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SABATO  Ian McEwan

Post n°19 pubblicato il 04 Novembre 2006 da kymberley
Foto di kymberley

DESCRIZIONE

Henry Perowne è un uomo colto e curioso, un medico della buona borghesia britannica che trascorre le giornate ad operare sui crani dalla mattina alla sera: asporta meningiomi, interviene su ematomi subdurali, rimuove astrocitomi. Ha una moglie avvocato e due figli, Theo che fa il chitarrista blues e Daisy, giovane poetessa che vive a Parigi.
E’ un sabato di febbraio del 2003. Dopo una settimana di lavoro massacrante, Henry si sveglia all’improvviso e si avvicina alla finestra; l’improvvisa visione di un aereo in fiamme che squarcia il cielo di Londra lo induce a nuove considerazioni e introduce una crepa nelle solide certezze mentali del neurochirurgo, sempre così portato a dare spiegazioni razionali ai fatti della vita personali e sociali. La tanto attesa giornata di sabato, finalmente libera dal lavoro e da trascorrere con la famiglia, diventa per Henry una strada in salita, irta di ostacoli.
Henry incrocia per le vie di Londra un corteo pacifista contro la guerra di Blair in Iraq, si confronta duramente con la figlia e con un collega anestesista su quei temi, rivestendo con Daisy la posizione del “falco” guerrafondaio e col medico quella di “colomba” pacifista. La sua visione del mondo, da medico fiducioso nel progresso dell’umanità, viene incrinata da un altro grave episodio: un banale incidente d’auto con una banda di balordi, guidata da un giovane molto malato, diviene una seria minaccia che, alla fine di quel sabato, rischierà di distruggere tutta la sua famiglia. Così, quel che doveva essere un sabato senza stress, dedicato a squash, tempo libero e famiglia, si trasforma in un incubo zeppo di ostacoli.
Sullo sfondo di una Londra post undici settembre, Ian McEwan attraverso questa catena di eventi imprevedibili, vuole mostrare come sia fragile il nostro vivere quotidiano e, attraverso le metamorfosi del chirurgo Henry, rappresentare l’ansia dell’uomo contemporaneo di fronte a una società che è diventata “troppo” in tutto. Troppo piena di dolori, consumi, sollecitazioni ai quali l’individuo non sa dare risposta. Emerge così una nuova vulnerabilità umana, un’ incertezza insolita per la mente dell’uomo occidentale.

RECENSIONE

Sabato , l'ultimo romanzo di Ian McEwan, è un "pasticciaccio" lungo ventiquattr'ore, in cui un neurochirurgo londinese, Henry Perowne, passa (quasi) indenne attraverso una serie di vicende vertiginosamente affannate e affastellate, che cominciano via via a esplodere qualche ora prima dell'alba. Henry si alza dal letto prima del tempo, quando la città è ancora bloccata sotto "una gelida luce bianca"; è privo di esigenze fisiologiche, "sereno e inspiegabilmente euforico", lucido nel riconoscere i confini tra sogno e veglia, e pronto a calarsi all'interno di un panorama agghiacciante per metà "capolavoro biologico" per metà relitto trasformato in una follia tecnologica di tubi, cavi a fibra ottica, ingorghi automobilistici. In tutto questo, qualcosa ricorda un altro celebre "risveglio" - quello di Gregor Samsa trasformato in scarafaggio - con la differenza che qui il personaggio pare invece tramutarsi in una sorta di fibra sintetica che, pur nei panni di un uomo comune, non ha più niente di umano né di animale. Piuttosto, diventa un "occhio artificiale" capace di attraversare il tempo di un giorno e lo spazio di una città con la pretesa (però eccessiva e soffocante, direi anche infeconda) di contenere e raccontare tutto il nostro presente.
Non è casuale il riferimento iniziale all' Origine della specie , di cui Sabato sembra essere l'epilogo tragicomico, teso tra un faticoso grottesco e un poco convincente incubo da fumetto fantascientifico. Quanto succede in questo romanzo, nonostante l'impostazione curiosa, infatti, dà proprio la stessa impressione che il volume di Darwin dà a Henry, cioè che "un'intera vita possa essere contenuta in poche centinaia di pagine: imbottigliata come salsa fatta in casa". Solo che qui si tratta di un solo giorno. E non ha niente a che vedere con le indimenticabili giornate di Mrs Dalloway o di Leopold Bloom. In questa salsa c'è un po' di tutto, analizzato al microscopio: il viaggio nei tumori cerebrali, l'incubo dell'attacco terroristico e della guerra in Iraq dietro la cometa infausta di un aereo in fiamme che percorre l'alba londinese (è da questo "evento traumatico", pur descritto molto efficacemente, che si dirama il resto delle vicende) e i cortei dei manifestanti in giro per la città; la zuppa di pesce allestita a puntino per la cena con figli, moglie, suocero; la malattia intuita sulla palpebra di un teppista; la gravidanza inattesa della figlia Daisy. Il tutto in un crescendo che vorrebbe "disorientare", ma che alla fine stanca e diventa insensato. Insomma, sembra che gli ingredienti non riescano ad amalgamare, che la maionese "impazzi", condita qua e là da scorci nostalgici verso il passato, canzoni come il "blues strascicato" Tanqueray , poesie di Matthew Arnold e sonetti di Shakespeare. E chissà se è casuale, poi, che marito e moglie abbiano nomi dal sapore altrettanto shakespeariano: Perowne e Rosalind?
Che cosa è cambiato, allora, rispetto ai ben più convincenti successi di McEwan del passato, come Bambini nel tempo o Cani neri ? Da una parte c'è troppo compiacimento in queste minute descrizioni; dall'altra mancano il vuoto, il respiro e, soprattutto, sono scomparse quelle occasioni e immagini originali, intorno alle quali gli altri romanzi, pur apparentemente raccontando "storie banali", davano vita a inattese emozioni e a pensieri nuovi. L'ironia c'è, ma non basta, e ha poco a che vedere con lo spirito di quell' Herzog di Bellow citato all'inizio. E per quanto Sabato voglia essere una specie di incubo tra sogno e veglia (come recita uno dei sonetto citati), valga per il lettore il finale di Il giardino di cemento : "Ecco qua! (...) Ci siamo fatti una bella dormita", sperando di risvegliarsi nel suo prossimo romanzo. Con meno rumore.

 
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