Post n°418 pubblicato il 20 Marzo 2014 da giovanedestra_lecco
IL NUOVO MODELLO DIFESA 2015-2020 NUOVE PROSPETTIVE DI POLITICA MILITARE . . In questi giorni Finmeccanica , ovvero la più grande industria bellica del paese ha annunciato il ritorno all'utile dopo due anni di profondissimo rosso. La ristrutturazione tuttora in corso è avvenuta a costo dell'alienazione di due gioielli del gruppo: ansaldo breda e ansaldo sts. Sebbene queste due aziende non producessero direttamente armi, il marchio Ansaldo fa parte della storia dell'industria militare italiana. Si pu dire quindi che la piccola ripresa in atto e manifestatasi nei conti positivi di Finmeccanica rischia però di essere solo un fuoco di paglia visto i mutamenti di scenario che si profilano all'orizzonte: in primis il nuovo modello delle forze armate che vede un drastico ridimensionamento dell'organico, ovvero il fatidico numero dei 140.000; in secondo il taglio del programma f35 avrà un invetiabile e drastico ripercussione in termini di taglio di commesse di cui avrebbe beneficiato l'industria militare per via degli accordi del consorzio di costruzione stesso. All'interno di Finmeccanica saranno quindi particolarmente penalizzate alenia difesa e meteor, nonchè agusta westland. Inoltre, si può anzi dire che il taglio del programma f35 avrà ripercussioni che andranno ben oltre il programma stesso, rendendo cioè particolarmente difficile l'ingresso delle armi italiane nel ricco mercato americano. Non solo, visto che la concorrenza nell'aviazione, sinonimo di eccellenza industriale, è ormai elevatissima e viene anche dai paesi periferici, rispetto alle geografie tradizionali dell'industria mondiale. La corazzata indiana Hindustan Aereonautics ha quasi 34 mila dipendenti e ha sviluppato due caccia supersonici, la Russia produce il sukoi superjet 100, la Cina ormai assembla un quinto degli Airbus, il 7 marzo la brasiliana Embraer ha celebrato il decennale degli e-jets, campioni dei veicoli da 70 a 130 posti Un mercato che aveva invece dato notevoli soddisfazioni a metà del primo decennio 2000, quando Finmeccanica dopo aver vinto la gara per la fornitura degli elicotteri presidenziali (23 di numero) , nel 2007 vinse quella per l'aereo di trasporto dell'esercito c27J (205 velivoli) le cui ali vennero fabbricate da aermacchi. Nello stesso tempo Beretta diventava tra i primi fornitori delle forze armate USA, così come Fiocchi Munizioni. Se al mercato estero aggiungiamo la drastica flessione delle commesse nazionali che continuerà anche per il futuro, allora s'intravede un contesto assai ostile. Basti pensare che dal 2002 ad oggi, la spesa d'investimento in sistemi d'arma si è mantenuta stabile intorno ai 3500 milioni di euro, mentre le spese per il personale sono aumentate quasi del doppio. L'italia destina solo lo 0,66 per cento del pil alla difesa, quando gli Usa viaggiano sul 4% (540 miliardi di dollari), la cina è passata da 14, 6 miliardi di dollari del 2000 a 100 del 2014, la Russia viaggia sui 61 miliardi di dollari, la gran bretagna oltre il 2,3, 62 miliardi di dollari, il giappone 49 miliardi, la Francia 62 miliardi di dollari, la germania l'1,10 pari a 45 miliardi di dollari, l'India 32 miliardi, l'Italia 