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GIRO INTORNO AL MONDO IN BARCA A VELA
 

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« ISOLE MARCHESI - TAHUATACHLOE »

L'ISOLA DI NUKU HIVA

Post n°95 pubblicato il 27 Agosto 2010 da lukyll

9 Maggio – Baia TAI-PI    isola di NUKU HIVA

 

Il primo Maggio, da buoni italiani, facciamo la scampagnata fuori porta. Abbiamo affittato un’auto, un fuori strada, per girare l’isola di Hiva Oa. Le mete sono due siti archeologici: Taaoa e Iipona.  Partiamo al mattino in tre perché Cesare e Fabio sono stati male tutta la notte e si sentono le gambe a pezzi. Dormiranno tutto il giorno! Quindi saliamo sul fuoristrada Giuseppe, Giovanni ed io. Raggiungiamo prima il sito di Taaoa che si trova sulla destra del paese a 5-6 km di distanza. Ci troviamo in un piccolo villaggio con tanto di chiesa in stile anglosassone, si gira a destra e ci inoltriamo nella foresta fino ad arrivare al sito. Vediamo che è un complesso formato da una grande terrazza rettangolare e da una parte ci sono altre due terrazze in pietra dove dovevano essere posta sopra ognuna una capanna. Il sito è religioso e dice che ci facevano anche sacrifici umani. Tra gli alberi si intravede la baia ed il mare. Il luogo è suggestivo. Poi cerchiamo un tiki che è un centinaio di metri sopra l’area di culto. Finalmente lo troviamo. Alto un metro presenta dei cerchi che sembrano occhi ed una bocca accennata da un lato, mentre dall’altro non si capisce bene. Non è un gran che ma è quello che offre da vedere questo sito. Ci facciamo le foto, ci facciamo mangiare i piedi da miriadi di piccole formiche rosse che corrono all’impazzata da tutte le parti e per fortuna quando si cammina riescono a trovare la via del ritorno e se ne vanno via. Ci dirigiamo verso l’altro sito archeologico dopo aver mangiato pane e formaggio. Lipona si trova all’altro capo dell’isola, abbastanza lontano non tanto come chilometri quanto come tempo necessario per raggiungerlo. Infatti la strada dopo poco diventa sterrata e brutta. Saliamo in cima alla montagna dove c’è un bel fresco, finalmente si respira bene, e poi si ridiscende fino al mare dall’altra parte. La discesa è ripida e spesso lo sterrato serpeggia lungo contrafforti della montagna che precipitano in mare. Sbagliare di un metro una curva vuol dire precipitare in mare dopo un ruzzolone di qualche centinaio di metri. Mi tengo forte ai sedili! Lo scenario però è bello. Tutto brullo, senza un albero, rocce e sterpaglie, capre sulla strada, e a picco un mare blu cobalto con spuma bianca dovuta al frangersi delle onde che qua e là appare sull’acqua. Attraversiamo due o tre villaggi, piccoli e situati ognuno nella propria baia. Puliti, con erba verde spontanea, con le case piccole con accanto i propri alberi di banano, pompelmo e alberi del pane. Una gran pace. Sulla spiaggia qualche piroga con il bilanciere, tipica della Polinesia, la grande capanna dei ritrovi del villaggio e la immancabile piccola chiesetta. Finalmente raggiungiamo il paese del sito archeologico e domandiamo in un bar all’aperto la strada da percorrere per raggiungerlo. E’ caldo e chiediamo di mangiare un pompelmo per dissetarci. Ne mangiamo due, troppo buono. Sono enormi, come un melone e soprattutto dolci. Al tavolo accanto quattro signore di mezza età ma sopra il quintale di peso ognuna giocano a carte. Sui tavoli ci sono delle bellissime composizioni di fiori e di frutti: non possiamo fare a meno di fotografarli.

Arriviamo al sito si Iipona, ben tenuto, erba tagliata e molto bello. Il complesso mostra dei terrazzamenti formati da grosse pietre dove erano costruite capanne e più in alto si vedono dei Tiki molto belli e ben tenuti. Uno è il più alto delle Marchesi: 206 cm. Raffigurano uomini che immobili nel loro aspetto  guardano lontano verso il mare. Somigliano, in piccolo, alle famose statue dell’isola di Pasqua. Un’altra statua rappresenta forse una donna accovacciata nell’atto di partorire. Tutt’intorno una vegetazione lussureggiante che accoglie e da mistero al sito. Veramente molto bello.

Ritorniamo e vedendo tanti alberi di banano ci fermiamo a guardarli fino a che un casco di questi meravigliosi frutti si rompe e cade nelle nostre mani che subito lo infilano in auto coprendolo in qualche modo alla vista. Cerchiamo anche delle papaie ma si trovano piccole e alte. Queste non cadono da sole!

