni protestanti, quali l'Esercito della salvezza e i Quacqueri, che viceversa non ne praticano alcuno. Fin qui, in breve, la presentazione del significato e dello sviluppo storico del sacramento, tratti prevalentemente dall'enciclopedia Encarta. Per quel che concerne, inoltre, la plurisecolare polemica tra protestanti da una parte e cattolici dall'altra sul numero dei sacramenti, sulla loro efficacia, sul modo e il tempo di impiegarli, ecc., rimando il lettore a un mio precedente lavoro: "La Bibbia, il libro della tua personale salvezza/Che cosa ti dice?".        -Purtroppo, oggi giorno, non sono molti quelli che trovano il tempo e/o la voglia di soffermarsi a leggere, e quindi, se voglio catturare l'attenzione del lettore, dovrò inevitabilmente, oltre che essere chiaro e allettante, essere soprattutto conciso. Partiamo allora subito a sviluppare l'argomento, come indicato dal titolo.        -Il mio termine di riferimento, sia in positivo sia in negativo sarà, per principio, essendo anche unanimemente considerata la chiesa più antica, la Chiesa di Roma, che la tradizione vorrebbe fondata o per lo meno guidata, fino al giorno del suo martirio, dallo stesso Pietro. Naturalmente i protestanti, in base alla scrittura, che considerano superiore alla tradizione, di cui si fa forza e scudo invece la Chiesa cattolica, lo negano e con ciò disconoscono pure la sua presunta supremazia spirituale e di guida morale, giuridica e dottrinale, riconoscendogli soltanto l'importanza storica dovuta al fatto di essere stata la Chiesa della capitale dell'Impero romano. Soltanto la chiusa della prima lettera di Pietro sembrerebbe alludere alla possibilità che egli si sia recato anche a Roma, ma la parola Babilonia impiegata per indicare la città da cui mandava la lettera e i saluti ai fratelli lontani, con il palese intento di alludere con tale termine a Roma, non ne dissipa del tutto i dubbi. Dubbi invece che non sussistono per niente per l'apostolo Paolo.        -Nella Chiesa cattolica vige un antico detto: extra Ecclesia nulla salus, volendo con ciò intendere che la salvezza si consegue solo dentro la Chiesa di Roma, l'unica che conserva intatti l'integrità del messaggio primitivo, la corretta interpretazione della Scrittura, l'autorità dottrinale, spirituale e morale, e l'esclusiva nell'impiego e sul numero dei sacramenti da amministrare.       -Ma le cose stanno veramente così? Anche ammettendo la Chiesa romana depositaria e custode dell'integrità della fede e i sacramenti da essa amministrati come necessari per la nostra salvezza, non ci può essere colpa, come recita forse per prima la stessa Chiesa cattolica, senza piena avvertenza e deliberato consenso. Ora, è indubbio che, nel corso dei secoli, la Chiesa ha trovato e trova al presente, milioni di oppositori, che si sono posti al di fuori, volontariamente o perché scomunicati dalla stessa autorità ecclesiastica, dall'amministrazione dei sacramenti. Tutti dannati dunque? Non credo proprio.        -Per dirla in breve, è importante piuttosto chiedersi a questo punto la natura di tale opposizione. Essa si riferisce in primo luogo al soggetto della sua predicazione? Ovvero, si tratta di odio e avversione verso la persona e l'opera di Gesù Cristo, predicato sin dall'inizio dalla Chiesa? O l'odio e l'avversione vanno alla sola Chiesa (Cristo sì, Chiesa no) che si è resa o si rende indegna, per costoro, nella sua opera di propagatrice del Vangelo, infangando il buon nome di Gesù con il suo comportamento e/o adulterandone ad arte la purezza del suo messaggio? Infine, l'astio va immotivatamente a entrambi?        -Nel primo e nel terzo dei casi esposti è ovvio che tale oppositore si pone per sua libera scelta non solo al di fuori dei sacramenti impartiti dalla Chiesa, ma dalla stessa misericordia di Dio. "Dio che ti ha creato senza il tuo consenso, non ti salverà senza di esso". Nel secondo caso, valgono invece la buona fede e la retta coscienza. Piuttosto che accostarsi a dei sacramenti di cui non si riconosce l'efficacia, e quindi ipocritamente, come fanno tanti, solo per non sentirsi esclusi dalla comunità di appartenenza, e quindi per pura e semplice convenienza, è bene allora non praticarli, che infangarli. Se le ragioni che mi oppongono alla mia Chiesa sono ben ponderate e se non trovo altra comunità cristiana che mi dia la garanzia cercata, che in essa sono nel giusto e nel vero, dovrei per questo disperare? Gettare alle ortiche la mia fede? O non, preferibilmente, rivolgermi direttamente a colui che disse un giorno: "Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori" Gv.6:37; e "Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio l'amerà, e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui"? Gv.14:2.       -Se reputi quindi nullo il battesimo che ti è stato impartito, perché lo hai ricevuto nei primi otto giorni di vita, o comunque quando non eri ancora nell'età della ragione e non vi è altra Chiesa cristiana che ritieni in grado di fornirtene o che voglia fornirtene uno alternativo, sappi allora che la Parola di Gesù è ben più efficace a procurarti la grazia necessaria alla tua redenzione che non dei semplici segni esteriori svuotati di significato dalla tua ignoranza e/o dalla tua indegnità.        -Rammenta l'episodio riportato in 1Co.1:13-17, dove alla comunità che si era divisa in fazioni, Paolo si rivolge con parole sdegnate, concludendo di voler ringraziare Dio per il fatto di non avere battezzato alcuno di loro, tranne due, oltre a una intera famiglia, perché Cristo non lo ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo. E in Gv.4:1-3, viene asserito che Gesù, come il Battista e dopo essere stato controvoglia battezzato dallo stesso, quasi in concorrenza battezzava (quale battesimo?), sebbene subito dopo si specifichi che non lui battezzava, ma i suoi discepoli in senso generico (neppure gli apostoli dunque in particolare).        -Lo stesso discorso vale e a maggior ragione per l'altro importantissimo sacramento, l'eucarestia; di nessuna efficacia se non addirittura a tuo danno se ti accosti ad essa con superficialità, mancanza di cognizione o di umiltà (cfr.1Co.11:20-34). Ma anche qui, se ti sembra di non avere alternative ai tuoi scrupoli, ascolta la parola di Gesù, meditala, interiorizzala e mettila in pratica. In Mt.25:31ss., dove si parla del giudizio finale, Gesù condanna o salva non in base a quante ostie hanno messo in bocca durante la loro vita i convenuti al giudizio, bensì tenendo conto delle loro buone o cattive azioni riversate sul proprio prossimo bisognoso, con il quale egli si identifica.        -Leggi inoltre cosa dice Gesù nel Vangelo di Giovanni al capitolo 6, dove si presenta agli scandalizzati uditori giudei come pane disceso dal cielo: "Disse loro Gesù. Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in me non avrà più sete"; "Io sono il pane vivente disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del  mondo"; "Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi"; "Perché la mia carne è un vero cibo , e il mio sangue una vera bevanda"; "E' lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla. Le parole che io vi ho detto sono spirito e vita" Gv.6:35; 51; 53; 55; 63.      -A parer mio, anche considerando che Giovanni non cita per nulla l'istituzione dell'eucarestia da parte di Gesù durante l'ultima Cena (e ricordiamoci che Marco e Matteo, pur riportandone l'istituzione nascondono il richiamo di Gesù alla riproposizione del gesto da parte degli apostoli), le parole dell'evangelista sono un vero e proprio pronunciamento a favore dell'eucarestia spirituale.        - Mangiare Gesù, che peraltro non può essere mangiato fisicamente, perlomeno non nella sua individualità (la Bibbia ripete in numerosi passi che, al momento presente, è in cielo, alla destra del Padre, cfr.At.1:11; 3:21; Fl.3:20; Eb.10:12-14; 1Pt.3:22, ecc.), è appunto, accettarne in tutto e per tutto il suo sacrificio compiuto sulla croce. La vera comunione è adeguarsi alla sua volontà, al messaggio salvifico della sua Parola, che sola ci purifica, e può attuare un sincero cambiamento in noi. Del resto la parola ha davvero il potere di purificare chi la accoglie. Così, infatti, dice Gesù, rivolto ai suoi discepoli durante il discorso sulla vite e sui tralci riportato sempre nel Vangelo di Giovanni, capitolo 15 versetto 3: "Voi siete già puri per la parola che vi ho detto".        -Ed-è proprio per la parola di ravvedimento avvenuta, da parte di uno dei due ladroni crocefissi con Gesù, all'ultimo istante, sul patibolo che costui poté non solo essere salvato senza sacramenti, ma addirittura precedere ciascun componente del popolo di Dio nell'entrare in paradiso: "E (Gesù) gli disse:-In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso!-" Lc.23:42. Con buona pace naturalmente di tutti (e non sono pochi) i "benpensanti".

