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COME CONSEGUIRE LA PROPRIA SALVEZZA IN MODO RAPIDO, SEMPLICE E SICURO

Post n°22 pubblicato il 18 Maggio 2012 da giugibzz1

 

 

Ho creduto, perciò ho parlato” 2Co.4:13.

       C’è davvero un modo, per un cristiano, di conseguire, come dice il titolo di questo trattatello, la propria salvezza con celerità, semplicità e in tutta sicurezza? Io direi di sì. La Parola di Dio afferma chiaramente in più luoghi che basta credere in Gesù quale Figlio di Dio e nella sua opera redentrice (passione, morte e resurrezione) a favore dell’umanità per essere salvi. Come si vede la strada è breve, non c’è bisogno di trascorrere duri e interminabili anni sui libri di teologia, né di conseguire alcun dottorato o passare la vita in altro genere di studi, anzi, più si è semplici e ignoranti in questo campo, e maggiormente il successo appare assicurato. E’ una questione di fede più che di cultura. Il battesimo può quindi amministrarsi immediatamente dopo la proclamazione di fede del convertito, come mostra esplicitamente la Bibbia, e non farlo attendere mesi o addirittura degli anni, com’è costume fare da parte di certe chiese, anche perché talvolta Dio fa precedere il battesimo d’acqua da quello ben più importante dello Spirito Santo, che fa discendere sul neofita al momento stesso del suo cambiamento di vita (vedi l’episodio della conversione di Cornelio e familiari da parte di Pietro, narrata in Atti). E allora, non conviene imitare Dio piuttosto che gli uomini? Si è accennato alla semplicità. Certo, conseguire la salvezza in modo semplice è possibile, ancorché auspicabile. Perciò niente più macerazione della carne, niente più estenuanti digiuni, niente più lunghe orazioni e solitari ritiri, ma unicamente tanto amore, tanta umiltà e soprattutto tanta concentrazione per stare in ascolto della voce silenziosa ma viva di Dio. E’ vero che Gesù digiunava, pregava, e si ritirava frequentemente, ma è pur vero che s’intratteneva anche volentieri a festeggiare, bere e mangiare nelle case altrui, tanto da essere accusato dai suoi detrattori di essere “un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”. Semmai raccomandava ai discepoli l’amore piuttosto che il sacrificio. Del resto egli ha già patito per noi tutto quel che c’era da patire, così che a noi non rimane che l’apertura del cuore a Dio e l’amore per i fratelli per sentirci dei buoni cristiani (“Chi non ama il proprio fratello che vede, come può amare Dio che non vede?”, si chiede giustamente l’apostolo Giovanni nella prima delle sue tre omonime epistole). So bene che a certi cristiani, e non sono pochi, i quali fanno della sofferenza la ragione del proprio credo, tanto da procurarsela spontaneamente e con i mezzi più duri e improponibili, se non sono affetti da alcuna dolorosa malattia, questo discorso non piace, ma si rileggano bene le lettere di Paolo con il suo continuo richiamo alla gioia indirizzato ai fratelli e la raccomandazione di tenersi lontani dai divieti riguardo al cibo, ma di prendere, senza scrupoli, qualsiasi genere di esso, purché fatto con rendimento di grazie verso Colui che lo provvede. Dà poi fastidio, ne sono certo, soprattutto alle chiese istituzionalizzate e che dividono il popolo di Dio in due categorie, clero e laici, che io, non facendo che seguire in ciò quanto dichiara la Scrittura, proclami la sola fede in Gesù, sufficiente per ottenere la salvezza, scavalcando così santi, madonne, riti, dogmi e quant’altro, poiché, come afferma ancora la Scrittura, solo in Gesù è possibile ottenere la salvezza e in nessun altro. Ora, se io mi pongo a tu per tu con Gesù e Gesù si pone a tu per tu con me, chi altri può e deve interferire nel nostro rapporto? Nessuno, sicuramente. Con questo non voglio dare il ben servito alle chiese, non sono io il loro giudice, anzi ne sono io stesso un membro, solo affermo che, al di là dell’unico sacrificio di Cristo, atto a soddisfare in pieno il riscatto a Dio della persona umana, Dio si serve di molte vie per portare il peccatore alla salvezza e nessuno ha il diritto di spiare alcuno, per avere magari poi il pretesto di giudicare e anche di condannare la libertà altrui in Cristo Gesù. Ciascuno prenda la strada che vuole; se vuole allungarla e perdere in ciò del tempo faccia pure, io, da parte mia, preferisco, consiglio e imbocco la più breve, perché, ogni volta che lo desidero, prima raggiungo il mio Signore e Salvatore e meglio sto. Per ultimo consideriamo il tema della sicurezza. La certezza della nostra salvezza ci viene garantita proprio da chi ce la promette, ossia Gesù Cristo. Egli è il credibile e sostenibile latore delle sue promesse, proprio perché santo nella sua persona, coerente tra il suo dire e l’agire, disinteressato nel suo scopo, tanto da privarsi volontariamente delle sue prerogative divine con l’assumere la natura umana e sacrificarsi fino alla morte per la salvezza altrui. Profondo conoscitore dell’animo umano, sapiente come nessun altro, portentoso in opere, è soprattutto determinato e autoritario (era uno che non guardava in faccia a nessuno: né a Pietro, che definì “Satana”, né alla classe dominante del suo tempo, che chiamava “ipocrita”). Così autoritario da non tenere conto del parere degli uomini e risultare perciò grandemente e gravemente scandaloso a certe categorie di persone: agli animalisti, per aver egli mandato i demoni, scacciati dal posseduto di Gerasa, in una mandria di porci pascolanti poco distante, che in conseguenza di ciò sono corsi a precipitarsi in un burrone, morendo tutti quanti; ai vegetalisti (coloro che pensano che anche i vegetali abbiano un’anima), per l’episodio del fico reso eternamente sterile da Gesù, perché avendo un giorno fame si era avvicinato ad esso per cogliere qualche frutto, solo che non era la stagione adatta, ma Gesù, seccato per non essersi potuto sfamare, lo ha maledetto lo stesso; ai benpensanti, infine, perché nella parabola dei vignaioli sfaccendati che il padrone della vigna chiama, via via che incontra, a lavorare sul suo terreno, alla fine della loro giornata di lavoro, come convenuto con essi al momento del reclutamento, si permette di dare a chi aveva lavorato soltanto un’ora la stessa cifra di chi aveva invece sopportato il peso dell’intera giornata, suscitando, nel nostro meschino modo di pensare, il forte disappunto di quest’ultimi. Ma la sicurezza definitiva di avere conseguito con il nostro assenso al messaggio cristiano anche la nostra salvezza eterna, è la vittoria di Gesù sulla morte. Proprio la sua risurrezione è il sigillo inoppugnabile della testimonianza che egli dà di se stesso. Ritorno quindi volentieri all’unica vera valida prova che più volte ho espresso nei miei precedenti scritti riguardo alla veridicità o meno del fenomeno Gesù: la sua sanità mentale. Soltanto ritenendolo un pazzo, infatti, e ritenendo dei pazzi coloro che ne hanno raccolto il messaggio, testimoniando e tramandando con la sua parola anche la sua divinità, potremo chiudere e archiviare definitivamente l’argomento. Ma chi ha il coraggio di dichiararlo tale, senza essere accusato egli stesso d’essere un malato mentale? Chi se la sente di lanciare per primo un siffatto “boomerang” verbale? Lasciamo andare, quindi, che è meglio, anche perché non se ne uscirebbe più, dovendo, in caso affermativo, dimostrare che siano pazze pure tutte quelle migliaia e migliaia di persone che dall’inizio fino a qui hanno aderito e aderiscono al messaggio cristiano, includendovi tra costoro numerosissimi letterati, filosofi, scienziati, artisti, ecc., di ogni parte o quasi del mondo. E allora teniamoci stretta la nostra certezza, ben consapevoli però che essa non è così lampante e accecante come il sole che brilla al meriggio di un giorno d’estate, bensì è più simile a un sole che appare e che scompare continuamente tra una coltre di nubi. Difatti, nonostante tutto quel che abbiamo detto, il mistero intorno alla nostra fede rimane. Dio non vuole svelarlo, perché neanche vuole obbligarci a credere, ma ci ha donato la libertà perché con essa si aderisca al nostro credo liberamente, senza forzature. Come ha scritto il noto filosofo e matematico francese del XVII secolo, Blaise Pascal, riferendosi a coloro che vogliono cercare i segni della manifestazione di Dio nel mondo, nel mondo appunto “c’è luce a sufficienza per chi vuole credere, ma anche buio a sufficienza per chi non vuole credere” (Pensieri). Allora, per concludere tutto il discorso fin qui fatto, diciamo pure che per amore Dio ci ha creato, per amore Dio ha mandato suo Figlio nel mondo per redimerci dal peccato, per amore, infine, e non per obbligo, vuole che noi rispondiamo alla sua chiamata. Sì, o lettore, forse compiaciuto o forse infastidito dal mio modo di argomentare; dall’inizio alla fine, l’avventura dell’uomo su questa terra è stata, è, e sarà tutta e semplicemente una questione d’amore: amore dato, amore negato, amore corrisposto, amore rifiutato, amore esaltato, amore oltraggiato, ma sempre tutto e solo in nome e in vista dell’amore. Questo è la via maestra per raggiungere il traguardo certo della salvezza. L’unica strada, in fondo, che ci ha veramente indicato Gesù e per cui ha anche accettato di sacrificarsi, e l’unica cosa per cui valga ancora la pena di vivere.