 

In questa isola hanno trovato un meraviglioso rifugio due grandi artisti: Paul Gauguin, famoso pittore che non poco ha contribuito con i suoi dipinti di donne Marchesane a far conoscere l’ambiente polinesiano in Europa e Jacques Brel altrettanto famoso cantante ed autore che visitata l’isola con la propria barca non è più andato via. Le loro tombe sono visibili nel locale cimitero di Atuona, la capitale dell’isola, dove siamo ormeggiati.

Il porto non è bello ne confortevole pertanto il comandante decide di ritornare all’isola di Tahuata, in una baia solitaria con tanto di spiaggia bianca e palme per nostro esclusivo utilizzo. A nord est dell’isola. Pace, tranquillità e silenzio.

Il pomeriggio il comandante ci conduce in gommone a vedere la costa e ci introduciamo in certi anfratti divertendoci a rischiare che il gommone sbattesse contro le rocce date le grandi onde oceaniche e la conseguente forte risacca. Come i ragazzi!

Il giorno dopo, nonostante la stanchezza dovuta dalla malattia decidiamo, Cesare ed io, di andare in cima alla collina del promontorio di fronte. Arriviamo con il battello sulla spiaggia, saltiamo poi sulle nere rocce e quindi ci inerpichiamo per una ripida china, non sembrava dalla barca, e direttamente ci dirigiamo verso il crinale. I piedi scivolavano sulla terra mista a sassolini e le piante alle quali ci aggrappavamo erano spesso secche e si sbarbi cavano subito risultando un inutile appiglio. E’ meglio passare dove ci sono piante verdi e con radici più solide! Arriviamo in cima sudati ma contenti, lo spettacolo è bello, a destra la nostra baia azzurra con la spiaggia, le palme e la barca bianca che si lascia cullare dalle onde, dall’altra tutta una serie di scogliere con la bianca schiuma intorno che si perde lontano nel mare blu. Il sole volge al tramonto, il momento adatto per fare fotografie e Cesare ne scatta molte, qualcuna anche a me che mi ero dimenticato di portare la macchina. La discesa è facile, tanto che alla fine, quasi arrivati, abbandono la mia prudenza e scivolo in terra senza farmi  male.

 

Il 4 Maggio ritorniamo a Hiva Oa per fare dogana e l’ingresso ufficiale nella Polinesia Francese, dopo 12 giorni! Il pomeriggio vado con Cesare a correre, sentiamo il bisogno di muoversi un po’, sempre in barca ci si rattrappiscono le gambe. Lui, trentenne parte mentre io dopo 150 metri mi fermo e proseguo camminando veloce e ogni tanto correndo piano. Un’oretta di ginnastica, quanto serve per fare una bella sudata ed espellere tossine, speriamo un po’ anche quelle della Ciguatera! E fare poi una doccia rinfrescante.

Incontriamo un fiorentino, un certo Paolo, poco più di 40 anni, con il quale facciamo quattro chiacchiere e le solite informazioni su isole ed ancoraggi sicuri e belli. Si scambiano e si copiano film da vedere alla sera. Un giovane norvegese di 25 anni , saputo che Giuseppe è medico, ha portato la moglie perché il dottore sentisse il battito del nuovo bimbo in grembo di quattro mesi. Questi sono in barca con una bimba di 11 mesi ed uno in arrivo. Tutti i giorni sono a fare il bucato perché usano, ovviamente, pannolini che si riutilizzano lavandoli. Simpatici, cordiali e spensierati. Ma come faranno senza pensare al futuro e con bambini così piccoli?  Noi abbiamo paura di portare in barca i nipotini di 4 e 6 anni!

 

 

     5 Maggio. L’ancoraggio non è piacevole, confusione e chiasso di una chiatta che sta recuperando un relitto arrugginito di un rimorchiatore. Partiamo per Ua Huka, un’isola più a nord.

La traversata è bella: sole, mare azzurro, 20 nodi di vento, bolina larga e tutta tela. Arriviamo su una piccola baia circondata da rocce, piccola ma tranquilla, subito dopo Punta Tetutu. Facciamo il bagno ma l’acqua è torbida e non vediamo bene il fondale. Giriamo la costa con il gommone ma non troviamo grotte o anfratti per giocare. Il giorno dopo andiamo a terra a fare una passeggiata, saliamo in collina seguendo il sentiero delle capre ed ammiriamo il panorama. Poi scendiamo dall’altra parte e ci fermiamo nella deserta spiaggia. Gironzoliamo un poco cercando conchiglie ma troviamo ossa di capra e di cavallo selvatico, teschi e mandibole. Fabio dice: e se fossimo naufragati su questa isola con quel poco che abbiamo come potremmo accendere un fuoco? Suggerisco che forse è meglio prima acchiappare ed ammazzare il capretto e poi …. accendere il fuoco! Ma tanto vale, la sfida è lanciata! In tre ci mettiamo a raccattare legna secca e a strofinarla come abbiamo tutti visto nei documentari. Solo Cesare riesce a produrre un poco di fumo ma senza innescare la combustione. Sudati, desistiamo e ce ne torniamo alla barca. E’ difficile anche ad essere uomini primitivi!