 

 

                                                                                   giuliobozzi53

Poggibonsi, 04/10//2011

 

 
 
 

PASSO DOPO PASSO, COSA FARE PER ARRIVARE A CONSEGUIRE LA VITA ETERNA

 

“Dio, infatti, ha così amato il mondo da dare il suo Figlio, l'Unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna” Gv.3:16.

     Diciamocelo subito e apertamente, anche per non creare false aspettative in chi legge: la salvezza non si consegue in modo frettoloso, improvvisato e a casaccio, ma, come tutte le cose ben fatte di questa vita, segue un proprio sviluppo, del tutto determinato e ordinato, evolutivo direi, di passo in passo, gradino dopo gradino, fino alla sua naturale conclusione. Non per nulla, ogni religione che si rispetti, fa seguire al neofita un percorso più o meno lungo di formazione, prima della sua adesione definitiva; e così fece Gesù con i suoi apostoli, istruendoli e vivendo con loro per un certo tempo in disparte.      -Partiamo perciò dall’umiltà: la prima, delle successive tappe necessarie, che ci porteranno alla voluta mèta finale. Non c’è niente da fare, senza l’umiltà non si costruisce alcunché di risolutivo e non si va in nessuna direzione sicura. Riconoscerci un niente, bisognosi di tutto o quasi, sentire su di noi la nostra finitezza e la nostra miseria, il bisogno di essere salvati dal baratro che ci si presenta innanzi, è un aprirci coscientemente all’Altro, all’assolutamente Altro; è un grido disperato d’aiuto verso Colui che solo può liberarci dalla nostra sofferenza e precarietà umana. L’umiltà è stata, non solo largamente raccomandata da Gesù ai suoi discepoli, ma anche esercitata, a modo d’esempio, da egli stesso nei loro confronti, mettendosi, egli per primo, al loro servizio, durante il suo ministero su questa terra, fino al gesto estremo della lavanda dei piedi, da lui compiuto, verso i Dodici, durante l’Ultima Cena (v.Gv.13:1-11).     -Dall’umiltà alla fede in Dio. Senza la fede, come ci ricorda l’apostolo Paolo, è impossibile piacere a Dio (cfr.Eb.11:6), e Gesù stesso ci esorta fraternamente ad avere fede nel nostro Padre celeste e in lui, in quanto Figlio di Dio (cfr.Gv.14:1ss.). La fede è, possiamo dire, il completamento, l’ovvio sbocco dell’umiltà. L’umiltà, difatti, come si può vedere chiaramente nella religione cristiana, apre il suo orizzonte sulla fede, e questa la riveste di dignità e di onore innalzando la creatura, da bassa quale si riconosce, fino alla vetta del suo Creatore, che gli dona il dono immenso della sua figliolanza divina. Ma la fede ci richiede, talvolta, in partenza, non solo la misura del piccolo granello di senapa, per poter essere operante, o dei semplici, purché significativi, gesti quotidiani, bensì pure ribaltamenti estremi, rotture estreme, risposte estreme; cioè, un completo e fiducioso abbandono alla volontà di Dio, e questo anche quando tutto appare ancora compromesso e niente vi è di sicuro per colui che vi aderisce. Basti pensare, fra i tanti personaggi biblici che possono essere richiamati alla memoria, alle figure di Abramo, di Maria, di Gesù, veri e propri giganti della fede, che, senza esitare, hanno messo in gioco le loro vite contro ogni apparente buon senso, ma che poi hanno vinto, cambiando così le vicende loro e dell’umanità. Insomma, la fede non è per i meschini, per i corrotti, gli sfiduciati, gli affaristi, per coloro che tendono al compromesso, che amano patteggiare, calcolare, che non vedono più in là del proprio naso, che temono il futuro e, perciò, si aggrappano saldamente al presente, arraffando, o tentando di arraffare quanto più possono, anche e spesso a danno del loro prossimo. No, per costoro non c’è posto, e direi per fortuna, nel Regno dei Cieli di evangelica menzione, né per chi dissipa i talenti ricevuti in dono da Dio, o li lascia infruttuosi.      -Ma non basta credere, bisogna sapere anche in chi si crede. Di fatto esistono molte religioni, che presentano divinità con caratteristiche spesso difformi tra religione e religione, e allora dobbiamo apprendere, discernere, e allora dobbiamo fare ordine nella nostra mente, mettere le idee nella loro giusta collocazione, progressivamente e per grado di importanza, perché i nostri avversari non ci colgano impreparati e nel disordine mentale, e ci confutino, ma possiamo rendere, invece, a chiunque, ragione della nostra fede. Quando Pietro e Giovanni, come ci narrano gli Atti degli apostoli nel c.3, v.1ss., guarirono uno storpio che mendicava a una delle porte del tempio di Gerusalemme, agli abitanti della città, stupefatti ed attoniti per tale miracolo, Pietro disse che era stato, non un dio qualsiasi, ma il Dio dei loro Padri, il Dio, cioè, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ad operare tale miracolo per mezzo di Gesù; quello stesso Dio, appunto, che aveva risuscitato il suo servitore Gesù da morte e che lo aveva ora posto assiso alla sua destra, in attesa della restaurazione di tutte le cose. Penso che, con tale esempio, il concetto espresso non abbia bisogno di ulteriori esplicazioni, ma sia sufficientemente chiaro a chiunque. Non l’astratta, quindi, e filosofeggiante affermazione di una vaga credenza in un vago dio; non l’isolata ed estenuante meditazione di uno scarnificato guru, alla ricerca incessante dell’unione della propria anima (atman) con il fondamento dell’universo (brahman); né l’estinzione del nostro io, cosciente e personale, in un nulla assoluto, o, come altri intendono, in una beatitudine eterna, comunque asettica e indistinta (nirvana); né, tanto meno, l’improvvisa, e illuminante rivelazione ricevuta dall’alto da un, troppo spesso, intollerante ed esaltato inviato, ma la netta testimonianza di una fede provata e dimostrabile con fatti concreti in un Dio calato e resosi vivo nella storia, in cammino a tu per tu con l’uomo, come lo è stato e lo è tuttora Gesù Cristo (“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla consumazione del secolo” Mt.28:20), questa deve essere la vera natura della vera fede, il vero oggetto della nostra credenza, sebbene, come vedremo in conclusione al nostro lavoro, di fronte al muro inespugnabile della libertà umana, della nostra libera adesione al piano di salvezza che Dio ha su ciascuno di noi, che può giungere, in tal modo, persino al rifiuto netto ed inesplicabile di Dio da parte nostra, né fede, né ragione, né miracoli possono alcunché, ma solo l’intervento diretto di Dio, come avvenne a Paolo sulla nota via di Damasco, e che ne mutò radicalmente il destino.     -Soffermiamoci adesso sulla coesione, l’unità, la compartecipazione che deve esserci tra i fratelli, tra coloro, cioè,  che sono membri di una stessa fede. Se manca la coesione, se si apre una breccia in qualche parte della famiglia religiosa, perché qualche membro della comunità defeziona dalla fede, allora è facile per il nemico entrare e portare lo scompiglio nell’interno, depredando e distruggendo quanto in esso vi trova. Soprattutto nel Vangelo e nella prima Epistola del discepolo prediletto da Gesù, viene posto con forza l’accento sull’amore che deve esserci tra i seguaci di Cristo; un amore talmente forte da spingerli, là dove occorresse, sul modello del loro precettore e Signore, fino al gesto estremo della donazione della propria vita per l’altro.     -Ed eccoci ad argomentare sulle relazioni che il fedele deve tenere con il mondo esterno. Esse devono essere improntate, anzitutto, al reciproco rispetto e al dialogo, come si conviene tra persone civili. Ma il cristianesimo, sulla scia della religione che l’aveva preceduta, l’ebraica, comanda molto di più: oltre al dare a ciascuno ciò che gli è dovuto, secondo il grado e il ruolo che riveste in questa società, esso comanda d’amare il prossimo come noi stessi, allargando però il concetto di prossimo, prima ristretto nell’ambito, o familiare, o della stessa nazione, o della stessa fede religiosa, anche ai diversi, ai lontani ed ai nemici. Al proposito, per chiarire meglio il concetto in questione, ci viene in soccorso la parabola, magistralmente raccontata da Luca nel suo Vangelo, del buon samaritano (Lc.10:29ss.), e a cui si rimanda il lettore.      -E con l’amore, senza se e senza ma, riversato abbondantemente sopra i nostri simili, come ordinatoci dal comandamento di Dio, siamo così arrivati anche alla parte terminale del nostro percorso da noi definito, al suo inizio, evolutivo, e di tipo prevalentemente etico-religioso; ovvero, siamo allo svelamento del Mistero, alla comprensione della Verità trascendente che sta sopra di noi, che ci abbraccia dall’alto, che si rende presente a noi nella rivelazione, e che rende compiuta la nostra esistenza nel progetto d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, col dare un senso alla vita, apparentemente vacua ed inutile, indicandoci il nostro fine ultimo. Questa Verità, evidentemente, non è frutto, o approdo di speculazione, sia filosofica che religiosa, bensì è, innanzi tutto, partecipazione, comunione, legame stretto ed intenso col Dio vivo, rivelatosi e sceso in mezzo a noi poco più di duemila anni fa, nella persona di Gesù da Nazaret, e di cui, dopo la sua ascesa al cielo, ne attendiamo fiduciosamente il glorioso ritorno.      -Mentre nel corso dei secoli e a sua testimonianza per tutti gli uomini, Dio ha lasciato tracce di sé nella natura, che svela nelle sue opere il marchio, l’impronta indelebile del suo Creatore, come pure nella legge morale o coscienza, insita nel cuore di ogni uomo, sino a far capolino nella storia col chiamare a sé un popolo, rivelandogli il suo nome e fornendo ad esso profeti, affinché preparassero poco a poco la sua manifestazione definitiva, avvenuta poi nella “pienezza del tempo”, come ci ricorda l’apostolo Paolo in Gal.4:4, nella seconda persona della Trinità: il Figlio, il Verbo divino; Dio, appunto, nella stessa persona di quel Verbo si è per noi incarnato, prendendo possesso dell’umanità intera, assumendola su di sé e liberandola dalla schiavitù del peccato, col riscatto della sua morte redentrice avvenuta sulla croce e la successiva risurrezione. Dio vuole, perciò, perché l’uomo consegua la vita eterna, ed il sacrificio del suo unigenito Figlio non sia avvenuto invano, che egli anche creda a questo messaggio di salvezza e si adegui alla sua santa volontà: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” Gv.6:40. Quindi, il termine ultimo di questo nostro cammino è la nostra adesione alla sua rivelazione (adesione, questa volta, prevalentemente affettiva e apportatrice di buoni frutti e non più soltanto concettuale e sterile, come quella da noi concessa in precedenza, e che si raggiunge, come si è visto, dopo la pratica dell’amore esercitata verso il prossimo in generale e i propri fratelli nella fede in particolare, cfr.1Gv.4:20-21). Il passo conclusivo del percorso fin qui intrapreso è, perciò, una persona: Gesù Cristo; la nostra fede in lui, nella sua divinità. “Ora, la vita eterna è questa, che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” Gv.17:3. Solo in lui, difatti, la divinità si fa realmente e integralmente manifesta e non camminiamo più a tastoni nella ricerca di essa, e anche le altre religioni possono così trovare nel cristianesimo, il loro sbocco più confacente, il loro approdo definitivo, la piena luce, che scacci le loro molte ombre e lati oscuri.     -Con la sola ragione, e con la religione speculativa, come ci stanno a ricordare gli insuccessi umani, non arriviamo a niente. Solo la rivelazione, che la divinità fa di se stessa all’uomo, può condurci a mèta sicura. E ad oggi, nessuna religione, se non la cristiana, ci ha presentato un Dio fattosi anche uomo, o un uomo dichiaratosi anche Dio. Nessuna religione fa sacrificare la propria divinità col supplizio più atroce e nel modo più obbrobrioso per l’umanità intera, come la cristiana, e poi ne proclama la risurrezione. Nessuna religione comanda l’amore per i propri nemici, e valorizza il pacifismo più estremo, la povertà, la non reazione alle offese, la castità, l’umiltà, la propria insufficienza, il sacrificio, la rinuncia agli affetti familiari e alla propria vita, il senso del peccato, il perdono, ecc., quanto il cristianesimo; tutti non valori per le società opulente e materialiste, basate sull’apparenza e sulla visibilità forzata, e svuotate dei veri valori quali sono le nostre paranoiche e schizofreniche società occidentali, eppure trovando esso, nel corso dei secoli, milioni e milioni di adepti, e facendo innumerevoli martiri, ben contenti di morire (e non certamente di ammazzare gli altri) a motivo di Gesù. Ed è proprio grazie a Gesù se i cristiani, unici fra tutti, possono, anche nel nostro tempo, dal più grande al più piccolo, dal più santo al più peccatore, rivolgersi a Dio con il familiare e tenero titolo di Padre (cfr.Mt.6:9-12; 23:7-10).     -Una religione che per molti suoi detrattori rasenta l’assurdo e il masochismo, ma chi si converte ad essa ne dà però una testimonianza del tutto diversa, dicendo di avere trovato soltanto lì la vera pace e la vera ragione di vita, capace come essa è di cambiare completamente l’uomo, di rivoltarlo come un calzino, di trasformarlo da dentro e da fuori, come ce ne da accertato rendiconto la sua stessa e ben documentata storia di figure di santi e martiri, nonché di grandi operatori sociali ed umanitari appartenuti anch’essi alla chiesa. Del resto, come rimanere insensibili od inerti di fronte ad una figura come quella di Gesù. Una figura radicale e che non ammette compromessi, ma che ti carica le spalle di un giogo soave e di un fardello leggero, com’egli ebbe a dire, e che non ti lascia solo un istante lungo il tuo cammino. Un personaggio, che, per la prima volta e unico nella storia delle religioni, si esprime con autorità, in prima persona, con quell’ “AMEN (IN VERITA’), IO VI DICO”, che non vuole lasciare adito a dubbi, in chi ascolta, sull’origine della sua persona e sulla natura delle sue parole.     -Egli si proclama luce del mondo, risurrezione e vita, via e verità e vita, e unico mezzo per arrivare al Padre. Inoltre afferma che chi vede lui vede il Padre e la sua unicità con esso. Assimila la sua carne e il suo sangue al pane e al vino, dichiarando la sua carne vero cibo e il suo sangue vera bevanda, con grande scandalo per i suoi uditori giudei; che la sua morte è sacrificio unico e necessario per riscattare l’umanità dal gravame del peccato e ricondurla riappacificata a Dio, e altre espressioni simili, che se si estrapolassero da tutto il contesto in cui sono state dette, i Vangeli, potrebbero apparire frasi di un folle, anche se non credo che un folle si sia mai spinto a proferire tanto. Ad ogni modo un folle non troverebbe e non ha trovato mai tanti consensi e seguaci quanti ne ha trovati e continua a trovarli Gesù nel corso dei secoli: di ogni condizione sociale, di ogni statura intellettuale, sia uomini che donne, di ogni età e di ogni continente, ecc., che non solo gli hanno donato le proprie energie e i propri averi, ma anche la loro stessa vita. Quindi, se non è un pazzo lui, non resta che arguire che siamo degli imbecilli noi a non credergli, a non fidarci di lui, a non lasciarci guidare dalla sua parola. Ma non penso, a parte qualche caso, che i più siano degli idioti allo stato puro. Magari stessero così le cose! Almeno la nostra salvezza non ne sarebbe compromessa: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!”, esclamò Gesù sulla croce, di fronte ai suoi carnefici (Lc.23:34).     -Purtroppo, oltre le ragioni della mente ci sono anche le cosiddette ragioni del cuore di pascaliana memoria, e queste possono essere e sono, di fatto, di ben più difficile apertura e comprensione delle prime: mi riferisco alla durezza del cuore, così tanto stigmatizzata da Gesù durante il suo ministero terreno, e che, in fondo, ne ha determinato il rifiuto e la sua messa a morte da parte del suo stesso popolo. Perciò, non trovo conclusione migliore, alla fine di tutto questo nostro percorso di fede, che riportare le stesse parole che Gesù rivolse amaramente a quei giudei avversi ancora al suo invito alla conversione e a credere in lui, nonostante i segni sin lì da lui compiuti. E Gesù disse: “Io sono venuto in questo mondo per un giudizio, affinché quelli che non vedono ci vedano, e quelli che vedono diventino ciechi”. Alcuni dei farisei, che erano con lui, udirono ciò, e gli dissero: “Siamo forse ciechi anche noi?”. Gesù disse loro: “Se foste ciechi, non avreste peccato; ma ora dite: -Noi ci vediamo!-; così il vostro peccato resta” Gv.9:39-41.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                 giuliobozzi53