27. Le spese di esercizio invece non riescono a garantire che un minimo mantenimento in funzione delle dotazioni militari, basti pensare che alle truppe corazzate e di fanteria servirebbero 70 milioni all'anno per gli addestramenti ordinari ( munizioni e carburanti) ma ne ricevono solo 2. Così come per gli autoblindo lince, di cui l'esercito ne dispone 1150, ma di cui ne sono operativi solo la metà. Il costo di mantenimento in contesti operativi come afghanistan e libano raggiunge i 15.000 annuali di manutenzione su mezzi il cui costo si aggira su 300.000 euro. Stesso ragionamento vale per gli elicotteri di cui l'esercito ne dispone 246, di cui ne servirebbero 110 milioni annuali per la manutenzione quando ne arrivano 10. Possiamo quindi aspettardi che le commesse della Marina Militare nei prossimi anni, riguarderanno solo semplici ammodernamenti, e nessun grande investimento, giugendo a termine i programmi iniziati a inizio anni 2000, in particolare con gli 1,2 miliardi spesi per la portaereri cavour. Verranno a breve inaugurate le 10 fregate multiruolo che sostituiranno la classe maestrale oltre al Doria e al Caio Duilio, già varati. Altri due sommergibili delle classe Todaro oltre ai due già varati (Todaro e Scirè, costati 600 milioni di euro). Stesso discorso per la componente aerea che vedrà sostituiti gl AB 212 da 36 nH90, gli sh3d saranno sostituiti da 24 eh101. Inoltre sarebbero in procinto di acquistare 20 jsf a decollo verticale che sostituirebbero gli Harrier (av8b). Stesso discorso per l'aereonautica che vedrà sostituire gli amx dal 2018 e i tornado dal 2025, con 109 jsf. Il problema del comparto resta così sempre quello, il salto di qualità e dimensionale, perchè il gruppo Finmeccanica rispetto ai competitori esteri risulta sempre troppo piccolo, in un contesto dove diventa profondamente antieconomico soddisfare domande di armamento con produzioni esclusivamente nazionali. in tal senso si può dire che è stato un totale fallimento la creazione di OCCAR, ovvero un ente europeo per la collaborazione negli , così come il tentativo di creare almeno un consorzio tra aereospatiale, dasa, casa, ba e alenia , sul modello del consorzio Panavia creato a suo tempo per la costruzione dei Tornado Un tipico esempio di questo discorso è stato dato dalla produzione del m-346 aermacchi, velivolo addestratore di produzione interamente italiana che ha potuto contare internamente solo di un misero ordine di 14 velivoli da parte del ministero della difesa e dello sviluppo economico. Gli stati uniti, veri maestri di politica industriale e militare hanno favorito invece negli anni una concentrazione attorno a solo tre poli industriali (locchhead martin, Laarl, Northrop)- (Hughes- texas instruments- Raytheon) - (boing Mc Donnel- Rockwell). Ad oggi si può affermare che il comparto bellico italiano risulta così costituito: Finmeccanica con 20.000 addetti (otomelara, aermacchi, alenia difesa, Meteor), Fiat sezione difesa con 4000 addetti, Marconi Italiana con 2000 addetti, Fincantieri, Iveco veicoli militari, Beretta, Franchi, Elettronica spa. |
Post n°417 pubblicato il 01 Dicembre 2013 da giovanedestra_lecco
GAS NOSTRUM PIANI DI GRANDEZZA ITALIANA NEL MEDITERRANEO .