 

 

                                                               giuliobozzi53

poggibonsi, 18/05/20012

 

 
 
 

PILLOLE DI CRISTIANESIMO (PARTE TERZA)

Post n°21 pubblicato il 25 Aprile 2012 da giugibzz1

 

11."Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete" Mt.7:15s. Ora, al di là di questo notissimo avvertimento (ma evidentemente poco ascoltato) dato da Gesù ai suoi seguaci, mi chiedo: Esiste da qualche parte un qualcosa, uno strumento, un metro di paragone direi, che definisca, una volta per tutte, chi può essere chiamato cristiano, oggi come ieri, in modo inoppugnabile, incontrovertibile, certo, sicuro, palpabile se possibile, così da mettere fine a quella assurda guerra di dispute, sovente pretestuose, tra cristiani o sedicenti tali, appartenenti a confessioni diverse, e iniziata quasi agli albori del cristianesimo e combattuta non solo a parole (si pensi a certi sanguinosi periodi storici) e che continua, purtroppo, imperterrita, anche se in forme più subdole e mascherate, fino ai giorni nostri? E se sì, dove trovarlo? La risposta al primo interrogativo è immediata e affermativa. Ma anche quella al secondo quesito è di facile soluzione. Tale metro di raffronto si trova proprio nella Parola di Dio, la Bibbia per l'appunto e nelle ripetute espressioni che essa cita con riferimento al cristiano, a questo nuovo, cioè, e acquistato figlio di Dio. Ecco, tanto per cominciare, quel che dice l'apostolo Paolo: "Se tu professerai con la tua bocca Gesù come Signore e crederai nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato da morte sarai salvo" Rm.10:9. E in Gal.3:26: "Tutti, infatti, siete figli di Dio in Cristo Gesù mediante la fede". E proseguiamo con l'evangelista Giovanni: "Ma a quanti lo ricevettero, diede il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome" Gv.1:12. E altrove ribadisce: "Ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto nella carne è da Dio" 1Gv.4:2. E ancora: "Chi confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio in lui rimane ed egli in Dio" 1Gv.4:15. Dello stesso tenore è pure quest'altra: "Chi crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato ama anche chi è stato generato da lui" 1Gv.5:1. E qui mi fermo, essendo tali versetti più che sufficienti ad esprimere in tutta chiarezza il concetto voluto. Desidero solo concludere degnamente il pensiero iniziale col citare di nuovo Paolo, che ci dà un altro mirabile indizio interpretativo con cui poter riconoscere, senz'ombra di dubbio, il cristiano tra noi: "Nessuno, mosso dallo Spirito di Dio", egli scrive, "può dire: Maledizione a Gesù, e nessuno può dire: Gesù Signore se non in virtù dello Spirito Santo" 1Co.12:3. E allora? E allora smettiamola una buona volta, come ci richiede Gesù, di giudicarci gli uni con gli altri, di condannarci, di escluderci a vicenda. Ognuno esprima l'amore per Dio come se la sente, nella quantità e nel modo in cui è più capace. Preghi come, dove e quando vuole, sia che lo faccia con frasi già definite e imparate a memoria, sia che privilegi, invece, libere e spontanee e spesso come avviene per certi cristiani, anche troppo numerose parole, dimentichi forse in ciò del preambolo, a guisa di consiglio, posto da Gesù all'insegnamento del "Padre Nostro" ai suoi discepoli e come egli stesso pregò, effettivamente, durante la sua agonia nell'orto del Getsemani la sera prima di morire. Ancora, fa poca differenza credo, dal punto di vista del buon Dio, che uno si ritenga già salvo per la fede in Gesù o che voglia altrimenti aspettare, più prudentemente, la certezza dell'ultimo giorno; sia che privilegi le opere supportate dalla fede o la fede seguita dalle opere; sia che preferisca porre nella sua predicazione e devozione l'accento su Cristo crocefisso, come faceva Paolo, o sempre come il medesimo, e in altre occasioni, si soffermi al contrario prevalentemente sull'annuncio di Gesù Messia Signore. Siamo servi di Dio e non degli uomini. "E chi sei tu che giudichi il domestico altrui? O che cada o che stia in piedi è cosa che riguarda il suo padrone; ma il Signore lo farà stare ritto perché ha il potere di farlo" Rm.14:4s. Questo, sempre secondo il modo di esprimersi diretto ed efficace dell'apostolo dei gentili. Quindi, purché tutto sia fatto a lode di Dio, e con la massima umiltà e sincerità di cuore, ogni cosa è bene. Però, fino a un certo punto. Difatti: "Nessuno può gettare un fondamento diverso da quello già posto, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno sarà resa palese; la svelerà quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco saggerà quale sia l'opera di ciascuno. Se l'opera costruita resisterà, si riceverà la mercede; ma se l'opera finirà bruciata, si avrà danno; ci si potrà salvare, ma come attraverso il fuoco" 1Co.3:11-15.

 

12.Ecco qui elencate di seguito, una dietro l’altra, anche se non del tutto per ordine d'importanza, le principali caratteristiche di Dio secondo la religione cristiana. A dire il vero talune di queste proprietà sono in comune con altre religioni, altre, invece, sono deducibili con il concorso della sola ragione umana e appartengono perciò all’indagine filosofica. Esaminiamole dunque insieme. Iniziamo dalla specificità, l’unicità, l’individualità di Dio. Cioè Dio visto in quanto persona e perciò dotato di volontà, coscienza, razionalità. Facoltà che gli permettono evidentemente di interagire con le sue creature privilegiate quali, ad esempio, gli angeli e l’uomo, fatto, quest’ultimo, come afferma la Bibbia, proprio ad immagine e somiglianza del suo Creatore. Altra caratteristica è la sua trascendenza che gli concede di essere nettamente contraddistinto dal mondo e da qualunque cosa da lui creata. Difatti Egli è l’essere autosussistente e autosufficiente, che non riceve da altri la sua ragion d’essere, perché, com’è causa di tutte le cose, Egli è pure causa sui, ossia di sé stesso, e non è perciò necessitato da altri, mentre tutte le cose per poter sussistere necessitano di lui (nella filosofia moderna, si afferma che Dio è la ragion sufficiente di tutto ciò che esiste). E’ altresì assolutamente libero, fuori da ogni condizionamento, ed è ovunque pur non essendo né limitato né trattenuto da nulla; puro spirito, onnisciente, onnipotente, santo, infinitamente buono (“Dio è amore”, ci informa l’apostolo ed evangelista Giovanni, in 1Gv.4:16). Inoltre bisogna porre in rilievo la sua paternità, e dopo l’incarnazione avvenuta, come ci dice la fede, nella persona del Figlio, anche la sua umanità. Si è accennato e non a caso al Figlio, perché la religione cristiana, e solo quella, considera Dio Uno e Trino, cioè un solo Dio ma in tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo), uguali e tuttavia distinte (Trinità appunto e non triteismo, secondo l’accusa dei suoi avversari), tanto che per i più, non si può essere definiti cristiani se non si crede, come non vi credono i Testimoni di Geova, pur proclamandosi lo stesso cristiani, alla Trinità. Per ultimo accenniamo a un’altra fondamentale peculiarità di Dio: alla sua riservatezza, imperscrutabilità, enigmaticità, misteriosità; al Deus absconditus per dirla in breve, ossia il Dio nascosto, tipico di tutta la tradizione giudaico-cristiana (“Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore” Is.45:15). Quest’ultima specificità gli accorda di non rivelarsi completamente all’uomo, ma di lasciargli un margine di libertà tale, perché l’uomo lo ricerchi volontariamente e sia portato a seguirlo non per costrizione alcuna, ma in forza del suo solo amore (”Dio di sé lascia intravedere, e non semplicemente vedere, quanto basta perché l’uomo sia spinto a cercarlo” B.Pascal). Non sottomissione forzata come avviene nell’Islam dunque, ma rispetto da parte di Dio della dignità e libertà umana e da parte dell’uomo uno svincolato ed umile riconoscimento della potestà di Dio e desiderio di sottomettersi a lui, poiché solo in Dio, sotto la sua tollerante servitù, costui è paradossalmente reso creatura veramente libera, autentica, genuina, felice, immortale, realizzata, congiunta com’è in un abbraccio d’eterno amore con Colui che l’ha creato. Creatore -e qui, dopo tante parole, consiste di fatto l’essenza del cristianesimo e la sua irriducibilità a ogni altra concezione religiosa-, che ha mandato, mentre eravamo ancora peccatori, il suo unigenito Figlio a incarnarsi e a morire in croce per noi, per poi risorgere e liberarci definitivamente dalla schiavitù e dalla conseguenza del peccato, la morte appunto, e farci così creature nuove in Cristo Gesù, facendoci passare dalla condizione di schiavi a quella di figli. E in dove ogni altra religione sarebbe, non dico superiore, ma anche solamente simile e preferibile e più allettante di questa? Se qualcuno può, sa e vuole mi risponda e risponda soprattutto a se stesso, alla sua coscienza, perché in essa vi trovi pace, quella vera e duratura pace che nel solo Gesù il cristiano sa però sicuramente di poter trovare e dover ottenere, affinché essa si realizzi pienamente e permanentemente nei nostri cuori.

 