 

Il giorno dopo, 7 Maggio,  andiamo a Vaipaee, il paese più grande. La baia si chiama Invisibile, infatti  dal mare non si vede e la individuiamo solo con l’aiuto del GPS. E’ lunga e stretta e sia il vento che il mare con le sue onde entrano rendendo fastidioso l’ormeggio. Gettiamo l’ancora che tiene bene ma il mare ci porta verso gli scogli. Allora gettiamo una seconda ancora di poppa per mantenere la direzione voluta ma non tiene perché il fondale è costituito da roccia piatta e poca sabbia. Gettiamo una terza ancora al traverso e ci tiriamo su a distanza di sicurezza dalla parete rocciosa. Il tutto richiede un lavoro di due ore e tanta fatica per chi con il gommone va a gettare l’ancora di poppa. L’unica barca che era in rada si mette in moto e va a rifare tutte le manovre come avevamo fatto noi perché anche la sue ancore non tenevano. Si balla un po’ e si sta con la tensione che le ancore non tengano bene. Fabio dormirà fuori, in coperta.  Non scendiamo nemmeno a terra nonostante dalla spiaggia giunga musica e profumo di griglia. La barca accanto a noi è bella e moderna, forse leggermente più grande, l’avevamo avuta davanti in rada alle Galapagos, il mattino dopo ripartono per Nuku Hiva e così faremo anche noi dato l’infelice ormeggio.

 

Il giorno 8 Maggio, alle ore 7, le canzoni di Elvis Presley ci svegliano, vuol dire che ci prepariamo alla partenza. Anche nell’altra barca c’è fermento. Colazione e dopo a salpare le ancore. Quella di poppa viene via da sola, non teneva niente, solo gli ultimi metri si incattivisce e Cesare ed io dobbiamo andare a tirarla su con il gommone. Poi salpiamo le ancore ed usciamo dalla Baia Invisibile. E’ proprio meglio non vederla dato il cattivo ormeggio che presenta! Subito il comandante si sente ingaggiato in una regata con l’altra barca e così sembrano anche gli altri. Issiamo veloci le vele ed un vento di 20-22 nodi le gonfia appena fuori. L’altra barca issa randa, genoa tangonato per mantenerlo in buona posizione e trinchetta. E se ne parte in poppa piena. Noi facciamo un lato di lasco e poi metteremo lo spinnaker. Prepariamo tutta l’attrezzatura, un’ora buona di lavoro, strambiamo e poi pensiamo a issare lo spy. Ci vuole più di mezz’ora! Finalmente si gonfia, bianco e blu e la barca fila a nove nodi ma alla fine non riusciremo a raggiungere il nostro concorrente che rimane avanti di più di tre miglia. Abbiamo perso, pazienza. Ma la loro barca è molto più lunga quindi più veloce si sente dire come scusante ma credo inutilmente. Ci avviciniamo all’isola quando improvvisamente cade in acqua lo spinnaker, si è rotta la drizza che lo teneva su. Lo recuperiamo con difficoltà  e soprattutto con grande fatica perché si è riempito con l’acqua del mare. In 4 lo tiriamo in coperta e lo cacciamo dentro il quadrato così che non possa più volare via. L’altra barca è ormai lontanissima. Ci rifugiamo in una piccola baia, chiamata del Controllore, tranquilla, dove siamo ancorati adesso, presso il villaggio di Hooumi. Intanto riordiniamo tutta l’attrezzatura, sono le due del pomeriggio e non ci siamo fermati un momento. Anzi solo 5 minuti per un pezzo di pane e formaggio! Fabio domanda cosa è quell’affare nero diritto a prua. E’ uno scoglio appena affiorante, fa paura a vederlo, sembra messo apposta per far colare a picco le barche!  Appena si vede fra un’onda e l’altra. E’ segnalato nella carta ma forse ci eravamo dimenticati. Si navigava con il pilota automatico! Si ormeggia nella baia, si sistemano le cime, si mette il copri randa e poi il tendalino che ci ripara dal sole e infine  tutto è in ordine ….! Saranno le tre. Mi sdraio in coperta ansimante per la fatica e tutti siamo distrutti. Sarà la malattia, la Ciguatera, che ci debilita ma anche la fatica, il sole ed il vento  e soprattutto le tante ore di continuo lavoro che ci hanno messo tutti ko, senza nemmeno la soddisfazione della vittoria!

 
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