Per aspera ad astra

alpinismo , mountain bike e avventura

Creato da fritzwitt il 09/04/2009

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Un'avventura "speciale"

Post n°18 pubblicato il 02 Settembre 2016 da fritzwitt

Un’avventura … speciale

Tutto era incominciato in modo anonimo, direi banalmente normale.

 Da alcuni anni le analisi del sangue presentavano degli “asterischi”, che, poi, in quelle successive sparivano. Il medico di base diceva che non c’era alcun motivo da preoccupazione, ed io andavo avanti sereno nella mia vita anche perché non sentivo nessun disturbo.

In realtà gli unici valori che restavano ( un po’) fuori norma erano quelli del PSA. E’ stato così che il medico di fabbrica l’altr’anno mi ha detto: “Francesco, non sarà nulla, ma perché non ti fai vedere da uno specialista?”

L’urologo – ero alla mia prima esperienza -, mi ha fatto distendere supino su di un lettino e, indossato un guanto ( colore di quelli che usa mia moglie per lavare i piatti ) ha eseguito (ahimè) l’esplorazione rettale. Vedendolo prepararsi all’”azione”, mi è balenato in mante un flash sui racconti di naja negli “Alpini” di Stefano. Parlava del veterinario che, chiamato per rimettere a posto un mulo, si infilava un guanto lungo quanto il braccio, che poi cacciava nel posteriore dell’animale per ravanargli nell’intestino … La bestia immediatamente si rialzava risanata!

 La diagnosi è stata rassicurante. “Non sento niente”- mi ha detto – “fatti un mese di antibiotici e poi ci rivediamo con delle nuove analisi”.

Al successivo rendez vous, il risultato non era cambiato. Il medico si è nuovamente mostrato tranquillo: “ritorna tra qualche mese e, se i valori restano sempre gli stessi, vuol dire che  – come tanti- hai semplicemente la prostata ingrossata”.

Nel terzo appuntamento i risultati delle analisi del sangue erano pressoché immutati. Ho risubito l’esperienza del “mulo”( con i medesimi commenti: “non sento nulla”), ma, questa volta lo specialista mi ha sorpreso mormorando: “stavolta facciamo così : ti prenoto una biopsia e, ti do anche una dieta”, e mi ha consegnato un foglietto con un elenco di cibi ammessi e vietati.

La dieta sembrava uscita da una bottega di macrobiotica, formata com’era da alimenti integrali e pesce “pescato”con eliminazione totale della carne, del latte e derivati e  dei prodotti con farina “bianca”.

Sono rimasto perplesso: uno i conti non mi tornavano:” perché – mi domandavo – mi hai sempre rassicurato che tutto era normale e ora mi sottintendi la possibilità di un tumore?” Due ‘sta dieta “delle balle” era assolutamente impossibile da seguire e mi sembrava qualcosa di “talebano” : ogni giorno tè verde e tre cucchiaini di salsa di pomodoro “obbligatori”. Mancava solo la salsapariglia dei puffi!

Quando ho scoperto poi che la biopsia mi era stata prenotata all’ospedale di Monselice, in cui un mio conoscente ci aveva quasi rimesso le penne per “mala sanità”, ho deciso di prendere in mano la situazione.

Sentiti vari pareri, su indicazione del nuovo medico di fabbrica mi sono rivolto a Padova, alla dottoressa Fracalanza, che , nonostante la iniziali difficoltà di contatto, mi ha procurato l’appuntamento per la biopsia.

Il giorno fatidico mi son trovato così su di una “cavalchina” a gambe divaricate, con Lei, “mia” la medichessa ( ci eravamo appena presentati elargendoci un sorriso di circostanza ) seduta di fronte in piena zona “panoramica”, che mi puntava una siringa di anestetico  proprio sotto i testicoli, trattenuti in modo spasmodico dalla mia mano destra igienicamente guantata. “ Non si preoccupi- mi ha detto in modo gentile e professionale  – sentirà un po’ di dolore , l’unico dell’intera “operazione”. E’ un po’ come quando va dal dentista”. Attimo di terrore. Poi la fitta ( veramente erano due ) acuta - che è durata qualche interminabile istante – in realtà sopportabile, anche se “ … il dentista non mi ha mai punto sotto le palle!” ho sussurrato in una smorfia contraendo le labbra.

