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Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Un paese di
frontiera



La presenza di un forte
partito comunista (il più forte di tutto l'Occidente) ha posto
l'Italia al centro di forti tensioni negli anni Sessanta e Settanta
condizionandone in modo profondo l'intera vita
politica



L'Italia a prima vista sembra un
Paese fortunato. E' circondata da una fascia di Paesi alleati o
neutrali dalla Francia, alla Svizzera, all'Austria, alla
Jugoslavia, all'Albania ed alla Grecia. Il suo esercito non corre
il rischio di un bruciante blitz aerocorazzato alle sue frontiere
ed il settore terrestre da difendere è in gran parte montuoso.


Amintore Fanfani, uno dei protaonisti della svolta politica italiana della fine degli anni CinquantaSi trova,
tuttavia, in una posizione aeronavale che costituisce la
chiave di volta per il controllo del Mediterraneo. Senza di
essa l'aiuto agli alleati greci e turchi diventa impossibile.
Con il controllo della penisola è invece possibile
imbottigliare la V Eskadra sovietica ed i suoi sottomarini in
due bacini più piccoli e annientarla metodicamente. L'Italia è
un prezioso elemento di sorveglianza e controllo verso le
inquiete aree del Nord Africa e del Medio Oriente.


Il suo problema più grande agli
occhi degli strateghi americani e dei loro colleghi nella NATO è
rappresentato dalla presenza di un partito comunista che è il più
grande in tutta l'alleanza.


Un partito che di stretta misura
aveva evitato tentazioni rivoluzionarie nel decennio successivo
alla seconda guerra mondiale, che godeva dell'appoggio del Partito
Socialista e che continuava ad esprimere un forte sostegno
all'URSS.


Per ragioni diverse da quelle di
altri alleati, l'Italia è dunque un Paese di frontiera della Guerra
Fredda e come tale al centro di tensioni fortissime. Il cosiddetto
fattore K, insieme alle continue pressioni esterne che si
indirizzano su di esso, costituisce uno degli elementi
dell'immobilità del quadro politico italiano.


Eppure gradualmente, ma senza
ripensamenti, dalla fine degli anni Cinquanta, viene allargata
l'area del consenso proprio verso sinistra e sarà il perno della
politica interna sino a tutti gli anni '80.


Uno dei primi esponenti di spicco a
sostenere, nel 1958, la necessità di "aprire a sinistra",
coinvolgendo i socialisti nell'area di governo, è il presidente del
Consiglio, Amintore Fanfani. La nuova strategia mira a creare un
asse Democrazia Cristiana-Partito Socialista in modo da isolare il
PCI e aprire una nuova stagione di riformismo moderato. Ci furono,
ovviamente, forti contrasti in seno alle forze di governo e la
situazione politica divenne molto delicata.


Alla fine del 19591 il nuovo
segretario della DC è il professore Aldo Moro. Uomo riservato,
cortese, di solida preparazione giuridica, ha compiuto una rapida
carriera politica. Deputato a trent'anni, sottosegretario agli
Esteri a trentadue, capogruppo DC alla Camera a trentasette, Moro
impressiona per le sue straordinarie e sottili capacità di
mediazione anche inviati politici americani.


GENOVA IN FIAMME. Nel 1960 il
presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, affida l'incarico di
formare il governo al democristiano Fernando Tambroni, che ha buoni
collegamenti in tutto lo spettro politico dai socialisti
all'estrema destra. Tambroni riesce a formare il suo governo con
l'aiuto, appunto, delle destre. Ne nascono tensioni che degenerano
i gravi tumulti. Genova, città medaglia d'oro della Resistenza,
viene scelta dal Movimento Sociale come sede de proprio Congresso.
Il 30 giugno 1960 decine di migliaia di persone si riversano in
strada. Le forze dell'ordine devono fronteggiare una vera e pro
pria guerriglia urbana, che ha come epicentro piazza de Ferrari. Il
1° luglio gli scontri continuano, e si forma un comitato di
liberazione partigiano e solo il controllo delle forze di polizia
evita bilanci più pesanti. Tambroni.


Tuttavia, commette l'errore di voler
riaffermare la sua autorità dando l'autorizzazione alla polizia di
sparare in situazioni di emergenza. Nella settimana seguente
muoiono in diverse città italiane una dozzina di persone e più di
20 sono ferite. Uno sciopero generale segna l'epilogo di quel
governo, costretto a fine luglio a dimettersi, e chiude la strada a
qualunque futura alleanza con la destra. Lo spostamento verso nuovi
assetti politico-sociali si verifica, come spesso in Italia, dal
basso. Le amministrative del 1960 consentono i primi esperimenti di
centro-sinistra in alcune città: Milano, Genova, Firenze e
Venezia.


Il nuovo presidente degli Stati
Uniti John Kennedy (il cui insediamento alla Casa Bianca suscita
grandi speranze in tutto il mondo) invia Harriman in missione
esplorativa a Roma. Harriman, al contrario dei suoi più
ideologizzati predecessori, si rende conto che il centrosinistra è
l'unico percorso politico praticabile in Italia. Anche il
consigliere particolare di JFK, lo storico Arthur SchIesinger jr.,
è dell'avviso che il centrosinistra serva a due scopi: dare
all'Italia un governo più sensibile alle riforme in linea con
l'immagine dell'amministrazione kennediana e contribuire ad
emarginare i comunisti italiani dalla ribalta politica.


Tuttavia la linea americana, come
non di rado, è tutt'altro che univoca. Lo stesso Kennedy, pur
esprimendo privatamente ai leader italiani una benevolenza verso i
prevedibili sviluppi della trattativa, evita di offrire un sostegno
troppo diretto alle ipotesi di centro-sinistra per mantenere il
consenso interno.


Anche il Vaticano, con l'elezione di
papa Giovanni XXIII, cambia la sua linea politico-religiosa, in
favore di un moderato ma indiscutibile progressismo.


Grazie a questi cambiamenti, il capo
socialista Pietro Nenni può far passare nel suo partito una linea
di attenzione favorevole alla NATO e di spinta per entrare nella
stanza dei bottoni. Più o meno contemporaneamente Moro, nell'VIII
congresso DC, riesce a blandire gli oppositori e galvanizzare i
campioni del centro-sinistra. L'80 per cento dei delegati appoggia
l'impostazione ed Andreotti battezza la nuova linea con
l'ecclesiale titolo I casti connubi.

 
 
 
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