Poggibonsi, 21/07/2011

neotestamentali@libero.it

 
 
 

UN RICHIAMO AGLI AMICI DI FACEBOOK

Post n°13 pubblicato il 07 Luglio 2011 da giugibzz1

     Amico/a, di Facebook, mi rivolgo a te affinché tu possa riflettere un po’, finché sei in tempo, su quanto ti vado dicendo. Ma non senti intorno a te tutta quest'aria appesantita? Non senti, almeno di quando in quando, la necessità di rigenerare i tuoi polmoni con un salutare ricambio d'aria fresca? Passare, cioè, dall'eccessivo materialismo e consumismo in cui sei immerso, a un po’ di spiritualismo e sano pauperismo evangelico? E perché ci sia un adeguato ricambio d'aria, bisogna che tu faccia, innanzi tutto, delle edificanti ed appropriate letture, per ossigenarti così, in qualche modo, la mente temporaneamente inquinata. Per questo ho apprestato per te, sul mio Blog, tutta una serie di articoli a carattere cristiano, sufficienti, credo, a darti un’infarinatura di base, nel caso tu volessi poi proseguire con me, o con altri, o anche da solo, ulteriormente il discorso. Intanto t’invito sin d'ora a darmi il tuo nome per aderire, almeno online, alla mia comunità cristiana, creando così un gruppo, aperto a chiunque voglia farvi parte, anche su Facebook.    -Capisco che la pubblicità è l'anima del commercio e che il commercio è una delle quattro ruote del carro su cui poggia il progresso, e che al progresso, con i suoi beni materiali e i godimenti che ad essi conseguono è molto difficile rinunciare; ma che diamine! Un po’ d'orgoglio di specie alla fine, o no! Non siamo solamente degli animali, ma abbiamo anche e soprattutto, una parte spirituale da curare e nutrire continuativamente. Ma se ogni giorno te ne stai immerso, a sguazzare, beato, nel tuo materialismo, come un porcellino nel suo trogolo, non vedo proprio come tu possa venirne fuori, se non ti fai aiutare; anzi, come in un pantano sprofonderai sempre più in basso, e allora nessun uomo potrà più salvarti, ma solo la grazia di Dio.    -Non ti dico chi l’ha detto, ma ti dico cosa ha lasciato scritto, di molto importante, qualcuno, non meno importante, a noi un giorno: "Nati non fummo per viver come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza". E allora seguiamola questa virtù, ma soprattutto la conoscenza che può portarci ad essa, perché, senza la luce della conoscenza, è, altrimenti, come un voler prendere, al buio (il buio della nostra ignoranza, della nostra cecità mentale), sconsideratamente, una direzione a casaccio tra i tanti bivi possibili, alcuni conducenti a sbocchi assai pericolosi ed irreversibili, una volta presi. Ecco quindi la necessità di non perdere mai l'orientamento, munendoci di una bussola appropriata che ci dia sempre la direzione giusta, e questa bussola, ancora una volta, si chiama conoscenza.    -Senti amico/a, di Facebook, non sono certamente qui con l'intenzione di farti un predicozzo come un prete dal pulpito della sua chiesa, anche perché non mi reputo migliore di te, nonostante il mio cambiamento, in quanto esso è avvenuto per gratuito dono di Dio e non per merito, ma nella tua attuale condizione ci sono passato anch'io, e perciò posso non solo capirti, ma soprattutto consigliarti per il meglio. Innanzi tutto rivestiti d'umiltà. Essa è il primo passo e la condizione necessaria per riconoscerci peccatori e risultare così graditi a Dio, e avviare all'istante il nostro processo di conversione. Difatti, molto presumibilmente, la differenza maggiore fra te e me sta tutta qui: non nel fatto che io sia meno o più peccatore di te, ma che io mi riconosco peccatore, e tu no. Ora, se io mi riconosco peccatore, per quanto possa peccare, ho sempre qualcuno al mio fianco, se mi pento sinceramente alla fine del mio atto peccaminoso, pronto a risollevarmi e a darmi sostegno, perché io non ricada di nuovo nel peccato, perché egli, un giorno, li ha portati tutti su di sé, i nostri peccati, riscattandoli con la sua morte redentrice, e quel qualcuno è Gesù. Ma se tu sei tronfio, se non hai né il senso né la cognizione del peccato, non potrai neanche accorgerti del baratro che hai sotto i tuoi piedi, e non accorgendotene, neanche potrai chiedere aiuto, quando giungerà il momento, a chi, solo, può dartene veramente.     -Vedi amico/a, tutte le cose vanno chiamate con il loro nome, e non confuse tra loro. Se ti piace scambiare la notte con il giorno, sei libero di farlo, bada bene però di non confonderli con la tua intelligenza, perché la notte resterà sempre notte, con tutte le sue peculiarità, e il giorno sempre giorno, altrimenti, prima o poi ne riceverai grave danno. Così non confondere il male con il bene, anche se nel primo ti pare trovare più piacere, almeno quello immediato, perché altrimenti sei un insensato, e il tuo destino di miseria è veramente segnato. Perché prima, con la malattia e la vecchiaia, perderai il tuo corpo e con esso tutti i piaceri dei sensi, poi, con la morte, in mancanza della grazia di Dio, per esserti rifiutato di affidarti per tempo a lui, anche la tua ANIMA. E davvero saresti a tal punto sconsiderato! Ma diamine, rinunciare a tanto, per cosa? Per qualche piacere precario e fuggevole, che non è neanche in tuo potere mantenere? Io proprio non ti capisco, o, perlomeno, mi rifiuto momentaneamente di farlo. Ad ogni modo, vada come vada, ti saluto, e se vuoi, ti aspetto, nella pace del Signore Gesù.

 

                                                                                                                                                                                                        giuliobozzi53

Poggibonsi,07/07/2011                                          

 

 
 
 

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