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DALL'ALTRA PARTE DELLA BARRICATA

Post n°13 pubblicato il 13 Dicembre 2006 da EvaAmaGiocare

immagine(foto di Francesco Cipolla)

Non ho un marito e neppure un compagno. Li ho avuti entrambi, nel tempo. Ma da un bel po’ ne faccio a meno.

Non invidio le donne impegnate e non ho mai cercato di rubare un uomo a qualcun’altra. Non l’ho mai fatto fino a pochi giorni fa.

Ho sempre chiamato “barricata” quella invisibile linea di confine che separa quelle come me (per com’ero) da quelle che non fanno alcun caso allo stato civile di un uomo e che ne “scartano” uno dopo l’altro, tra una scrollata di spalle, una risata ed una bevuta a tarda notte. 

Forse è nell’animo delle persone, nella loro natura, nelle loro aspirazioni legittime, sentire la necessità (prima o poi) di provare il gusto della “rivincita”. E, soprattutto, individuare nelle situazioni più strane, o impensate, le possibili rivincite che devono, necessariamente, essere vissute. Così, almeno, è capitato a me, pochi giorni fa, appunto.

Ho una relazione con Giuliano, un uomo che ha già una compagna da più di qualche anno.

Non mi sento in colpa. Dormo tranquillamente tutte le notti. Non mi guardo in giro preoccupata, mentre cammino in centro. Non vado dall'analista. E, sinceramente, mai avrei pensato che potesse essere così divertente trovarsi dalla parte opposta della “barricata”.

Ho la mia personale tranquillizzante teoria su quello che mi sta accadendo.

Innanzitutto, io non sono quella che condivide il suo letto. Sono quella che, dopo aver scopato, lo può rispedire a casa, senza tanti preamboli. O che si può alzare, rivestire e girare i tacchi, senza alcuna giustificazione.

A pensarci bene, poi, sono io quella che lui più desidera, quando un’altra condivide, o forse solamente divide, il suo letto. Sono io quella a cui lui riserva il maggior divertimento ed i giochi che con la compagna non ha il coraggio di fare. Sono io, quella a cui scrive poesie, a cui manda fiori, a cui dedica parole d’amore.

Sono io la donna che rappresenta la passione ed il proibito. L’irraggiungibile a portata di mano. L’erezione immediata. L’orgasmo pieno, caldo, furioso, nuovo e rinnovato.

E, infine... io sono quella da cui lui non può pretendere nulla, perché lui stesso, a me, nulla può dare.

Con me, niente discussioni. Niente litigi. Solo divertimento, senza seghe mentali, che io posso rimandare, quando voglio e mi va. Con me, sesso, rubato alle pause pranzo. Erotismo spinto fino alle soglie della perversione. Giochi di mani a distanza. Masturbazione condivisa, esibita, esaltata. Scopate in piedi, fatte solo di esplosioni e di tempi rapidissimi.


E’ già la sua terza telefonata, stasera. Ed è già il mio terzo: “Che peccato, non posso...”.

Un non posso che lui non può sapere; che può nascondere chissà cos’altro e che diventa una tortura per chi, una volta a casa, è costretto a spegnere il cellulare, magari con un’inquietudine tra le cosce che lo imbarazza e lo rende intrattabile.

Un non posso che, stavolta, effettivamente nasconde altro.

Ho un appuntamento con un altro uomo: Mirko, che appartiene al mio passato, ma che non è mai passato. Mi ha appena citofonato, quando è arrivata la terza telefonata di Giuliano, che ho chiuso rapida.

Rispondo al citofono: “Ma ciao! Sono pronta, scendo tra due minuti!” Sono sempre io a scendere. E’ difficile che faccia salire qualcuno in casa. Difficile, ma non impossibile.

Mirko è davanti al portone di casa, con un cappotto scuro. Non me lo ricordavo così bello. Ci salutiamo sfiorandoci appena le guance. Il suo odore evoca centinaia di ricordi. Mi dice che sono bellissima e mi appoggia la mano sul fianco per accompagnarmi alla macchina. Con la coda dell’occhio vedo l’auto di Giuliano, ferma nel parcheggio, seminascosta dietro al furgoncino del negozio di abbigliamento.

Salgo in auto con Mirko facendo finta di niente. Si va al nostro solito ristorantino in collina, con una carta vini da sballo. Dallo specchietto mi accorgo che Giuliano ci segue. 

Sono certa che Mirko se lo ricorda: io non portavo mai mutandine quando avevo un appuntamento con lui.

Mentre lui guida, gli prendo la mano - quella mano di cui conosco ogni solco a memoria - e la guido sotto la mia gonna. Non stacca gli occhi dalla strada, non fa una piega. Ma, come sempre, riconosco quel lampo familiare nello sguardo. E quella microscopica fossetta da baciare che appare al lato destro della bocca. Lui guida, io mi sposto solo un po’ in avanti col bacino ed allargo leggermente le gambe. La gonna si solleva appena, ritmicamente.

Va da sola, ora, la sua mano; conosce bene la strada; ama, quella strada. E lo si sente.

Mi sento modellare le pieghe del mio sesso una per una, centimetro per centimetro, mentre la macchina prosegue tra le curve, imboccando l’inizio della salita. Primo tornante, curva a destra, doppia curva a sinistra. Ed ogni movimento mi aiuta ad avvicinarmi al piacere.

Le mie gambe si chiudono e s’allargano, trattenendolo e poi lasciandolo andare. La sua mano continua, sicura, insinuandosi nel mio inguine ed aprendomi le cosce, a dispetto della mia forza. E scivolandomi dentro.

Apro la camicia e permetto al mio seno d’essere libero. 

Mirko si gira solo per un attimo, a guardarmi. Accostando a destra, ferma l’auto, appena fuori dal ciglio della strada. Slaccia la cintura, la riporta con calma vicino alla portiera.

Esce dall’auto, viene dalla mia parte e mi apre lo sportello, trascinandomi fuori.

La gonna è sollevata fino ai fianchi. I seni sono all’aria ed i capezzoli eretti sfidano il vento. E’ freddo, ma non lo sento.

Mi appoggia alla portiera. Sento le sue mani che gli slacciano i jeans. E poi lo sento dentro, che affonda caldo fino in fondo. Che mi scuote e mi spalanca, colmo fino all’orlo.

Chissà se anche Giuliano si è fermato un po’ più avanti. Chissà se era la sua macchina, quella che è appena passata. Chissà se sta guardando, ora che Mirko mi sta godendo dentro ed io su di lui, appoggiata al freddo metallo di una portiera. Chissà se sta ascoltando, ora che i gemiti di piacere coprono ogni altro rumore e sono assordanti.

Ora mi sento porca, come piace a me. Ora finalmente sono io, la barricata. E non smetto più, perché mi è venuta fame.

 

 
 
 
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