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Creato da fritzwitt il 09/04/2009

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il mio comandante

Post n°17 pubblicato il 02 Settembre 2016 da fritzwitt

Il mio Comandante

Sedici settembre 2014. Cimitero monumentale “la Certosa” di Parma. Fa caldo e … non piove. “ E’ già qualcosa”- penso – “in una stagione matta come questa”.

Il verde smeraldo del grande prato dietro al cancello in ferro battuto nero, da un senso di serenità, come la grande chiesa romanica costruita dai Certosini, che sorge al suo bordo. Le   linee pulite ed essenziali e la forma imponente del tempio ispirano pace e ti parlano di un Dio Padre che ti difende e rassicura.

Isola di Sant’Elena settembre 1973. Ho sedici anni sono elettrizzato e teso perché sto concorrendo per raggiungere la mia aspirazione: entrare nel mitico Collegio Navale Morosini.

Dopo essermi fuso il cervello con le prove psico - attitudinali, per ammazzare il tempo, faccio un giro intorno al Collegio. Percorro i lunghi viali alberati che lo circondano immersi in quei silenzi irreali che si provano  solo Venezia, rotti solo dall’eco dei tuoi passi sul selciato e dall’eco di qualche vaporetto. 

Ad un tratto mi trovo di fronte ad una chiesa romanica, vecchia di quasi mille anni, dedicata alla madre dell’imperatore Costantino, Sant’Elena : i suoi mattoni rossi, consumati dall’accavallarsi dei secoli e dalla salsedine,  guardano al tempo con lontano distacco, indifferenti alle gioie e sofferenze di generazioni di uomini presi dalla ruota perenne della vita e della morte.  

Due chiese romaniche, due fotogrammi di vita.

Un piccolo gruppo di persone attende all’ingresso, all’ombra di una costruzione grigia ed anonima adibita ad uffici. Mi metto anch’io vicino a loro, anche se a qualche passo di distanza.

Noto un uomo calvo sulla quarantina: non ci sono dubbi, dev’essere il figlio del Comandante.

Fine di settembre 1973, primo giorno di collegio. Sala studio. Tutti noi pivoli sediamo con le nostre goffe uniformi nuove di pacca, ai  “banchini” assegnatici ,disposti per file ordinate. Su ognuno di essi è avvitata una targhetta con il nome dell’inquilino.

Il Comandante è seduto in cattedra con la sua divisa blu. Ha una testa che ricorda quella di Charle Brown , capelli radi biondi e due  profondi occhi azzurri.

Ci chiama uno ad uno per cognome, guardandoci in faccia.

Ci alziamo e ci presentiamo. Evidentemente ha “studiato” le nostre pratiche.

Siamo intimoriti e imbarazzati mentre rispondiamo sull’attenti. La sua voce è seria, senza inflessioni.

Ci guardiamo tra di noi, scrutiamo chi è fuori davanti a lui. E’ anche quello un modo per annusare un mondo così nuovo e strano.

La sera prima, in dormitorio, avevamo dovuto infilare tutta i nostri indumenti “civili” in un grosso sacco di iuta da spedire a casa. Roba da monaciJ

Ogni avventura ha un inizio: il nostro è partito così.

Dopo un po’il gruppo si muove in modo lento, senza fretta, sfilacciandosi lungo il viale coperto di ghiaia bianca che ti abbaglia per la luce intensa del sole.

All’altezza della chiesa appare il cimitero vero e proprio, popolato principalmente da cappellette o da lastre tombali su cui sono adagiate una folla di immagini sorridenti, incorniciate.   Vedo le espressioni spensierate di un popolo che non esiste più, se non nel ricordo: fotogrammi colti in momenti di relax e di serenità, messi lì per aiutarti a trasformare il dolore in una soffusa malinconia.

Sono in Collegio da una settimana. Stiamo imparando a marciare, a fare reciproca conoscenza innanzitutto con i compagni di classe, i professori e a tentare di sfuggire alle “feroci” caccie degli anziani.

E’ sera, prima di cena. Sono a studio. L’ufficiale di ordinanza mi chiama e mi dice che sono voluto dal Comandante.

Commino pensieroso lungo il corridoio semibuio con  il rumore dei tacchi che rimbomba sul pavimento di marmo. Mi fermo davanti alla porta di legno chiaro laccato, con due oblò che occhieggiano sui battenti, dove campeggia la targhetta “ Comandante primo corso “. Busso. “Entri”. Fatti pochi passi mi metto in piedi davanti a lui, ritto sull’attenti con la “pizza” stretta nella mano sinistra. La stanza buia è illuminata da una lampada a tavolo. Il Comandante è intento a leggere.

Non distoglie lo sguardo. Il silenzio è assoluto.

