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Messaggi del 29/11/2017

ROBOT SENZIENTE?

Post n°1228 pubblicato il 29 Novembre 2017 da cannibale3
 
Foto di cannibale3

All'inizio del ventesimo secolo, i robot erano visti come nient'altro che metallo, ma mentre gli scienziati iniziarono a renderli sempre più simili esteticamente agli umani, venne da porsi la domanda cruciale: potremo fidarci di loro?

Nato nel 1920 a Petrovichi, in Russia, Isaac Asimov è emigrato negli Stati Uniti con la sua famiglia quando aveva solo due anni. Asimov, figlio di un proprietario di un negozio di dolciumi, in qualche modo ha ottenuto una macchina da scrivere all'età di 15 anni e ha iniziato a scrivere brevi storie di fantascienza. Questo perché suo padre gli permetteva solo di leggere storie di fantascienza con la convinzione che riguardassero la scienza e quindi l'educazione. L'origine della parola "robot" è interessante. Mentre Asimov e altri dopo di lui hanno reso popolare la parola, le sue origini derivano dalla parola ceca "robota", che significa "lavoro forzato". Tra i 18 e i 21 anni, Asimov scoprì il suo amore per i robot e scrisse molto su di loro. Ha inventato le "Tre leggi della robotica", un insieme di regole che dovrebbero governare i robot mentre iniziano a interagire con gli umani. L'editore della rivista Astounding Science Fiction John Campbell e Isaac Asimov hanno elaborato queste regole:
La prima legge: un robot non può danneggiare un umano attraverso l'azione o l'inazione.
La seconda legge: un robot deve obbedire agli ordini impartiti da un essere umano, a meno che tali ordini non siano in conflitto con la Prima Legge.
La terza legge: un robot deve proteggere la propria esistenza, eccetto se tale protezione è in conflitto con la prima e la seconda Legge.
Prima di Asimov il mondo aveva concepito robot come Frankenstein o mostri di metallo. Asimov li rese più umani, domestici ed utilizzabili per risparmiare fatica e lavoro in senso lato. Quindi immaginò un mondo futuribile che l'umanità avrebbe potuto desiderare. Ora esistono milioni di robot che non hanno l'aspetto fisico degli umani, utilizzati dall’industria per costruire automobili, giocattoli, scarpe e qualsivoglia prodotto. Siamo più sorpresi e prestiamo più attenzione a quei robot che in qualche modo sembrano umani o animali. Il robot umanoide ASIMO creato da Honda nel 2000 ha la capacità di riconoscere suoni, volti e gesti e, quindi, può interagire in modo significativo con gli umani. ASIMO ha viaggiato in tutto il mondo e si è esibito di fronte al pubblico sorprendendolo. Tuttavia, l'aspetto fisico non è l'unica cosa che fa apparire un essere umano non umano. L'intelligenza è molto più importante di avere due braccia e due gambe. Questo fatto fu chiaro ad Alan Turing, l'inventore della teoria dell'informatica che immaginò un test ora chiamato "Test di Turing". Un giudice umano pone domande di linguaggio naturale (scritte come testo) a un computer e un altro umano nascosto dietro le tende, ed entrambe rispondono. Se il giudice non riesce a distinguere quale sia il computer, il computer passa "il test di intelligenza".
I robot di Asimov erano veri robot anche quando interagivano con gli umani, e il loro comportamento potenzialmente dannoso era frenato dalle tre Leggi. Tuttavia, i robot con livelli di intelligenza umana potrebbero avere una storia completamente diversa. Ma come potremo "inserire" l'intelligenza ed il libero arbitrio nei robot, indipendentemente dal fatto che abbiano l'aspetto fisico degli umani? La soluzione si chiama "deep learning" e ha completamente trasformato la ricerca sull'intelligenza artificiale (AI).
Fin dall'inizio degli anni '60, c'erano due scuole di pensiero su come costruire macchine intelligenti. Il primo gruppo riteneva di poter scrivere un codice che applicasse le regole della logica per prendere decisioni e lasciare che il robot stabilisse le sue direzioni nel labirinto delle interazioni.
Mentre il secondo gruppo credeva che l'intelligenza sarebbe emersa se le macchine avessero seguito il percorso della biologia imparando osservando e sperimentando. Il secondo gruppo suggeriva un approccio che andava diametralmente opposto alla programmazione per computer; invece del programmatore che crea un algoritmo e scrive i comandi per seguire l'algoritmo, il programma stesso (la macchina) genera il proprio algoritmo visualizzando la data di esempio e l'output desiderato.
"La macchina stessa programma" era un'idea rivoluzionaria, ma era troppo presto per il suo tempo. Richiedeva una grande quantità di memoria per i dati di input e output e una rete di piccoli computer riconfigurabili (neuroni) per modellarsi sull'algoritmo appreso. Nessuno dei due era disponibile negli anni '70 o anche negli anni '80. Negli anni '90, tuttavia, classi speciali di computer riconfigurabili (chiamate reti neurali artificiali) erano sufficientemente avanzate per eseguire determinati compiti di apprendimento profondo, come il riconoscimento del testo scritto a mano. Un altro decennio e mezzo dopo, possiamo costruire reti neurali con milioni di nodi e sono disponibili grandi set di dati per addestrarli. L'apprendimento approfondito è responsabile dell'esplosione odierna delle applicazioni AI. Ora viene utilizzato per prendere decisioni chiave in molte aree della medicina, della finanza e della percezione. Tuttavia, abbiamo un problema. Gli algoritmi formati da set di dati e output desiderati sono strutture altamente opache. Dopo essere stato addestrato su un milione di coppie di ingressi e uscite, la macchina inizia a prendere decisioni sensate sui nuovi input; tuttavia, i nostri modelli sul suo comportamento sono incompleti. Costruiamo macchine che funzionano ma non sappiamo come funzionano!
da Daily Sabah (California USA) Nov. 24/17, tradotto ed adattato da canni3