Quando nell'ottobre 2012 ai tecnici del ministero dello sviluppo economico giunse l'ordine di redigere un piano energetico nazionale (PEN), gli obiettivi che il governo si attendeva erano molto modesti: posto che realizzare l'indipendenza energetica per un paese come il nostro, trasformatore e privo di grandissimi giacimenti, fosse un miraggio irraggiungibile, le aspettative si limitavano a diminuire la dipendenza dall'estero aumentando l'estrazione di idrocarburi dal sottosuolo, passando dal 10 ad almeno al 20% del fabbisogno nazionale annuo; in secondo luogo l'obiettivo era quello di diverisificare le fonti di approvvigionamento; il terzo quello di migliorare l'integrazione del mercato italiano del gas con quello europeo. Lo scenario geopolitico e geostrategico in cui collocare il piano (P.E.N) era quello di un mondo caratterizzato da una domanda europea di energia e gas crescente, con una produzione interna invece in declino e quindi dove tutti i paesi dell'unione nel giro di pochi anni sarebbero dipesi da fornitori esterni. Uno scenairo della geoenergia dove la Cina sarebbe diventata entro il 2030 il maggior consumatore di petrolio, mentre gli Usa avrebbero realizzato l'autarchia energetica entro il 2015, e la Russia sarebbe diventata il maggior esportatore di petrolio e gas al mondo. Uno scenario, dove a partire dal 2020 sarebbero arrivati sul mercato europeo anche le grandi quantità di shale gas estratto coi nuovi metodi di fracking dai paesi del golfo e dagli Stati Uniti d'America. Tuttavia, quando i tecnici del ministero dello Sviluppo Economico presentarono al governo il P.E.N , quest'ultimo si accorse che i risultati travalicavano ogni aspettativa. Innanzitutto, l'Italia era già notevolmente diversificata in termini di fonti di approvigionamento: a sud i gasdotti Transmed dalla Tunisia (di proprietà ENI operativo dal 1981 con 33,5 mld di metri cubi di capacità) e Green Stream dalla Libia (di proprietà ENI, operativo dal 2004 con 10 mld di metri cubi di capacità), e infine GALSI ( in costruzione dalla Tunisia verso la Sardegna, di proprietà Enel ed Hera con 8 mld di metri cubi) garantivano ampiamente le forniture dal Nord Africa. I tre grandi rigassidicatori collocati rispettivamente nei porti di Livorno, La Spezia (Snam), Rovigo (Edison) garantivano a loro volta la fornitura e la trasformazione del Gas Liquido proveniente dal medioriente, in particolare dal Qatar. A Tarvisio l'allacciamento con il gasdotto austriaco TAG (di proprietà Cassa Depositi e Prestiti, con 36 mld metri cubi di portata) presidiava la fornitura del Gas proveniente dalla Russia attraverso le condutture Ucraine (Naftogas). Infine l'allacciamento di passo Gries permetteva l'importarzione del gas dai mari del Nord attraverso TRANSITGAS (20 mld metri cubi di capacità, un tempo di proprietà ENI, poi ceduta alla belga Fluxis) Posta quindi questa particolarissima concomitanza di cause favorevoli, ossia una posizione geografica unica in prossimità delle fonti di approvvigionamento, ma allo stesso tempo ancorata al centro dell'Europa; così come la presenza di SNAM, ovvero un operatore integrato in tutte le attività regolate (trasporto, rigassificazione, stoccaggio, distribuzione), secondo le indicazioni del PEN sarebbe bastato un semplice ampliamento di portata del gasdotto SNAM sulla dorsale adriatica, così come una modifica dei punti d'entrata presso Tarvisio e passo Gries (rendendo reversibile il passaggio del gas non solo in entrata , ma anche in uscita) per fare dell'Italia non più un mero importatore di gas, bensì una prima grandezza nello scenario internazionale dell'energia, affidandole una dimensione di hub centrale e strategico del commercio di gas nel Mediterraneo, e un ruolo nodale nel sistema energetico euroasiatico. In particolare, nel piano del ministero dello sviluppo economico la rete nazionale SNAM si sarebbbe trasformata da semplice mezzo di dispacciamento interno del gas importato dall'estero, a vero e proprio mezzo bidirezionale di interscambio tra varie forniture di gas dall'Africa e dall'Asia verso altri paesi