Dopo un mese di attesa, ho ritirato gli esiti allo sportello del CUP dell’ospedale S. Antonio: carcinoma su alcuni frustoli di prostata.

 A cinque ore dall’apertura della busta con il verdetto fatidico, “il mio angelo custode” mi ha “piamente” accolto nel suo studio. Con la solita professionalità, ma con negli occhi un’espressione del tipo “come glielo dico”, mi ha confermato che ( ahimè ) il “male” c’era. Bisognava operare.

E’ come se fossi stato spinto improvvisamente giù nel blu scuro del mare profondo dell’emozione.

“E’ più facile che lei muoia travolto da una macchina, piuttosto che di questo”, ha voluto rassicurare Simonetta, tentando di farmi riemergere alla realtà schiaffeggiandomi con una frase ad effetto. Ma la mia attenzione era ormai lontana, catturata dalle parole di quella sentenza, che naturalmente avevo considerato e temevo ma da cui, in fondo,  speravo di essere risparmiato. Era proprio vero: una cosa è pensare, un’altra sentire.

I giorni successivi sono stati di assoluto impegno per i miei due emisferi del cervello, in cui a momenti di riflessione sui “rischi, benefici e conseguenze dell’operazione” ( come in un piano aziendale ) e sulla relativa strategia da adottare, si alternavano - come nuvole che si rincorrono veloci nel cielo, rubando e restituendo la luce del sole - spazi in cui scorazzavano folate di morte e di vita.

Così un venerdì qualunque per molti – ma non per me – a meno di due mesi dalla biopsia sono entrato in ospedale per l’intervento che si sarebbe svolto “intra moenia” il giorno dopo.

Con due borsoni, come se fossi stato in uno dei cento hotel dei miei viaggi per lavoro, ho premuto il tasto del terzo piano, con destinazione , però,“Urologia”.

La vita intorno a me scorreva normale, banalmente placida. Nel gran calderone del mondo ogni giorno nascono, muoiono, si amano e si uccidono uno sterminato numero di persone. Quello stesso giorno verrà ricordato da qualcuno come il più bello, per altri sarà il peggiore, per la maggior parte semplicemente uno come un altro … Fin quando non tocca a te … considerarlo speciale.

La stanza di due letti era ampia e luminosa con una TV  a schermo piatto su di un angolo in alto. Dopo aver fatto analisi del sangue, ecografia ed elettrocardiogramma ho sistemato le mie cose in un paio di stipetti.

Avevo terminato da poco i controlli quando è entrato un medico dall’accento meridionale che, con toni asciutti, mi ha descritto l’operazione, tracciando anche un disegnetto per mostrarmi dove, come e cosa mi avrebbero asportato.

Ho anche conosciuto il chirurgo, il primario, dott. Dal Bianco, che – come nei film di Sordi – ha fatto il suo ingresso in scena seguito da un corteo di medici e infermieri. Il tipo che avevo incontrato la mattina gli ha brevemente descritto la mia situazione alla luce delle ( buone ) analisi appena fatte. Il “capo” con un laconico “bene” ha assentito rivolgendomi un sorriso rassicurante prima di continuare presso un’altra stazione di questa “via Crucis” sui generis.

Nel pomeriggio mi ha raggiunto anche mio fratello dalla Spagna, proprio quando un cortesissimo infermiere con un rasoio elettrico in mano si è diretto verso di lui per invitarlo a incominciare a radersi dall’ombelico in giù … mentre io ero in bagno J!

La mattina dopo poco prima delle otto è arrivata Marina accompagnata da Piero.

Qualche istante più tardi sono entrati due paramedici per trasportarmi in sala operatoria. Le lenzuola del letto erano la testimonianza più evidente di una notte “sofferta”, tanto apparivano strapazzate e intorcolate! Avevo già addosso la camicia da operazione, puntellata da dei disegnetti colorati – motivetti azzeccati per sdrammatizzare l’evento.