Il tempo passa interminabile. Ancora con la testa da ragazzo “borghese”, faccio per prendere una sedia messa davanti al tavolo. Il Comandante senza alzare lo sguardo mi dice con tono incolore: “ stia pure comodo sull’attenti”.

Senza fiatare mi riposiziono come prima. Dopo un po’ incomincia a parlare : “Blasi l’ho chiamata perché è morta una sua parente, sua nonna se ricordo bene. Domani mattina parta perché c’è il funerale. Ha un giorno di licenza”. Fine della comunicazione.

Non riesco a trattenere le lacrime. Tre anni prima era mancata mia mamma e la nonna, che mi coccolava da sempre, era diventata il mio punto di riferimento affettivo. In un attimo il mondo mi è precipitato addosso.

Con il senno di poi, mi sono convinto che lui non abbia, almeno in un primo tempo, creduto alla notizia:  avrà supposto ad una furbata combinata per sgamare un giorno di collegio, magari per nostalgia… Va a saperlo…

Il vialetto non è lungo. Le scarpe sfrigolano sulla ghiaia.

In lontananza mi accorgo della presenza di un piccolo gruppo di persone con una bandiera. Sono tre ex marinai dell’ANMI, anziani e macilenti, schierati con dignitoso piglio marziale davanti ad una cappella bianca simile a tante altre. Ci siamo.

Nel frattempo arrivano altre persone un po’ alla spicciolata. Il “capo” dei marinai chiede al prete di avvisarlo prima della recita della preghiera dei defunti perché devono alzare la bandiera.

Il gruppetto – saranno in una ventina – si raccoglie a semicerchio.

Tra di loro si staccano il figlio con una sportina blu in mano e la vedova.

Farneti junior appoggia l’involucro su un ripiano della cappelletta ed estrae un’urna di legno.

Fa un cenno al prete che dice qualche frase di circostanza.

Prima di iniziare la preghiera questi si volta verso gli ex marinai, il cui alfiere immediatamente solleva il vessillo.

Finito il momento religioso, è la volta di un amico del Comandante, anche lui in avanti con gli anni. Si muove pesantemente e con passo lento si pone davanti all’urna. Fa un breve discorso di commiato, ricordandolo nelle figure di padre, marito e servitore dello Stato. Ha la voce potente anche se il tono è incrinato dalla commozione. Conclude dicendo: “ a presto Giuseppe, a molto presto”.

Avanza poi davanti all’urna un altro amico, forse coetaneo, che recita la “Preghiera del Marinaio”. Nel silenzio  scandisce le parole con lentezza, soppesandole una ad una, come se volesse farla sentire al Comandante per l’ultima volta.

La ascolto con attenzione: è la sintesi di un credo, di una fede in una Nazione che ci appare ora tanto lontana, tanto diversa. E’ un momento toccante.

Nessuno di noi l’ha mai imparata in tre anni di Collegio, a parte Ramezzana, forse.

Tra i presenti c’è una ragazza vicino a me con gli occhi lucidi.

Io continuo a starmene in disparte. Sono dietro ad una signora che si è piazzata proprio davanti a me. Ha dei pantaloni bianchi aderenti, ma si sa … la vita continua… Vedendo quel posteriore, penso che il Comandante, che aveva un acuto senso dell’humor, in quel momento starà sorridendo.

Non abbiamo mai avuto un grande rapporto con il Comandante. Era una persona riservata con un carattere piuttosto chiuso. Certamente non aveva un compito facile, perché gestire un gruppo di adolescenti non lo è mai, e forse giustamente, ha sempre voluto lasciare un cospicuo margine di distacco tra noi e lui fino alla fine del triennio.

 Mi avvicino al figlio e mi presento: ”sono Blasi un ex allievo di suo padre al Morosini”. Mi da la mano: “ Ah il corso Polaris! Ricordo benissimo! Ero molto piccolo.”

Successivamente circola tra le persone un quadernone per le dediche. Ne scrivo una a nome del Corso.

Un manovale del cimitero sistema l’urna in un loculo e la chiude con dei mattoni. In quel mentre gli suona il cellulare: ”sono impegnato: sto facendo una tumulazione. Ti richiamo dopo”. Chiaro scuri. La banalità della vita e della morte…

La cerimonia è finita. Saluto anch’io il Comandante.

Il gruppo lentamente sciama via. Il sole è già nella parabola discendente.

Un altro giorno sta per finire. Resto solo con i miei pensieri sfuocati dal tempo a rivedere un film ripreso tanti anni fa, con i fotogrammi ora ingialliti, ma che mi provoca tuttora delle emozioni che mi accompagneranno per sempre.

 

 

 

 
 
 
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