13."Fratelli miei, se uno tra voi traligna dalla verità e qualcuno lo riconduce indietro, sappiate che uno che ha fatto ritornare indietro un peccatore dalla via dell'errore, salverà la sua vita dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati" (Gc.5:19-20). Questo celeberrimo, e a ragione, passo tratto dalla chiusa della lettera dell'apostolo e "fratello" del Signore, Giacomo, fa da introduzione al tema che andrò sin da ora sviluppando, ossia qual è il rapporto tra il cristiano e la verità e che cosa costui deve pensare dell'errore e di coloro che lo propagano. Il nesso, diciamolo subito, è strettissimo, se non addirittura inscindibile, tanto che Gesù afferma di se stesso: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv.14:6) e Giovanni lo definisce nel prologo al suo Vangelo: "Pieno di grazia e di verità" (Gv.1:14). Altrove poi Gesù dichiara: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità; chiunque è dalla verità ascolta la mia voce" (Gv.18:37). E ancora: "Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv.8:31-32). Riguardo al Padre suo poi è categorico: "Dio è Spirito", egli dice, "e i veri adoratori devono adorarlo in spirito e verità" (Gv.4:24). E l'apostolo Paolo così ammonisce i suoi confratelli: "Perciò, messa da parte la menzogna, ciascuno dica la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri" (Ef.4:24), sottolineando, in un'altra delle sue lettere, là dove celebra l'amore cristiano o carità, che "la carità", che è il dono massimo a cui deve aspirare il seguace di Cristo, più della stessa fede e della speranza, "non gode dell'ignoranza, ma si compiace della verità" (1Co.13:1s.). D'altronde, nel Vangelo di Giovanni, Gesù definisce il diavolo, il quale è da sempre il nemico giurato di Dio e il suo massimo oppositore, "padre della menzogna e omicida fin dal principio" (Gv.8:44). Traiamo, allora, da quanto fin qui esposto, delle immediate e logiche conseguenze. La prima è che non ci può essere connubio tra verità ed errore, ma solo una consapevole e ferma opposizione. Abbiamo già visto come, nella lettera di Giacomo, colui che partecipa dell'errore viene definito peccatore e destinato alla morte, che altro non è che la sua dannazione eterna. Peccato ed errore quindi vanno di pari passo per la fede cristiana, a braccetto l'uno con l'altro. Perciò non è scusabile il cristiano che prende l'errore sottogamba e non aderisce alla verità tutta intera. Tanto più oggi che viviamo sotto la pestilenza dell'errore, propagato ad arte dai nemici della verità, gli atei in primo luogo, i quali oltre che opporsi alle varie confessioni religiose e principalmente alla più santa e alla più vera tra queste, la cristiana, appunto, ne sovvertono con piena coscienza e mossi da deliberato consenso nel voler compiere il male, i valori da esse con tanto fervore propagati. Così se il cristianesimo afferma la sacralità del matrimonio, l'ateo diffonde la cultura dell'amore libero e della convivenza. Se il cristianesimo afferma la naturalezza del rapporto uomo-donna, l'ateo gli affianca il rapporto amoroso dell'uomo verso un altro uomo. Se il cristianesimo proclama la sacralità della vita fin dal suo concepimento, l'ateo gli contrappone la sua negazione, con le migliaia di embrioni umani soppressi giornalmente nei suoi laboratori della morte. Se il cristianesimo considera effimere le cose di questo mondo, l'ateo le assolutizza fino a venerarle, cedendo al materialismo più volgare e a tutto danno delle cose spirituali, che rigetta risoluto. Se il cristianesimo, infine, afferma la gerarchia dei valori, con Dio al primo posto, quindi le creature angeliche, l'uomo, poi gli animali, cominciando, tra essi, da quelli cosiddetti di affezione, perché viventi da migliaia di anni orami a stretto contatto con l'uomo, e giù giù fino ad arrivare dalle forme più complesse alle forme più elementari, l'ateo, di nuovo, stravolge tutto, negando per prima cosa Dio e facendo di se stesso semmai un altro dio, oppure, ormai privatosi della sua inequivocabile dignità di uomo, si pone allo stesso livello delle bestie, dando più affetto e considerazione ad esse che ai suoi simili, fino a scivolare quasi inavvertitamente ma inevitabilmente, in molti casi, nell'aberrante degenerazione della zoofilia. A quel punto Dio lo ha proprio abbandonato a se stesso e il diavolo ne ha fatto sua preda. Del resto si può dire che la stupidità dell'uomo che rinnega Dio, il vero e unico Dio, il Dio e Padre del nostro Signor Gesù Cristo, e che si priva perciò dei veri valori che tale credenza porta con sé, non ha purtroppo freno o inibizione alcuna: arriva a limiti talvolta impensabili. Ho conosciuto, infatti, di recente, un'animalista praticante, che credeva a una pseudo profetessa che diceva di parlare in nome di Cristo e ne reinterpretava, riscrivendoli, i Vangeli, la quale affermava che l'amore cristiano che l'uomo deve al suo prossimo si doveva estendere, includendo così anche altri esseri oltre gli uomini nell'accezione di prossimo, alla stessa maniera e senza seguire alcun criterio gerarchico di differenziazione, verso tutto il regno animale e non solo, ma anche ai vegetali. Roba da matti! Pensate un po'! Il mio prossimo non è solo quel povero pollo che si trova ora, suo malgrado, nel mio piatto, ma anche quella porzione di pasta al sugo di pomodoro che l'ha preceduto ed è finita con tanto gusto nel mio stomaco. Ecco quindi dove si arriva quando si volta le spalle alla verità con la "V" maiuscola: si cade tra le braccia dell'errore e dell'errore spesso più grossolano ed ingannevole, proprio perché l'uomo e non l'animale, non la pianta, è portato per sua natura a credere, ne ha l'esigenza e quindi se traligna volutamente dalla verità dataci da Dio, perché non gli piace e ne vuole perciò un'altra costruita da se stesso e che si adatti alle sue brame perverse, commette peccato e il peccato, allontanandolo dalla familiarità con Dio, lo conduce alla morte. E perciò sta al cristiano far sì che l'errore non si propaghi, facendosi, ovunque egli si trovi, araldo della verità. Ricordando all'uomo, che più che peccare è grave il non riconoscere la colpa e soprattutto spacciare volutamente l'errore per verità e viceversa, così come, non paghi dei propri vizi, industriarci, con malevolenza verso tutto ciò che è buono, affinché anche gli altri li condividano con noi. In questo consistono la degenerazione e la depravazione della natura umana e il peccato contro lo Spirito Santo, commettendo il quale, ci ricorda la Scrittura, non vi è remissione alcuna, né in questa, né tanto meno nell'altra vita.

 

14.La maggior parte degli uomini che professano una fede nell'al di là, non vuole né cerca esattamente Dio quale Egli è e si propone rivelandosi, bensì vuole un dio, sia come sia, tanto più se si adatta alle sue esigenze particolari, alla sua cecità mentale, alla sua durezza di cuore (v., a mo' d'esempio esplicativo, il celebre episodio della costruzione del Vitello d'oro da parte degli Israeliti, narrato nel c.32 del libro biblico dell'Esodo). Ecco così spiegato il motivo per cui la purezza del messaggio originario di tutte le religioni viene ben presto alterata dai fedeli, coadiuvati in ciò da coloro che li dirigono e dovrebbero far di tutto, invece, per salvaguardare le peculiarità della fede ricevuta, ma evidentemente incapaci di opporsi alla massa fanatica e corrotta, e anche perché alla fine trovano in tutto ciò, ossia nello scadere della fede nella mondanità e nella superstizione, un forte guadagno e prestigio personali, nonché, assecondandoli, un modo per tenere a freno e non lasciarsi scappare i devoti. Ed ecco allora la necessità di rimettere mano, interpretandoli alla luce delle nuove realtà, agli scritti originari. Ecco quindi nascere la teologia, i dogmi, i riti, una nuova casta, il clero, e tutto l'apparato ecclesiastico basato su un forte ordinamento gerarchico, fino all'assolutizzazione di una persona su ogni altra, vista come rappresentante di Dio in terra, per cui gli sono dati i titoli più altisonanti tra i quali primeggiano quelli evocanti direttamente l'Altissimo. Viene di conseguenza omaggiato con atti di devozione vari, specialmente in certi periodi storici, quali prostrazione, genuflessione, bacio del piede, della mano ecc. Lo si porta, come in una processione, per mostrarlo al pubblico, su portantina. Infine, lo si giudica infallibile nei suoi pronunciamenti riguardo le questioni di fede, in modo tale, da ritenerlo autorizzato a cambiare la verità delle scritture con un reinterpretazione di queste, se non con delle vere e proprie aggiunte del tutto umane. Ora ditemi, qualcuno vi riconosce in questa analisi qualche chiesa in particolare? Se sì, sono certo fin da ora che ha fatto centro.

 

 

 

 
 
 

PILLOLE DI CRISTIANESIMO (PARTE SECONDA)

Post n°20 pubblicato il 20 Aprile 2012 da giugibzz1

 

7.In Eb.11:1, l'apostolo Paolo dà della fede la seguente lapidaria definizione: "Certezza delle cose che si sperano e dimostrazione di quelle che non si vedono". E poco più avanti continua: "Senza fede è impossibile piacere a Dio, poiché chiunque gli si accosta, deve credere che Egli è, ed è remuneratore per tutti quelli che lo cercano". A questo punto è appropriato rilevare la natura esistenziale della fede, che sebbene sia un dono che procede da Dio, presuppone qualcuno che lo accolga valorizzandolo come tale. Ossia, essa si radica nella libertà dell'uomo nella quale agiscono contemporaneamente apertura all'altro e motivi di accettabilità che possono essere razionalmente verificati. Nel cristiano, la fede prende soprattutto l'aspetto e il nome di una persona, Gesù Cristo, nel quale occorre credere per essere salvati, ma nello stesso tempo egli, ovverosia il credente, tiene continuamente presente a se stesso la Scrittura e la sua autorità per mostrare il compimento delle promesse avvenuto appunto in Gesù. C'è chi, nel rapporto tra fede e ragione ha messo in luce l'aspetto della follia della fede per chi non abbia avuto gli occhi aperti dalla grazia di Dio, chi ha avvertito invece, la separatezza della ragione umana dalla condizione religiosa come un abisso, invitando i credenti a fare un "salto nella fede", chi, infine, vi ha visto le caratteristiche di una scommessa e nella convenienza il baricentro di chi si trova costretto a dover puntare su due poste in gioco entrambe importanti per il giocatore ma di disuguale valore per il suo destino ultimo, perché una incentrata sulla realtà del finito, quale è quella espressa da questa vita terrena, l'altra, invece, caratterizzata dalla vita ultraterrena e senza fine del mondo celeste: il certo quindi contro l'incerto è vero, ma però controbilanciato dall'infinito contro il finito. E su quest'ultima affermazione mi soffermerò brevemente e a conclusione di tutto lo scritto. La tesi non è una prova dell'esistenza di Dio nel senso tecnico del termine, né tantomeno del cristianesimo ma mostra tuttavia due aspetti fondamentali nella struttura della fede: la sua necessità e la sua convenienza, per i quali requisiti la ragione, per esser veramente tale e uscire dallo stallo dello scetticismo, deve dare il suo assenso obbligato. Infatti non ci è possibile vivere senza la fede, cioè senza credere a qualcosa o in qualcuno. Se non altro perché saremmo costretti a credere almeno a noi stessi, nella nostra supponenza. Quindi la questione si volge inevitabilmente al contenuto delle varie fedi e sistemi filosofici propostici nel corso dei secoli e a privilegiare giudiziosamente quella religione o quella filosofia, tra le altre, che offra il maggior grado di attendibilità, di affidabilità, di purezza ed elevatezza dei valori che porta con sé. Data perciò come altamente plausibile la credenza in un dio e in particolare, come ho già mostrato in precedenti note di questo mio lavoro, nel Dio dei cristiani, e nell'al di là, visto che l'uomo in quanto mortale e il mondo in cui vive non possiedono le caratteristiche specifiche di Dio e della realtà ultraterrena e quindi mancano di affidabilità, non ci resta che considerare anche l'altro aspetto della fede sopra enunciato, quello rappresentato dalla sua convenienza. Difatti, a che cosa di veramente importante dovremo rinunciare credendo a Dio e in particolare al nostro Signore Gesù Cristo? A poco più di niente rispetto al tutto che guadagneremo con l'aderire alla fede, ma principalmente rinunceremo ai nostri vizi, ai nostri errori e alle nostre consuetudini, tutte cose che ci fanno alla lunga stare male e che ci inguaiano. Cose effimere che un giorno, prima o dopo, dato il loro carattere di forte instabilità, perderemo comunque, soprattutto i nostri beni materiali, associati come sono ai falsi valori della vita. Ad ogni modo, alla fine della nostra pur breve esistenza ci sarà la morte a fare piazza pulita e senza appello d'ogni cosa, la quale ci ritoglierà tutto, in un istante, di quanto in vita avevamo faticosamente o fraudolentemente accumulato e allora sapremo veramente chi sia stato il giocatore più assennato: se colui che avrà puntato tutto sull'al di là e avendo perso avrà lasciato praticamente nulla (con niente era venuto in questo mondo e con niente se ne ritorna), ma che avendo vinto si ritroverà ad aver guadagnato col minimo rischiato la vita eterna e beata, oppure chi aveva puntato tutto sull'al di qua, e morendo non si ritroverà più nulla in mano, neanche la sua anima. Anzi, purtroppo per lui, quella se la ritroverà, ma morta alla grazia di Dio e quindi eternamente dannata. Mi spiace, non potervi illudere al riguardo, ma è così; anzi è giusto che sia così. Può apparire crudele ma Dio, o sprovveduto e cocciuto amico, ti chiede talmente poco per salvarti (che tu creda solo nel suo unigenito Figlio) e di contro ti ha dato talmente tanto del suo amore, con l'immolazione dell'unigenito Figlio sulla croce, che non potrai accusarlo proprio di nulla quando ti presenterai alla sua presenza per essere giudicato, ma dovrai soltanto arrossire per la vergogna di una vita malamente vissuta e scioccamente sprecata. Sempre però che ti sia restato un ancorché pur minimo pudore per farlo. Ossia una briciola di dignità umana.