Nell’uscire dalla stanza, disteso sul letto, l’emozione ha preso il sopravvento. Per qualche istante, dopo aver fatto e ricevuto un gesto di saluto, come prima di salire sul treno per un lungo viaggio, mi è venuto un groppo in gola e un paio di lucciconi hanno velato per un momento i miei occhi.

Nell’ascensore gli infermieri parlavano del più e del meno, in quella loro  normalissima giornata di lavoro, aiutandomi inconsapevolmente a stemperare la tensione.

Sono rimasto per un po’parcheggiato in un freddo corridoio. Poi, delle giovani, carine e cortesi infermiere, con i capelli raccolti in fazzoletti con dei motivi simili a quelli del camiciotto che indossavo, mi hanno aiutato al trasbordo sul tavolo/carrello operatorio.

Vivevo con intensità quei momenti per me del tutto nuovi.

Ora tenevo le braccia incrociate sull’inguine, avvolto com’ero nelle lenzuola e coperte, perché sul piano non ci stavano.  Una volta sotto le lampade, ancora spente, si è presentato, con un sorriso gentile, un occhialuto anestesista munito anche di … carta e penna, per propormi di firmare la liberatoria … “Quando andrò nell’aldilà San Pietro mi farà sottoscrivere qualcosa ?”- mi son chiesto. Prima di invitarmi a ruotare appoggiato sul lato sinistro per la “spinale”, lo stesso medico mi ha anche offerto l’opportunità di un’iniezione che mi avrebbe permesso di “essere profondamente rilassato”. Ho accettato con gratitudine.

Il ricordo successivo è stato al momento della cucitura. Ho riaperto gli occhi: di fronte a me un telo bianco: provavo la  strana sensazione di come se qualcuno  mi stesse rammendando i calzoni addosso.

Poi sono stato movimentato fuori. C’erano Piero e Marina. Negli occhi mi è venuta la nuvoletta del fumetto con scritto “grazie”! Non ho memoria di dolore .

In stanza mi sono trovato “pieno” di tubi … sembravo Robocop. Il catetere pendeva alla mia sinistra. Sul braccio dello stesso lato una soluzione nutritiva mi entrava direttamente in vena da un tubo di plastica trasparente, su cui c’era un raccordo ( tipo il trivio per computer, telefono e stampante ), poi usato per iniettarmi l’antibiotico e un altro antidolorifico. Sempre alla mia sinistra si appoggiava, a lato della pancia, un sacchetto con del sangue scuro proveniente dal drenaggio mentre sulla schiena … finalmente a destra … un tubicino mi iniettava dell’antidolorifico.

Nel pomeriggio è apparsa la sagoma “familiare” del chirurgo (che può ricordare vagamente un Casini, ma più basso ): “ è andato tutto bene, ci vediamo lunedì” – mi ha comunicato con un sorriso – sparendo subito dopo.

E’ così incominciata una settimana “diversa”, che mi ha visto protagonista di un ruolo ed un’esperienza nuovi.

I ritmi degli ospedali, forse, si assomiglino un po’ tutti: sveglia prestissimo, poco dopo le 6.00 per misurazione della febbre e pressione; a seguire colazione, primo giro di medicine intorno alle 9.00 ( antibiotico e svuotamento catetere e sacchetto del drenaggio),  visita brevissima di un medico per controllo cartella e … anche per essere preparato ad eventuali domande del primario che lui precederà – come l’araldo fa strada al re - guidando, dopo un po’, il corteo.

Nel frattempo riassetto letti e pulizia stanza prima del pranzo servito, verso le 12.30 da una cameriera in completo “aziendale” de “La Serenissima”.

Nel pomeriggio rifà capolino un medico, puliscono nuovamente la stanza. E’ la volta quindi degli infermieri che ti vengono a trovare prima dei riti della sera: cena alle 18.30, poi antibiotico e punturina di anticoagulante, antidolorifico e 20 gocce di “invito al sonno”…

In realtà la giornata non si esauriva in un’asettica tabella di marcia, in un banale gioco di ruoli, in cui c’era qualcuno che stava da un lato per lavoro e un altro che si trovava dall’altro per necessità.