 
 
 

LA MAGIA DEI COLORI

Post n°1227 pubblicato il 29 Novembre 2017 da flogen66
 
Foto di cannibale3

In un tempo lontano, gli Dei litigavano perché il mondo era assai noioso con tre soli colori: uno era il nero che comandava la notte, l'altro era il bianco che illuminava il giorno; il terzo era il grigio che dipingeva sere e mattine agendo da interludio. 
 
Gli Dei, litigiosi ma sapienti, decisero che era giunto il momento di rendere più allegra la vita degli umani. Uno di essi, camminando distratto dai suoi pensieri, racconta la leggenda, urtò contro una pietra ferendosi la testa provocando un sanguinamento. Il Dio, dopo aver urlato per il dolore, guardò il sangue e notò il colore diverso. Il nuovo colore venne chiamato "rosso”. Un altro Dio stava cercando un colore per dipingere la speranza. Lo trovò e quindi lo mostrò all'assemblea degli Dei; gli misero il nome "verde". Un altro cominciò a grattare forte a terra per cercarne il cuore. Dopo poco egli lo trovò: lo chiamarono “marrone”.  Un altro Dio salì in alto. "Vado a guardare il colore del mondo" disse, e quindi iniziò a scalare la montagna.  Arrivato in alto, guardò in giù e scorse il colore del mondo, non sapendo come fare a trasportarlo. Allora rimase a guardare per un tempo che parve infinito, finché il colore non penetrò i suoi occhi. Si presentò quindi, all'assemblea degli Dei. "Porto nei miei occhi il colore del mondo: l’azzurro”. Un altro Dio stava cercando colori quando sentì un bambino ridere; si avvicinò con cautela e gli carpì la risata che diventò il giallo. A quel punto gli Dei, ormai stanchi, andarono a dormire, lasciando i colori in una cassetta sotto un albero. La cassetta non era chiusa bene e i colori uscirono, cominciando a far chiasso e festa. Così nacquero tanti nuovi colori. Quando tornarono gli Dei si accorsero che i colori non erano più sette, ma molti di più. Presero la cassetta dei colori, salirono sulla cima del monte, e da lì cominciarono a lanciarli.  
Fu così l'azzurro finì in parte nell'acqua e in parte nel cielo, il verde ricadde sugli alberi e sulle piante, il marrone, che era il più pesante, cadde sulla terra, il giallo, che era un risata di bambino, volò fino a tingere il sole, il rosso giunse sulla bocca degli uomini. Gli Dei lanciavano i colori senza fare attenzione a dove finissero ed alcuni di essi spruzzarono gli uomini. Per questo esistono persone di diversi colori e di diverse opinioni. Allora, gli Dei, per non dimenticarsi dei colori e perché non si perdessero, cercarono un modo per conservarli. Stavano pensando come fare, quando videro un pappagallo, che era brutto e grigio come una gallina spennacchiata. 
Lo presero e gli attaccarono i colori. Ancora oggi il pappagallo se ne va in giro per ricordare agli uomini, che molti sono i colori e le opinioni e che il mondo potrebbe essere felice se tutti i colori e tutte le opinioni avessero il loro spazio.
di T.G. FONTAINE dal racconto SANGRE VERDE 2017

 
 
 

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