 

8.Se, nonostante la tua felicità familiare, la tua realizzazione nel mondo del lavoro, le tue molte e fidate amicizie, la tua ottima salute fisica, la pace della tua coscienza, ecc., ecc., riesci ancora a rivolgerti a Gesù dicendogli: "A buona parte o anche a tutto di questo sono disposto a rinunciare per te o mio Signore, che non rinunciasti a spogliarti della tua divinità, prendendo forma umana e vivendo come un reietto per amor mio, fino a dare tutto te stesso con la tua propria vita portata fino all'estremo con la morte di croce", ti dico allora che sei sulla giusta strada per essere un vero discepolo di Gesù. Ma, se oltre a ciò, molto più umanamente e prudentemente aggiungi: "Vedi Signore, io sono debole e fragile, può darsi che nonostante quel che ho promesso non trovi poi la forza di distaccarmi e di rinunciare non solo a tutte, non solo in parte, ma neppure ad una di quelle cose sopra menzionate, tuttavia ti do l'autorizzazione dove non riuscissi io, di farlo tu per me, di supplire in qualche modo tu alla mia negligenza, e soprattutto, una volta che tu abbia realizzato di compiere quanto sono stato disposto a rinunciare, che possa dirti ugualmente grazie, e mantenere inalterato tutto il mio amore per te, come quando ero nei giorni della gioia, e se possibile che ne abbia ancora di più, ora che mi trovo privo delle cose a cui tenevo maggiormente"; ecco, se riesci ad arrivare fin qui senza tentennamenti e senza cedimenti, allora sei davvero un discepolo di Gesù. E se non hai mai provato gli affetti famigliari, se sei sempre stato povero ed emarginato, senza amici, deriso, senza fissa e propria dimora e nonostante ciò non hai mai maledetto il nome di Gesù, anzi, lo hai sempre considerato come tuo migliore e fidato amico, ringraziandolo per quel poco o nulla che per gli altri tu hai sin qui ottenuto, mentre tu ti consideri ancora fortunato perché guardi a chi sta ancora peggio di te e perché possiedi una ricchezza spirituale che altri non hanno e perché puoi mettere almeno parte, anche se piccola, della tua vita a sua disposizione, fino a che ti coglie all'improvviso un'imprevista e terribile malattia e la malattia avanza, ogni giorno che passa, togliendoti sempre più le forze e segregandoti, e togliendoti anche quel poco che ti era rimasto, mentre tu preghi Gesù di non privarti completamente della tua indipendenza fisica per poter continuare a fare almeno qualcosa per lui, e non ti rendi conto invece di quanto lui stia facendo di grande per te e ciò nonostante sei trascinato ogni giorno di più sul tuo letto di dolore, condannato all'impotenza più totale, eppure tu non demordi, non ti stacchi dal tuo amore per lui, perché non vuoi perderlo assolutamente, ma non sai che è lui a non volerti staccare da sé, e tuttavia sei ancora capace di dirgli: "Signore non sono adatto a fare più niente per te, che ad offrirti completamente me stesso, la mia sofferenza, questa mia croce che mi ha inchiodato immobile a questa vita", beh, allora ti dico: Cristo si è davvero reincarnato una seconda volta in te, assimilandoti alla sua passione, con cui ci ha redenti. E si reincarnerà altrettante innumerevoli volte, ogni qualvolta ci sarà qualcuno che, all'estremo del suo dolore, sarà ancora in grado di dire, come il saggio Giobbe al colmo della sua sofferenza: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore". "Sì, o Padre, come si recita quotidianamente nella preghiera che tuo Figlio Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, così ripeto fiduciosamente anch'io: La tua volontà si compia, non la mia. In cielo come in terra". Amen.

 

9."Io ho piantato, Apollo ha irrigato ma è Dio che ha fatto crescere". Così si esprime l'apostolo Paolo nella prima delle sue due lettere ai Corinzi, con riferimento alla sua opera di evangelizzazione. E subito dopo aggiunge: "Ora, né chi pianta, né chi irriga sono alcuna cosa ma Dio che fa crescere". E in un'altra lettera, quella ai Filippesi, sembra voler ribadire il concetto: "E' Dio, infatti, che suscita tra voi il volere e l'agire in vista dei suoi amabili disegni". Tutto questo ci porta ad alcune immediate considerazioni. La prima è che senza l'aiuto concreto ed incisivo di Dio i nostri sforzi sono destinati all'insuccesso. Non basta piantare, bisogna anche radicare e radicare bene, e per farlo ci vuole un terreno adatto, di modo che la pianta o il seme gettato possano attingere dal terreno sottostante tutta la linfa necessaria per crescere, e tale terreno e tale linfa sono la grazia di Dio. Così come non è sufficiente irrigare ma ci vogliono la luce e il calore del sole perché la pianta possa svilupparsi e crescere sana, e tale luce e tale calore sono la grazia di Dio. La seconda considerazione è che noi tutti siamo sottoposti alla volontà di Dio, il quale ha un progetto su ciascuno di noi. A noi non resta che assecondare o rifiutare la sua volontà, ma non possiamo evitarla. Allora non saremmo liberi di fronte a Dio? Certo che lo siamo. Non siamo però liberi di usurpare il suo potere, questo evidentemente, no. Anche perché sarebbe sciocco da parte nostra. Lui è il Creatore, noi siamo solamente la creatura. Se avessimo tutto il suo potere, ci servirebbe soltanto per ubriacarci di esaltazione, annebbiarci l'intelletto e per ritorcerlo sconsideratamente e prima di tutto proprio contro noi stessi, come un bambino alle prese con un oggetto non appropriato alla sua età e che diventa, nelle sue mani, molto pericoloso. Solo Dio sa cos'è meglio per noi, e vuole perciò unicamente che gli ubbidiamo, che gli prestiamo assoluta fiducia, che lo riconosciamo quale Egli è: in definitiva che ci sentiamo umili. Quindi la nostra libertà può essere esercitata entro il solo ristretto ambito della natura umana, capace di accettare o meno i regolamenti di Dio. E sono alla riflessione conclusiva. Non abbattiamoci più di tanto allora, se, nonostante i nostri sforzi fatti per portare l'annuncio di Cristo, vediamo la scarsezza o la sterilità dei risultati. Pensiamo prima di tutto a fare bene il nostro lavoro di evangelizzatori e a stare in pace con la nostra coscienza. Fatto ciò non dobbiamo rispondere necessariamente anche per gli altri; ognuno risponderà per se stesso di fronte a Dio, e Dio non ama che ci si prenda gioco di lui. E anche perché nessuno possa insuperbirsi degli eventuali successi ottenuti, ma riponga esclusivamente la sua fiducia nel Signore, affinché, come ci ricorda ancora l'apostolo Paolo, "Chi si gloria si glori nel Signore".

 

10.Essere discepoli di Cristo significa, innanzitutto, mettere Gesù al primo posto, sacrificare per lui, se richiestoci, quanto di più prezioso e caro abbiamo, fosse anche la nostra famiglia (genitori, moglie, figli, piccoli o grandi che siano), fino al sacrificio estremo della propria vita, così come lui, per primo, ha fatto per noi. Ma evidentemente tutto questo non basta. Oltre la disponibilità al sacrificio di noi stessi e delle nostre cose più preziose, egli ci vuole testimoni fattivi della sua persona, ovvero portatori del suo messaggio, divulgatori della sua parola. Caratteristica fondamentale del cristiano è allora l'essere un testimone di Cristo: "Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a tutta la creazione", questo è stato il primo e immediato mandato che Gesù ha dato ai suoi discepoli non appena risorto. Orbene, se un cristiano non predica, ovviamente la parola di Gesù non può essere ascoltata e se non viene ascoltata essa non si diffonde, e se non si diffonde non può cadere nel cuore degli uomini e, dove non cade, neppure può portare frutto: laddove il venti, laddove il sessanta, laddove il cento. Nel libro della Rivelazione o Apocalisse, Gesù è in procinto di vomitare metaforicamente dalla sua bocca i cristiani della chiesa di Laodicea, definiti né caldi né freddi, cioè tiepidi, mostrando piuttosto di preferire quelli sordi alla sua parola (i freddi), che coloro che, ricevuta la quale, la mettono poi da parte e si lasciano vegetare. Oggigiorno è così purtroppo per una gran massa di cristiani, dove sono pochi gli attivisti, e questo vale soprattutto per i fedeli delle grandi e secolari aggregazioni cristiane, mentre le piccole e più recenti chiese, considerate eretiche dalle prime, e bisognose sicuramente di trovare adepti per crescere, sono molto attive nella divulgazione della parola di Gesù. Magari spargono con essa anche una buona parte di errori dottrinali, ma intanto il verbo si diffonde, l'orecchio altrui viene stimolato e la persona di buona volontà che ha recepito il messaggio può rielaborarlo nella sua mente e nel suo cuore e giudicare di conseguenza, con l'approfondirlo in seguito e confrontarlo con la fonte della Scrittura ed altre e diverse interpretazioni provenienti da chiese concorrenti. Ma se io tengo la parola ricevuta per me e non la ritrasmetto, se la privatizzo in qualche modo, chi mi conosce come cristiano può pensare che essa abbia poco valore per la mia esistenza e per quella degli altri. Certo, vale pure la mia testimonianza di vita ben vissuta, ma spesso è una vita privata e a prima vista non si differenzia gran che dalla vita onesta di tanti non cristiani. Errore quindi del cristiano è recepire il messaggio acriticamente, cioè cadere vittima del plagio altrui, così come di chi riceve la Parola e non si affretta a seminarla, ma lascia marcire il seme tenendola per sé. In entrambi i casi, anche se opposti, vi è la stessa insufficienza d'amore per la verità e di conseguenza per colui che, oltre a definirsi "la Verità", ha anche detto: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità: chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". E naturalmente, aggiungo io, la propaga.