europei. L'Italia si sarebbe così caratterizzata come Hub inteso nel senso più completo del termine, quindi non solo come luogo di transito del gas verso il centro e il nord europa, ma anche come luogo di stoccaggio, e infine come sede stabile di impianti di rigassificazione per trasformare quello liquefatto portato via mare. Un Hub mediterraneo che avrebbe indebolito e soppiantato per importanza quello austriaco di Baumgarten, divenendo il contraltare SUD del grande hub europeo del nord: quello di Zeebrugge di proprieà della belga Fluxis. Tuttavia, per rendere totalmente realizzabili le ambizioni italiane mancava ancora un tassello indipendente dalla volontà del nostro paese e dalla sua classe dirigente. Era necessario infatti che la rete italiana venisse scelta anche come punto di arrivo dei due nuovi gasdotti in costruzione provenienti dall'Asia Caucasica, in particolare dalla regione del Mar Caspio. Che i piani del PEN non fossero voli pindarici, o futuristiche e irrealizzabili dissertazioni lo si vide pochi mesi dopo: nel novembre del 2012 l'accordo tra i membri del consorzio South-Stream (Gazprom + ENI e altrì) scelse l'Italia e in particolare Tarvisio come punto di arrivo del gas russo proveniente dal Caspio. Non solo, pochi mesi più tardi a Baku nel giugno del 2013 inaspettatamente il consorzio di sviluppo del mega giacimento di Shah Deniz (anch'esso posto sulle sponde del Mar Caspio) optò per la TAP (trans adratic Pipeline) e quindi scegliendo la rete italiana come punto di approdo finale). Il tutto rigettando il progetto alternativo "Nabucco West", sponsorizzato dai vertici dell'unione Europea e dagli Stati Uniti d'America al fine di far transitare il gas azero attraverso i paesi balcanici amici degli USA. A far propendere per queste due scelte strategiche utili ai piani di grandezza mediterranea dell'Italia oltre a ragioni di costo (per il TAP 500 km in meno di tubi per un risparmio totale di 5 miliardi di dollari; per South Stream circa 70 km in meno di condutture) vi furono complesse ragioni geopolitiche favorevoli al nostro paese. Gli Stati Uniti nel loro “Piano Strategico "2007-2012" per la prima volta dopo la fine della guerra fredda avevano definito come propria priorita’ strategica il contrasto della crescente influenza della Russia nel mercato globale dell’energia e di volere per questo “impedire l’unione energetica di Russia ed Europa”. A tal fine si sottolineava la necessita’ di costruire gasdotti dalle regioni non russe del Mar Caspio e dalle repubbliche caucasiche verso l’Europa occidentale, aggirando in tal modo la Russia. In particolare, a livello strategico la regione del Caspio e del Caucaso erano tornate in auge ai primi del 2000 dopo aver perso d’importanza per via dell’esaurimento dei giacimenti di Baku durante la seconda guerra mondiale. Guarda caso era stata la compagnia British Petroleum (metà capitale usa e metà inglese) a riportare per prima la scoperta di nuovi depositi al largo della costa, tanto da affermare che il Caspio contenesse almeno 48 miliardi di barili di greggio (ovvero una quantità di gas maggiore del Nordamerica e del Sudamerica e più petrolio dell’Asia). Di contro la Russia aveva assoluto interesse a monpolizzare le forniture di gas verso Europa e Cina prima del 2020, ovvero prima che i grandi giacimenti del Caucaso iniziassero a pompare gas in tutte le direzioni e prima che i vertici dell'Unione Europea di concerto con gli USA potessero implementare una strategia opposta di ridemsionamento dell'influenza Russa: non solo quindi costruendo gasdotti dal Caspio anti-russo verso l'Europa, ma anche costruendo un corridoio nord sud di gasdotti per irradiare in tutta Europa il gas liquefatto importato da Qatar, Norvegia e Stati Uniti D'America, giunto via mare ai rigassificatori di Swinoujscie in Polonia e a quello dell'isola croata di Krk. La controffensiva russa in campo geonergetico si dispiegò tramite la costruizione di due nuovi moderni gasdotti che avrebbero collegato direttamente Russia ed Europa, anticipando quelli di matrice americana, e al contempo depotenziando il