Shakespeare diceva che la vita è una commedia, dove recitiamo diverse parti a seconda dei momenti della nostra esistenza. Anche se il copione è piuttosto arido, come in ogni piece che si rispetti, la differenza la fa, quindi, la qualità degli attori.

 Io sono stato colpito dalla gentilezza delle persone che mi sono state vicine, la cui cortesia, il più delle volte non era solo “buona educazione”, ma spontanea sensibilità.

Penso che ricorderò per sempre quella giovane infermiera con i capelli lunghi, un po’mossi che le scendevano sulle spalle. Non so il suo nome, né l’ho più rivista. Si è occupata di me nel tempo dell’intervento e nella giornata successiva. Di notte veniva a vedere come stavo. Entrava in stanza con delicatezza, senza far rumore. Con la pila mi si avvicinava e, messami una mano sulla spalla – per evitare un eventuale risveglio brusco – scostava le lenzuola per controllare il drenaggio, e, poi uscendo mi rivolgeva un sorriso accarezzandomi con le dita della mano lungo la gamba. Quei momenti di così profonda dolcezza mi hanno risucchiato nel vortice del tempo, immergendomi nelle sensazioni e percezioni – mai più provate – di quando da bambino la mamma mi stava vicino, da malato, e avvolgendomi con un rassicurante velo di affetto, mi trasmetteva sicurezza e serenità.

Ma anche tante, direi, veramente tutte le altre infermiere, mi hanno curato con professionalità e delicatezza. Mi ricordo pochissimi  nomi:  Valentina, Silvia, la camerunense Flores che, un po’ impacciata nei movimenti, ce la metteva tutta per svolgere il suo compito nel migliore dei modi sotto lo sguardo attento della sua tutor. Non mi dimenticherò certamente dell’”amico” Paolo (?) –  ho impressi visi e sguardi, piuttosto che nomi di cui  neanche mi interessava leggerli sulla targhetta di stoffa – con cui ho condiviso riflessioni sulla “specialità” del ruolo del paramedico che è – e deve essere – innanzitutto orientato alla persona, prima che all’oggetto della sua azione professionale.

In un momento particolare essere trattato in un modo umanamente adeguato è molto importante, lo stavo sperimentando, e quegli “attori” – riprendendo a prestito il teatro - lo avevano capito bene quando, aperta la porta ti rivolgevano un bel sorriso condito dal “buongiorno”, chiedendoti come stavi.

E i medici ? … A parte il “mio angelo custode”, la dottoressa Simonetta Fracalanza, che sapevo che “vegliava su di me”, ne sono stato a contatto molto poco, specialmente perché – grazie a Dio- mi sono sempre “sentito bene” e, quindi non avevo bisogno del loro intervento specialistico. Nelle loro fugaci apparizioni, comunque, si sono sempre rivolti in modo cortese e rassicurante.

In guerra i più decorati sono sempre i generali, per le loro strategie vincenti. Seguendo questa logica la “croce di cavaliere” la devo  assegnare senz’altro al dott. Dal Bianco perché ha saputo organizzare e condurre un team così efficiente, capace e sensibile alle necessità delle persone sofferenti ( cd pazienti ).

Così è finita la “commedia”. Sintesi: standing ovation per tutti.

Ritornando a me, e per finalmente (… era ora!) concludere queste considerazioni, dal giorno dopo l’operazione, da quando ho rimesso i piedi per terra, mi si è aperto un altro capitolo: obiettivo “ ritornare normale”attraverso la riabilitazione. E’ un capitolo nuovo dove i piccoli successi quotidiani hanno il sapore delle grandi conquiste.

Ora, a due settimane dall’intervento, sono riuscito immediatamente a camminare, mi hanno tolto il catetere, il drenaggio e perfino i punti … Sto migliorando anche dal punto di vista dell’”idraulica”! Cosa posso pretendere di più?

Che avventura misteriosa e affascinante è la vita e … anche piena di ironia.

 Io la penso come il” vecchio grande” Shakespeare.

 

 

 
 
 
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