(CONTINUA NELLA PARTE TERZA)

 

 
 
 

PILLOLE DI CRISTIANESIMO (PARTE PRIMA)

Post n°19 pubblicato il 20 Aprile 2012 da giugibzz1

"Tutto posso in Colui che mi dà forza" Fil.4:13.

1.E' proprio vero, non vi è alcun limite per colui che è seriamente intenzionato a voler giustificare se stesso, tanto più se i suoi costumi sono riprovevoli, o se si trova dalla parte del torto. Ogni malizia, ogni calunnia, ciascun colpo basso è da costui ammesso, purché servano allo scopo prefissato: gettare il massimo discredito sull'avversario, soprattutto poi se il contendente è Dio. Così i nemici del cristianesimo, non paghi delle accuse che rivolgono contro Gesù, come quella di essere stato un impostore, hanno pensato bene di prendersela anche con il suo Padre celeste, cioè Dio, accusandolo di essere un Dio particolarmente crudele, per aver sacrificato suo Figlio e averlo abbandonato a una morte infamante quale la morte di croce. Naturalmente non conoscono o non vogliono dar credito alle parole degli apostoli Paolo e Giovanni, i quali, proprio a partire da tale fatto cruento, testimoniano l'estrema bontà di Dio per l'umanità intera. Del resto la sofferenza di Gesù, ancorché tremenda e immeritata, l'ha poi condotto, con la resurrezione, alla glorificazione eterna. Vi è da dire inoltre che il Figlio, da sempre in perfetta sintonia con la volontà del Padre, si è incarnato volontariamente nel seno della vergine Maria, ben consapevole dell'efficacia salvifica del suo gesto a favore degli uomini, che ha trasformato, nel lavacro del suo sangue, in nuovi figli per il Padre e in suoi fratelli aggiunti. Ma è inutile proseguire oltre con simili argomentazioni. Infatti, com'è stato molte volte rilevato, il cristianesimo più che una dottrina o un sistema di conoscenze, è una persona, il Cristo. O lo accettiamo o lo rifiutiamo. Il perché della nostra adesione a lui è, in realtà, essenzialmente un atto d'amore verso la sua persona che ci ha amato per primo; il perché della nostra fede in lui nasce essenzialmente dalla sua attendibilità e dall'attendibilità dei suoi testimoni, i quali, tutti, hanno operato nella storia e hanno testimoniato con la vita l'estrema sublimità del loro messaggio di salvezza, oltre che con la santità dei loro costumi. Semmai il mistero resta. È come mai Dio abbia voluto proprio il sacrificio del suo unigenito Figlio per riappacificarsi con l'umanità e se non erano possibili altre vie meno cruente. Certamente che sì, se è pur vero che ogni cosa è possibile a Dio. E allora? Sembra proprio che Dio, con l'incarnazione del Figlio, sebbene obbligato a sottostare, con la sua passione e morte, alla purificazione di una carne corrosa dal peccato originale d'Adamo (ricordiamoci che Dio è Santo e fonte di ogni santità), abbia voluto imprimere su di sé, con marchio indelebile, la natura umana per essere sicuro di non doverla lasciare mai più. L'ha cioè associata, una volta per tutte, alla natura divina del Figlio prediletto e immacolato. E se non è Amore questo, ditemelo voi cos'è?

 

2.Soltanto nel cristianesimo esiste la credenza in un Dio che si fa uomo, che viene nella storia, che nasce, patisce e muore per poi risorgere come Signore e Giudice Supremo di tutta la creazione: un vero scandalo per i credenti delle altre due grandi fedi monoteiste, una vera stoltezza per gli atei. Diciamo che, negando la divinità di Gesù, la religione ebraica si ferma troppo presto e rimane perciò una religione incompiuta. Da parte sua la musulmana, venuta dopo alla cristiana, non la supera, ma retrocede, ritornando al tempo prima di Cristo, mutuando, così, di fatto, una buona parte della sua legislazione e di alcune sue regole comportamentali da quelle dell'antico ebraismo, e così muore prima ancora di vedere la luce. Il cristianesimo si pone, in tal caso, figurativamente, tra le altre due, come un fuoco vivo per illuminare le menti e scaldare i cuori; un fuoco che gli ebrei non hanno voluto accendere, e che i musulmani hanno voluto spengere. Ma perché credere in Gesù e nei divulgatori della sua parola? Perché è assurdo, come ha detto, con espressione enfatica, qualcuno? Per comprendere, secondo il pensiero di un altro? Nessuna delle due, perché la riposta è molto più semplice e a portata di mano, ed è questa: perché è credibile. Egli, infatti, giacché ebreo (secondo la sua natura umana) e rivolgentesi ad altrettanti ebrei, avrebbe dovuto sapere già in partenza dell'improponibilità del suo messaggio, dell'insuccesso della sua missione e di quel che gli sarebbe di estremo capitato, se fosse stato un semplice impostore e, quindi, non avrebbe mai e poi mai intrapreso una simile irragionevole, oltre che impossibile, impresa. Ora, se io non dovessi credere in lui, dovrei ritenere che Gesù sia stato, oltre che un millantatore, altresì un autolesionista, un sadico, un masochista, un paranoico, uno schizofrenico; in definitiva un folle o, nella migliore delle ipotesi, un illuso. Chi se la sente pertanto di formulare anche una sola di queste spregevoli accuse contro di lui e riduttive, nonché offensive, della sua persona e del suo messaggio, si faccia pure avanti con la sua Bibbia in mano e la scagli, in un gesto dal valore chiaramente allusivo, il più lontano possibile via da sé. Una volta fattolo, però, sempre che abbia avuto la spudoratezza o la leggerezza di farlo, non nasconda la vergogna stampata sul suo volto, ma la mostri bene in pubblico, perché chi osserva possa giustamente dire: "Se questo è l'uomo, o Dio, allora che cosa sei morto a fare?".

 