vecchio Naftogas ucraino non più controllabile da Mosca, in quanto di proprietà della instabile e infedele Ucraina. Tali gasdotti sarebbero stati: il Nord Stream per arrivare direttamente in Germania dai mari del Nord aggirando Polonia e paesi baltici invisi al Cremlino; secondariamente il South Stream che avrebbe collegato il Caspio Russo all'Europa Balcanica amica della Russia (Bulgaria, Serbia in particolare) giungendo fino all'hub strategico di Baumgarten in Austria. Infine, proprio l'acquisizine della proprietà dell'hub di Baumgarten attraverso la corazzata Gazprom avrebbe chiuso il cerchio dei piani geoenergetici del Cremlino. Infatti, tramite il controllo di questo centro nevralgico di smistamento posto al centro Europa, Gazprom avrebbe impedito che l'Ucraina potesse pomparvi attraverso le vecchie condutture il gas proveniente dal Caucaso non russo. E' bene ricordare che prorpio in quel periodo, nel 2008, quando Gazprom conquistava la maggiornza di Baumgarten contemporaneamnte Mosca scatenava la guerra contro la Georgia, rea attraverso la costruzione del oleodotto BTC Baku-Tbilisi- Ceyan di voler giocare in proprio una sua partita geoenergetica. Ecco allora spiegato il perchè della favorevole congiuntura geopolitica che portò negli anni l'Italia a divenire la meta finale prediletta dei gasdotti provenienti dall'Asia Caucasica. Fatto salvo che gli americani con la costruzione di una conduttura Baku-Europa controllata da British Petroleum avevano comunque raggiunto l'obiettivo minimo di indebolire il monopolio russo, per Mosca si trattava di far vincere all'interno del consorzio di costruttori l'alternativa tra TAP e Nabucco che danneggiasse meno i suoi interessi. In tal senso Il TAP con una portata di soli 10 mld di metri cubi avrebbe convogliato in Europa appena il gas di Shaz Deniz, mentre il Nabucco con una portata tripla avrebbe potuto convogliare verso l'Europa anche il gas di altri giacimenti del caucaso e del medioriente, difatto rendendo l'Europa meno dipendente dal Cremlino. Facile quindi che in seno ai soci di Sha Deniz le pressioni russe spostarono la decisione verso il TAP (Bp al 28% e la turca Tpao al 7% espressione degli interessi americani, mentre Lukoil al 10% e la norvegese statoil 10% del Cremlino). Per quanto riguarda la scelta dei Russi di far arrivare in Italia il gas del South-Stream, essa dipese dalle contromosse dell'Unione Europea in seguito alla conquista russa dell'Hub di Baumgarten e al dispiegarsi della sua offensiva. L'ordine impartito dalla commissione europea a Gazprom di cedere il controllo dell'Hub di Baumgarten per ragioni di concorrenza spinse Mosca ad aggirare quell' hub divenuto ostile ai propri disegni egemonici favorendo la nascita di un hub più a Sud che vedesse un punto d'appoggio nella fedele alleata ENI. Non solo, ma sfruttando la rete italiana di SNAM e quella della sulla alleata belga Fluxis, il Cremilino avrebbe potuto portare direttamente nel cuore dell'Europa il suo gas, anticipando e battendo sul tempo il progetto euro-americano di costruzione di un corridoio nord-sud intraeuropeo. In conclusione quindi, va detto che solo la fortunosa concomitanza di queste ragioni geopolitiche hanno permesso all'Italia di recuperare una centralità geostratetica da sempre ambita nel Mediterraneo. Il tutto è avvenuto senza nessun ruolo attivo da parte del governo di Roma che anzi si è limitato quasi sempre ad assistere alla contesa tra stati e operatori privati, pur di non ostacolare gli interessi dei ropri referenti atlantici. Eppure, nonostante questa inerzia, si può affermare che il risultato finale è senza dubbio contrario agli interessi geopolitici americani, da sempre coincidenti con quelli delle elites burocratiche di Bruxelles. Il tentativo dell'unione Europea e USA di contrastare i piani strategici russi, prima con il divieto a Gazprom di controllare Baumgarten, poi con il progetto alternativo di Nabucco west, poi con il corridoio nord sud hanno solo minimamente limitato l'offensiva Russa, di contro favorendo il rafforzarsi della posizione dell'Italia, e del suo ruolo