3.Le critiche che oggigiorno si muovono al cristianesimo da parte dei suoi avversari, si possono ricondurre essenzialmente su tre fronti: uno riguardante il contenuto della sua dottrina, l'altro riguardante la persona del suo fondatore, il terzo, infine, riguarda l'istituzione che ne ha ereditato il messaggio, cioè la Chiesa e in particolare la Chiesa Cattolica Romana. Per quel che si riferisce al contenuto, le principali obiezioni sono sull'incoerenza del suo messaggio, viste le diverse contraddizioni che si riscontrano tra una narrazione e l'altra nei Vangeli: più che altro duplicati di racconti sviluppati diversamente l'uno dall'altro (vedi, ad es. gli episodi dell'infanzia di Gesù, riportati in Matteo e in Luca); inoltre, la discordanza di alcuni luoghi e di tempi in cui certi avvenimenti si sarebbero svolti, ecc., ecc. Per la persona del fondatore del cristianesimo, invece le critiche si concentrano sul mancato avverarsi di certe profezie, una riguardante la sua venuta quale Messia, dato che gli ebrei non l'hanno riconosciuto, l'altra riguardante la famosa profezia sulla fine del mondo e dell'annunciato suo glorioso ritorno, visto che son passati più di duemila anni di storia ed è rimasto ancora tutto come prima. Sulla Chiesa, infine, piovono le critiche più feroci, quali l'immoralità del clero, il suo desiderio di potere e di denaro, l'infedeltà al messaggio originario quale espresso dalla Sacra Scrittura, i numerosi dogmi, senza contare poi la divinizzazione della Madre di Gesù con i suoi riti, le sue preghiere e le presunte apparizioni, frequenti soprattutto a iniziare dal XIX secolo. Passiamo quindi a esaminare i punti uno per uno, cercando di essere il più succinto possibile, poiché questo scritto vuole avere più che altro il valore di una nota. Per il punto primo possiamo rispondere che è vero quanto detto sopra, ma questo conferma che i Vangeli non sono una dottrina scritta a tavolino o riveduta sullo stesso, bensì l'eredità di una narrazione viva posta sulla bocca di testimoni in buona parte oculari. Se la Chiesa avesse voluto, avrebbe potuto correggere tali divergenze, tagliando laddove le sembrava necessario per ricucire dove meglio avrebbe creduto, ma non l'ha fatto, proprio per il rispetto dovuto ai diffusori di tale messaggio e per l'autorità da essi goduta all'interno della Chiesa. Infine, cosa di particolare importanza, si deve far notare che tali contraddizioni non inficiano per niente l'essenzialità del messaggio cristiano che verte fondamentalmente sul proclama della nascita, morte e resurrezione di Gesù per la salvezza dell'umanità intera; anzi è proprio questo l'eccezionale, che trovandosi tali autori in disaccordo su cose di secondaria importanza viene tuttavia riferito l'identico, fondamentale messaggio. E' come se più persone andassero a Roma e tornassero con un resoconto di diversi particolari legati alle soggettive esperienze, ma nell'identica, oggettiva esposizione riguardo alla struttura della città, quali musei, parchi, chiese ecc. Per il secondo punto, quello relativo la persona di Gesù e le profezie avveratesi o no e in particolare su quella della sua presunta venuta nella storia in qualità di Figlio di Dio, c'è, a supporto, la testimonianza ininterrotta, nel corso dei secoli, di milioni e milioni di cristiani di ogni nazione, stato sociale, cultura ecc., che lo pregano e lo adorano come il Cristo profetizzato dall'antico Israele. Per la lunga attesa, invece, della sua venuta come Signore glorioso e Giudice dell'umanità il mistero, purtroppo, al momento rimane, se è pur vero che i primi cristiani aspettavano la venuta del Cristo entro il secolo da loro vissuto. Gesù stesso, pur chiarendo che non conosceva né il giorno, né l'ora di quell'avvenimento, disse però anche apertamente ai discepoli che non avrebbero finito di girare le città d'Israele prima che egli fosse venuto. Certo le interpretazioni dell'oscuro testo possono essere diverse, ma a noi non resta che rispettare la volontà di Dio, i cui piani (che peraltro possono parzialmente e provvisoriamente mutare) alla fine sono insondabili da parte nostra, così come il Figlio rispettò la volontà del Padre, dichiarando di non conoscere le due date (cioè il giorno e l'ora) suddette. Vi è da dire ancora, riguardo alla lunga attesa, che mille anni per Dio sono come un giorno e che la sua pazienza mette infine in risalto la sua bontà, dando a un'enorme massa di persone in più il dono della vita eterna. E ora, per ultimo, veniamo alle dolenti note concernenti la Chiesa Cattolica, che si vuole fondata sulla base degli stessi apostoli, e in particolare di Pietro, che ne è, appunto, il massimo rappresentante. I suoi nemici, che sono molti e incattiviti, fanno rilevare che se Gesù fosse stato veramente Figlio di Dio non avrebbe mai permesso la nascita di una tale istituzione che lo infanga continuamente, oltre a rilevare l'esistenza di numerose confessioni cristiane, ognuna della quale cerca, chi più e chi meno, di screditare l'altra. So che le critiche alla Chiesa fanno molto male ai suoi appartenenti, ma vi è da dire che alcune di queste nascono proprio all'interno della Chiesa, e da quei membri in odore di santità o divenuti Santi in seguito. Comunque certe critiche, anche se vere, sono nondimeno esagerate e non tengono conto delle molte cose buone che la Chiesa ha espresso in tutti questi secoli. Inoltre è grazie alla Chiesa se possiamo mettere in risalto la continuità del messaggio odierno con la predicazione dei primi apostoli; continuità che non si è mai interrotta con l'ordinazione sacra dei rappresentanti del clero. In particolare, quello che sconcerta i nemici della Chiesa, oltre che la nascita di dogmi apparentemente contrari a quanto espresso invece dalle Sacre Scritture, è il grande rilievo dato alla figura della Madre di Gesù, al suo culto e alle sue presunte apparizioni: tutta opera del demonio, per costoro. Ammesso e non concesso che ciò sia vero, questo non ritorna però a svantaggio della figura di Gesù e della verità del suo messaggio, perché, se è effettivo ciò che disse un famoso romanziere dell'Ottocento, che l'esistenza del diavolo conferma l'esistenza di Dio, così farebbe la Chiesa qualora fosse opera del demonio. Infatti, è proprio nella Chiesa che si parla di Gesù più che in ogni altra istituzione. E' proprio la Madonna con i suoi messaggi che rimanda all'amore e alla devozione per il suo divin Figlio. E per non parlare poi dei suoi numerosi miracoli, di cui ciascuno può personalmente rendersi conto. Insomma, come nei Vangeli erano proprio i demoni che riconoscevano per primi la divinità di Gesù, gli ubbidivano e s'inginocchiavano davanti a lui, così sarebbe per la Chiesa. Quindi, se si vuole colpire la Chiesa indiscriminatamente con l'intento di screditare del tutto Gesù e di negarne perciò anche la sua divinità, l'operazione promossa dai nemici di questa e di quello si può dire che sia destinata a fallire miseramente.

 

4.Se è certo, com'è certo, quel che afferma Gesù, che nessuno di noi può, per quanto si dia da fare, aggiungere un istante in più alla durata della sua vita, né può far ritornare nero un capello diventato bianco, allora non resta che dedurre che, tutti coloro, i quali pretendono di determinare da se stessi l'orientamento delle proprie esistenze, fissando così il loro destino secondo la decisione della propria volontà, non sono che, o in buona o in mala fede, degli illusi. La nostra vita è, al contrario, nelle mani di chi ce l'ha data e che quindi può anche riprendercela, qualora lo voglia, da un momento all'altro, senza obbligo di alcun preavviso da parte sua, come del resto possiamo constatare quasi quotidianamente in quelle che sono chiamate morti improvvise e perciò apparentemente inspiegabili, perché fuori dai parametri di ogni conoscenza e logica umana (vedi, ad esempio, la giovane età del soggetto colpito e la buona salute goduta fino a quel cruciale momento, o la stranezza e l'imprevedibilità dell'ipotetico incidente mortale occorsogli, che magari ha risparmiato proprio chi gli stava appresso, ecc.). Questo non vuol dire che noi non siamo liberi di esercitare la nostra volontà, ma soltanto che essa è, alla fine, sottoposta a una volontà superiore, che è quella di Dio, che vuole che la esercitiamo per il meglio, e al quale dovremo un giorno rispondere dell'andamento della nostra esistenza. Questo vuole dire anche che la nostra vita è unica, singolare, personale, vera unione di anima e di corpo e non è perciò soggetta a trasmigrazione in altri corpi, né pure ad alcun determinismo, casualismo e fatalismo, ma è indirizzata misteriosamente e ineluttabilmente a un fine, che è Dio. Condizione finale che, però, siamo anche liberi di rifiutare. E questo non lo dicono certamente tutte quelle religioni che sono frutto più che altro di riflessioni e di sforzi orientati alla propria salvezza esclusivamente umani, quali in particolare i grandi sistemi filosofici-religiosi facenti parte dei libri sacri degli induisti, buddisti e giainisti, ma lo afferma la Rivelazione cristiana. Rivelazione che Gesù ha consegnato, una volta per sempre, ai discepoli e che questi hanno trasmesso oralmente e per iscritto alla Chiesa perché la diffondesse e ne mantenesse nel tempo l'integrità del messaggio. Resta semmai da chiederci: E' credibile il messaggio di salvezza che la Chiesa ha ricevuto? E inoltre: E' la Chiesa di oggi ancora testimone affidabile di quel messaggio? E di nuovo: Ma chi è la Chiesa? La stessa ieri, oggi e sempre? In definitiva si tratta di sapere se possiamo o no ripetere in piena convinzione con l'apostolo Paolo la sua salda affermazione di fede riguardo a Gesù: "Io so a chi ho creduto".

 

5.Ateo è colui che, a torto o a ragione, nega l'esistenza di Dio e d'ogni divinità in generale, affermando la possibilità di elaborare dimostrazioni certe e ben fondate dell'inesistenza del divino. La Bibbia, in due suoi celebri Salmi, peraltro assai simili tra loro, lo definisce "stolto". Sebbene l'ateismo fosse conosciuto e teorizzato sin dall'antichità greco-romana, esso fu assente per tutto il Medioevo, ricomparve nel Rinascimento e si diffuse poi ampiamente nell'Età dei Lumi, proseguendo, da allora in poi, la sua corsa, inarrestabile e dilagante, fino ai giorni nostri. In pratica l'ateismo nasce dall'orgoglio e dalla presunzione dell'uomo di volere, potere, e dover fare a tutti i costi a meno di Dio. Esso è caratterizzato dalla contrapposizione tra Dio e uomo: la vera emancipazione dell'uomo postula la negazione di Dio. Ecco al riguardo alcune delle sue affermazioni più altisonanti: "L'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono"; "L'uomo è dio per l'uomo"; "La religione è l'oppio dei popoli"; "Gli dei sono tutti morti, ora vogliamo che viva il superuomo"; "L'uomo deve essere libero, dunque Dio non esiste". Come Senofane sottolineava il carattere antropomorfico delle varie divinità del suo tempo e Prodico l'aspetto utilitaristico (gli dei erano personificazioni di quanto è necessario alla vita dell'uomo, ad es.: l'acqua e il fuoco), Democrito, invece, individuò l'origine della religione nella paura degli eventi naturali più dirompenti. In età moderna, Feuerbach dichiarò che Dio non è che la proiezione di ciò che l'uomo, che si sperimenta limitato, vorrebbe essere e non è: ossia proietta su Dio il proprio desiderio d'onnipotenza. Tuttavia l'argomento decisivo contro l'esistenza di Dio scaturisce dalla constatazione della realtà del male (se Dio c'è da dove il male?) e della morte (a proposito di quest'ultima Epicuro ne esorcizzava la paura affermando che finché ci siamo noi non c'è la morte, quando ci sarà essa, non ci saremo noi). Sul male quale prova contro l'esistenza di Dio così si esprimeva Democrito, il quale peraltro non negava l'esistenza degli dei, ma li confinava in particolari spazi vuoti, tra i vari mondi, a farsene evidentemente i fatti propri. Ecco dunque la sua celebre dimostrazione: O dio vuole togliere il male e non può, o può e non vuole, o né vuole né può. Nel primo caso è impotente, nel secondo è malvagio, nel terzo, l'uno e l'altro insieme. In tutti e tre i casi quindi del tutto inutile per il beneficio dell'umanità e appunto per questo bandito dal mondo (ho citato liberamente). Diciamo allora che, se pretendiamo di risolvere il problema del male e della morte con l'ausilio della sola ragione arriviamo diritti diritti al paradosso della negazione di Dio e senza possibilità alcuna per l'uomo di liberarsi da questa sua misera e indegna condizione di condannato a morte, in attesa solo che un destino cieco e ineluttabile getti su di lui, e su i suoi compagni di questa disperata avventura esistenziale, ogni giorno, ogni ora, ogni attimo la sorte, come a un lancio di dadi; sorte che ne determinerà anche la sua o altrui uscita giornaliera dal mondo e la apparente liberazione dalla sofferenza del sorteggiato di turno. Con la morte, egli si dice, cercando a tutti i costi di confortarsi, tutto finisce. Ma è proprio vero? E se così non fosse? Morire allora per essere inghiottiti dove? In un altro meccanismo perverso? Ma, grazie a Dio, non esiste solo la filosofia, bensì anche le religioni e in particolare la Rivelazione cristiana, che getta sull'uomo disperato la speranza, sull'uomo cieco, la fede, e sull'uomo arroccato in se stesso e nel proprio egoismo la carità, l'amore fraterno. Vedremo, in una nota successiva, come il cristianesimo dia una risposta, e con essa anche la sola definitiva e confacente risoluzione, all'atavico, scandaloso e provvisorio problema della realtà del male e conseguentemente anche a quello della morte.

 

6."Perché mi dici buono?", rispose un giorno Gesù a un tizio che interpellandolo su una questione lo aveva definito "Maestro buono", e così soggiunse: "Uno solo è buono, Dio". Questa risposta di Gesù può lasciarci di primo acchito perplessi, considerando anche chi era colui da cui siffatta risposta proveniva e, nondimeno, sul piano filosofico e teologico, afferma un'importante verità: la sola bontà di Dio, unico ente a essere buono in se stesso in quanto pienezza d'essere e sorgente di ogni altra realtà, che deriva per partecipazione di quello i suoi beni, tanto maggiori quanto più a Dio gli altri enti subordinati si avvicinano e viceversa. Mi esimerò comunque dallo sviluppare il tema e dal darne una possibile soluzione chiamando a sostegno la filosofia. Ricorderò invece all'uomo che vuole sviscerare il problema del male con la sola ragione, che egli è limitato e la sua vita è poco più di un soffio, se paragonata alla realtà dell'infinito e quindi, senza l'ausilio di una verità che provenga dall'alto, cioè da Dio stesso, non farà altro che girare intorno alla questione senza mai venirne a capo. Viceversa Dio, che è per definizione l'ente perfettissimo, colui sopra il quale non può essere pensato nulla di maggiore (sant'Anselmo d'Aosta), vive in un eterno presente, cosicché tutti gli avvenimenti gli sono eternamente noti. Non guarda e non giudica da una prospettiva relativa e limitata come quella umana per cui, come ben dice sant'Agostino, filosofo e teologo cristiano del IV secolo, quello che sul momento a noi può parere male, potrebbe risultare bene se considerato sub specie aeternitatis. Ossia, detto in un linguaggio un po' meno accademico, dalla prospettiva eterna di Dio, ogni cosa è bene. Ho accennato sopra alla necessità di chiamare in aiuto la fede per far luce una volta per tutte sull'oscurità del problema. E c'è una sola fede, per quanto io sappia, che prende di petto il problema, dando ad esso la risposta più credibile e confacente per la nostra esistenza, e questa fede si esprime in un nome, una storia, una battaglia e una vittoria finale: il tutto avvenuto nella persona di Gesù di Nazareth. In Gesù difatti il Figlio di Dio prende la natura umana, calandosi nella storia, immolandosi quale vittima innocente per l'umanità intera, muore e poi risorge liberandoci per sempre, con la nostra adesione a lui, dal male (sofferenza e morte). Certo, tutto ciò è incredibile, sebbene non impossibile alla luce della fede, ma bisogna pur credere in qualcosa e in qualcuno, o no? Altrimenti finiremmo col credere alle nostre o altrui baggianate, proprio perché è impossibile credere a nulla. E allora, se dobbiamo necessariamente credere, crediamo almeno in ciò che di più alto, nobile, santo e anche verosimile ci viene offerto: e questo è esattamente il cristianesimo. Mi si potrà obiettare: nonostante tutto, il male non è però uscito definitivamente dalla realtà. Rimane l'Inferno coi suoi abitanti: i diavoli ed i dannati umani. Ciò è vero. Del resto, neanche al principio della creazione, sebbene la Bibbia ci informi che Dio creò buona ogni cosa, il male non era del tutto assente dalla realtà creata, infatti sempre dalla narrazione biblica, si può far rilevare come accanto alle cose buone esistesse almeno una parvenza, se non una parzialità di male. Basti pensare all'albero del bene e del male, posto nel Paradiso insieme alle altre piante portatrici di deliziosi frutti; basti pensare all'astuto serpente libero di circolarvi a suo piacere e che ingannò Eva, la quale portò poi anche Adamo all'atto di disubbidienza a Dio, morsicando per prima il frutto proibito. Infine, lo stesso Paradiso non era in fondo che un'isola, quantunque felice, perché al di fuori di esso vi era già predisposta una realtà ostile e precaria, la quale accoglierà definitivamente la prima coppia umana scacciata dall'Eden. Vi è tuttavia da aggiungere che siccome crediamo che l'uomo è dotato di libero arbitrio ed è chiamato ad esercitarlo tra il bene e il male, in qualche modo il male deve pure esistere, altrimenti non vediamo come l'uomo possa determinare in concreto la sua libera scelta. E allora diciamo intanto e a nostro parziale conforto, che il male e la morte sono per il cristiano solo provvisori (non così per le religioni orientali, con i loro cicli delle rinascite e l'eterno ritorno di tutto ciò che è già stato); che la sofferenza ci purifica rendendoci sicuramente migliori e sviluppando quella catena di solidarietà umana che ci fraternizza gli uni con gli altri. Inoltre sempre la sofferenza ci fa sentire deboli, bisognosi d'aiuto, ci predispone all'umiltà e ad aprire la mente e il cuore a una realtà più elevata, quella celeste, a cui aspirare e protendere caparbiamente. Realtà che ci ha promesso proprio Gesù, certificandola con la sua resurrezione (e qui sta appunto l'enorme divario, al di là di alcune indubbie somiglianze, tra il cristianesimo e le due altre grandi fedi monoteiste). Con essa egli ha vinto il male e la morte una volta per sempre. Non ci saranno, in cielo, più prove da superare, ma solo lacrime da asciugare e cuori da rinfrancare. E soprattutto rimarrà in noi la consapevolezza che ciò che di nuovo siamo lo abbiamo fermamente voluto e non lo perderemo più. La prova iniziale, con la tentazione del serpente e il destino finale dei dannati nell'Inferno, faranno parte esclusiva del misterioso e insondabile disegno di Dio sull'opera delle sue mani, in cui tutto però concorre al bene finale e a cui l'uomo deve solo piegarsi e uniformarsi, contenendo il suo orgoglio di creatura fragile e terrena. Una creatura fatta di polvere e destinata alla terra come tutte le altre creature, se il Creatore non l'avesse voluta privilegiare, nonostante le molte sue malvagità e ribellioni, associandola per sempre alla divina natura del Figlio. Figlio che ci ha tanto amati e che ha santificato la nostra natura assumendola su di sé e glorificandola con la sua resurrezione. In tal modo ci ha anche aperto la strada per il Regno dei cieli e ci ha introdotti alla presenza del Padre insieme agli angeli e agli altri santi, da dove non udremo più lamenti, imprecazioni, né vi saranno sofferenze e privazione alcuna, ma abiteremo definitivamente nella casa perfetta del Padre celeste, dalla lampada sempre splendente, dalle molte dimore e dai lauti e festosi banchetti.

(CONTINUA NELLA PARTE SECONDA)

 

 
 
 

LA VIA

Post n°18 pubblicato il 31 Dicembre 2011 da giugibzz1

                                               

“QUANTO E’ STRETTA LA PORTA E ANGUSTA LA VIA CHE CONDUCE ALLA VITA, E SONO POCHI QUELLI CHE LA TROVANO!” Mt.7:14.

         Delle tante religioni e concezioni affini che troviamo diffuse qua e là sulla faccia della terra, quale di queste valorizza l’uomo nel modo più totale (anima e corpo)? Promette all’uomo un destino d’eternità beata, da concretarsi nell’unione, seppur distinta e separata nelle rispettive identità, della creatura col suo Creatore e vissuta nell’intimità filiale con un Dio visto ormai principalmente come Padre? Ma, soprattutto, chi si fa garante in prima persona di quanto promesso? Io ne conosco soltanto una: la religione cristiana e conosco un solo, vero e affidabile, sotto tutti i punti di vista, garante per essa, Gesù Cristo.         -Non un Cristo, si badi bene, adulterato da dichiarazioni postume di visionari e pseudo profeti o da esposizioni grottesche e surreali di narratori di portenti col solo fine di voler impressionare il lettore, bensì il Cristo dei Vangeli e del Nuovo Testamento; annunciato dai profeti del Vecchio, ma fattoci conoscere dai testimoni oculari del Nuovo, che hanno dato tutto se stessi per tale opera di diffusione, fino al sacrificio estremo della vita. E l’esempio a costoro l’ha dato per primo lo stesso Gesù, che ha sofferto ed è morto, per poi risorgere definitivamente, al solo scopo di liberarci dai nostri peccati e riconsegnarci, immacolati, a Dio. Difatti questo Gesù, il Gesù della testimonianza apostolica, non è per niente una chimera o un fantasma o un soggetto romanzesco, e neppure un individuo composto di solo spirito, come vorrebbero certuni, ma è un reale personaggio del passato, apparso in carne e ossa, in un preciso momento della nostra storia, quindi, anche lui, con i suoi sentimenti e i suoi limiti dettati dalla natura umana (vero Dio, sì, ma al tempo stesso vero uomo), anche se, naturalmente, con una personalità sicuramente fuori del comune e, diversamente da noi, esente dal peccato (“tentato in tutto, a nostra somiglianza, eccetto il peccato” Eb.4:15).         -Del resto, nessuna mente mortale avrebbe mai potuto ideare un siffatto, complesso, ineguagliabile e tanto discusso personaggio, se questi autori non fossero stati testimoni diretti o per lo meno uditori di chi aveva assistito o partecipato in prima persona a quelle singolari vicende. Tanto più che le narrazioni sulla vita del nazareno considerate come verosimili sono da attribuirsi certamente, com’è stato sin dal II secolo oramai definitivamente stabilito dalla Chiesa, che ha agito, nel far ciò, evidentemente sotto l’assistenza dello Spirito Santo, non originariamente a uno scrittore soltanto a cui poi degli altri si sarebbero via via aggregati, ispirandosi o attingendo al suo lavoro, ma a ben quattro, o forse più (v. il prologo del Vangelo di Luca), sconosciuti scrittori dell’epoca, due dei quali anche compagni di vita di Gesù, i cosiddetti evangelisti, i quali hanno lavorato in piena autonomia e su materiale prevalentemente originale, e nonostante alcune non lievi divergenze che si riscontrano comparando quei racconti tra loro, queste rimangono assolutamente marginali rispetto alla sostanzialità del messaggio in essi contenuto e comune a tutti quanti, ossia il kerygma (proclamazione della nascita, morte e resurrezione di Gesù). Difficilmente la cosa troverebbe una spiegazione plausibile se Gesù fosse solo un personaggio inventato. In tale caso dovremmo supporre che più narratori che lavorino di propria fantasia, indipendentemente l’uno dall’altro, siano capaci di trattare, quasi in contemporanea, il medesimo argomento su un medesimo soggetto e di ottenere, oltre a ciò, un risultato pressoché identico. Cosa palesemente assurda, non vi pare?       -Un soggetto, quello di cui si parla, che, pur nascendo povero e in un piccolo luogo di un piccolo lembo di terra assoggettata al dominio romano, pur mostrandosi alquanto dimesso, pur rifiutando ogni onore e possesso mondano, pur vivendo fino a trent’anni nell’oscurità di una vita passata in un insignificante villaggio della Galilea, pur essendo osteggiato e incompreso, pur capitanando un piccolo gruppo di uomini tenuti in poco conto o disprezzati nella società del suo, come credo in quella di qualsiasi altro tempo (tra i quali un ex esattore delle imposte, un ex probabile sicario, un sicuro ladro e traditore, ecc.), pur catturato, picchiato, insultato, deriso e ben conscio di avviarsi oramai verso una morte orrenda ed ignominiosa quale la morte in croce, si è, fino all’ultimo, proclamato Figlio di Dio, o ha avuto, perlomeno, la piena coscienza di esserlo.        -Un soggetto che è andato incontro alla morte con un’impassibilità che ha del sovrumano. Non è fuggito o ha cercato di fuggire, di fronte ad essa, come tanti grandi e tristemente noti personaggi della storia, in particolare quelli a noi più vicini nel tempo, nascondendosi quale animale braccato in qualche rifugio, meglio se sotterraneo e apparentemente impenetrabile come i nostri attuali bunker, né vistosi senza una via d’uscita si è dato la morte da se stesso o per mano altrui, suicidandosi, bensì l’ha affrontata con fermezza, dopo una sentenza di condanna seguita ad un processo farsa, coscientemente e volutamente per il nostro bene, rifiutandosi, al provocatorio invito di chi lo stimolava a farlo, promettendogli, questa volta, se lo avesse fatto, di credere nella sua divinità, di scendere dalla croce sulla quale era stato barbaramente inchiodato; miracolo, a dire il vero, che gli sarebbe potuto riuscire benissimo, visto e considerato che ne aveva compiuti fino ad allora di ben più prodigiosi (v. ad es. la resurrezione del suo amico Lazzaro, narrata nel Vangelo di Giovanni).        -Un soggetto, in definitiva, troppo poco sapiente e quindi stolto per i greci usi, come dice l’apostolo Paolo, a ricercare la sapienza e, nel contempo, troppo scandaloso, nella sua debolezza, per i giudei abituati invece a chiedere miracoli, e per entrambi sufficientemente ignobile e comune perché potesse essere creduto Dio, e perciò degno di biasimo e di disprezzo. E degno di più grande biasimo e di più grande disprezzo dovrebbe essere considerato anche, e a maggior ragione, per la sua incompetenza, almeno quella dal punto di vista religioso, l’ipotetico inventore di tale, sotto certi aspetti, ridicola e ingiuriosa divinità, se non accusato nientemeno che di oltraggio alla religione e quindi di bestemmia e quindi meritevole di punizione, se non fosse, che, nessun essere umano, storico o fittizio, comunque dei due si voglia considerare il Gesù dei Vangeli, ha, fino al suo avvento, mai parlato come lui ci ha parlato, agito come lui ha agito, preteso quanto lui ha preteso, toccato i cuori in tanta profondità, diviso le persone in pro e contro, inquietato le menti di ogni ceto sociale e di ogni paese più di quanto non sia riuscito a fare lui, cosicché, per assurdo, se Gesù fosse soltanto l’invenzione uscita dalla fantasia di qualche oscuro scrittore di quel tempo, bisognerebbe in tale caso considerare divino, se non altro per aver saputo creare un qualcosa di veramente innovatore ed eccedente lo standard in cui erano racchiuse le divinità fino a quel momento raffigurate, l’ideatore di quel sublime, incomparabile, irripetibile e misterioso personaggio. Sennonché lo scrittore, o meglio gli scrittori della sua vita sono morti, ma quel personaggio dichiarato prima morto e poi risorto, e quindi vivente per l’eternità è, di fatto, ancora vivo e operante per milioni e milioni di persone, che lo pregano, lo invocano, gli rendono omaggio e lo testimoniano quotidianamente.       -Ma allora perché, viceversa, anche tanta ostilità, avversione, se non addirittura odio, scetticismo e altro, per opera di altrettanto considerevole numero di persone? Innanzi tutto, ciò sta, se ce ne fosse ancora bisogno, a dimostrare inequivocabilmente, anche se indirettamente, che, non solo per i cristiani, ma anche per coloro che lo ritengono a parole un individuo mai esistito, o molto più semplicemente soltanto un uomo come tutti noi, che Gesù è a tutt’oggi vivo e operante nella storia e quindi, in quanto essere concreto, bisogna combatterlo e combattere con esso, con tutti i mezzi possibili e immaginabili a disposizione, anche i suoi mal visti partigiani, considerati, non sempre a torto, dei mistificatori e dei fanatici. Non si spiegherebbe altrimenti tanto accanimento da una parte e dedizione dall’altra, se egli fosse solo un prodotto della fantasia umana. Sarebbe ignorato e basta, o al più deriso.          -Da dove quindi tanta ostilità, per uno che in fondo ci ha promesso in cambio di un po’ di sofferenza e sacrifici passeggeri, la vita eterna, e che si è dato in riscatto per tutti? La risposta potrebbe trovarsi principalmente nel turbinio e nel groviglio delle passioni che da sempre agitano e infestano il cuore dell’uomo, e di cui ha buon gioco Satana (questo sì, ahimè, che è reale!), che ama mescolare nel torbido, e approfittare delle debolezze altrui per proporre così, astutamente e ingannevolmente agli uomini, la via manifestamente più facile e seducente dei piaceri e delle ricchezze di questo mondo, da ottenersi senza tante rinunce o sforzi, ma solo in cambio di ossequio, quantunque non necessariamente espresso in modo esplicito, da rendere alla sua persona e/o ai valori di cui si fa portatore e di vilipendio nei confronti di Dio; tutte cose che aveva, peraltro e inutilmente, già offerte a Gesù, quando questi venne tentato da quello nel deserto, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno.        -E per quel che concerne invece lo scetticismo? Qui, senza voler scomodare nuovamente Satana, che comunque rimane sempre il padre della menzogna e il principale insinuatore di dubbi, quelli più dissacratori e dissacranti per l’appunto, si potrebbe trovare la risposta nell’ignoranza dell’uomo, nella sua pigrizia e/o incapacità a volere o sapere approfondire certi argomenti, o anche nel fatto che taluni accadimenti promessi o solennemente proclamati, non tutte le volte si presentano con la dovuta chiarezza e si concludono nella prospettata realizzazione, portando, quindi, a sospetti o a ripensamenti da parte di molti.         -Mi riferisco, ad esempio, all’annunciato ed imminente, così almeno si pensava allora, ritorno glorioso del Cristo risorto, con la conseguente fine del mondo (cfr.Mt.10:23; 24:34; 1Ts.4:14-17 e molti altri passi, sparsi qua e là negli scritti neotestamentari). Ma tutto questo non è ancora avvenuto. Ora è evidente, anche se per Dio mille anni, come recita la Scrittura, sono come un giorno, e la sua pazienza non fa che risaltare la sua bontà, dando a un numero sempre maggiore di persone la possibilità di conseguire la vita eterna, che il tempo dell’attesa sin qui trascorso non è poco. Si sarà, Gesù, sbagliato nella sua previsione? Ma com’è possibile se anteponeva alle sue dichiarazioni solenni sempre quel perentorio e doppio, secondo l’evangelista Giovanni, “amen, amen” (in verità, in verità), che ne certificava così la loro garanzia d’indubitabilità? Sono i discepoli allora che gli hanno intenzionalmente messo in bocca, nella concitazione di avvenimenti tanto sconvolgenti, e di cui sono stati testimoni loro malgrado, basti citare, uno fra tutti, la distruzione del tempio di Gerusalemme avvenuta nel 70, parole esprimenti aspettative appartenenti prevalentemente ad essi? Può essere, ma i dubbi sussistono e altre spiegazioni si propongono. Ma lungi da noi il pensare, anche solo per un momento, che Gesù fosse perciò un impostore, un sadico, un masochista, o, forse, solo un povero visionario, o, ancor peggio, uno schizofrenico; un pazzo insomma, e che la sua risurrezione non ci sia mai stata, altrimenti tali accuse dovrebbero essere riversate, puntualmente, su quei suoi discepoli divenuti artefici principali e garanti ultimi, una volta messolo per iscritto, della propagazione e dell’attendibilità di quel messaggio, e al tempo stesso tra i primi nel pagarne le non piacevoli, e spesso immediate, conseguenze. Ma l’analisi interna di tutto il Nuovo Testamento lo esclude categoricamente: tutta gente al cento per cento sana mentalmente.         -Quindi non accampiamo scuse o pretesti vari e vani per rivoltarci contro Gesù o ritornare indietro dal cammino che avevamo correttamente intrapreso: l’unico che può condurci alla vita eterna. Tutte le altre strade o portano a deviazioni pericolose e irreversibili o s’interrompono a un certo punto inaspettatamente e l’orizzonte prima aperto, si chiude improvvisamente, per chi le ha intraprese, nell’oscurità più totale.         -“Io sono la via, la verità e la vita”, ci dice Gesù, e subito dopo aggiunge: “Nessuno va al Padre se non attraverso di me” Gv.14:6. Affidiamoci dunque fiduciosamente e completamente, come pargoli svezzati in braccio alla madre, a lui, sicuri che ci farà arrivare incolumi, superando ogni insidia della vita, a destinazione. E ripetiamo pure, con l’apostolo Pietro e senza indugiare, le medesime parole che costui pronunciò allora davanti al suo e nostro Redentore: “Signore, da chi andremo? Tu (solo) hai parole di vita eterna” Gv.6:28.

 

giuliobozzi53

 
 
 

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