di nuovo hub del mediterraneo. Non era un caso che i servizi segreti americani, come riportato dalle rivelazioni di Wikileaks di Julian Assange avessero individuato proprio nelle ambizioni delle compagnie private italiane e in particolare nell'asse ENI-Gazprom, l'anello debole di tutto il piano di difesa geonergetica euroatlantica. Così come non è un caso che negli anni tra il 2008 e il 2013 ENI sia stata oggeto di numerosi attacchi finalizzati a indebolire quello che si sarebbe rivelato uno dei tasselli nevralgici dei piani russi in Europa. I più attenti ricorderanno gli attacchi portati dal fondo americano Kinght Winke tra il 2010 e 2011 contro i vertici di ENI, affinchè il governo italiano, primo azionista, scorporasse SNAM e quindi tutta la rete di sipacciamento del GAS dal resto di ENI. Le motivazioni ufficiali erano quelle di creare più valori per gli azionisti, ma in realtà Washington con la creazione di una nuova società fuori dall'orbita ENI sperava di interrompere i disegni di ramificazione geoenergetica del duo ENI-GAZPROM (Guarda caso la scissione ENI-SNAM avvenne pochi mesi più tardi proprio durante il mandato ultratlantico del Governo Monti) . Contemporanemante l'Unione Europea con la scusa della concorrenza e del libero mercato, obbligava ENI a vendere le sue partecipazioni nei due gasdotti strategici mitteleuropei Transitgas e TAG , proprio in quanto potenziali pericolosissime estensioni di South-Stream nel cuore dell'Europa centro-meridionale. Tuttavia, come già anticipato, quest' ultimi colpi inferti dagli interessi geopolitici atlantici non hanno impedito ai piani russi e al sogno italiano di hub del mediterraneo di realizzarsi. Snam rete Gas, pur divenuta player autonoma e indipendente dalla casa madre possiede comunque della disponbilità di cassa necessaria (6 miliardi di euro) per implementare il progetto di trasformazione del suo sistema di dispacciamanto in Hub europeo. ENI, dal canto suo, pur obbligata a cedere il controllo dei due gasdotti centroeuropei, lo ha fatto a favore ora di Cassa Depositi e prestiti per quanto riguarda il Tag, ora a favore della fedele alleata belga Fluxis, detentrice del hub di Zeerbrugge. Non solo, SNAM con la recente acquisizone della società francese tenp transitgas, e con la prossima riacquisizione da parte di CDP del gasdotto austriaco TAG, nonchè sfruttando l'asse NORD SUD con l'alleata belga Fluxis è ormai pronta a realizzare nei fatti i piani di grandezza energetica italiana, facendo transitare attrraverso i due sbocchi di uscita di Tarvisio e passo Gries il gas azero, lo shale gas dei paesi arabi, il gas del nordafrica e il gas russo verso i mercati del centro europa e dell'area balcanica. I primi clienti hanno già firmato contratti di fornitura: la svizzera Axpo, la, la tedesca E.on, la francese GDF suez, e l'inglese Shell. |
Post n°414 pubblicato il 15 Agosto 2013 da giovanedestra_lecco
L'ITALIA TRA I GHIACCI NOSTRO RUOLO E AMBIZIONI NELLA SPARTIZIONE DELL'ARTICO . . La grande corsa verso la spartizione dell'Artico inizio' improvvisamente nel 2007 quando la missione politico scientifica russa "Arktika" posizionò la bandiera tricolore della federazione sotto il polo nord geografico a ben 4261 metri di profondità. Un fatto inaspettato, simbolico e rivoluzionario visto che l'interesse geostrategico per la zona era scemato negli anni novanta con la fine della guerra fredda e della contrapposizione USA-URSS. Tuttavia, le successive dichiarazioni di Vladimir Putin non lasciarono adito ad alcun dubbio sul mutamento di scenario: "Da un punto di vista geopolitico, i nostri interessi nazionali più vitali sono legati all’Artico. La Russia espanderà la sua presenza e difenderà con forza e decisione i suoi interessi”. Le ragioni di questo balzo in avanti del governo russo furono principalmente due. In primis la sua classe dirigente era venuta in possesso di documenti scientifici comprovanti come il processo di surriscaldamento della calotta artica avrebbe reso possibile lo sfruttamento delle enormi risorse energetiche del polo (una stima attendibile calcola una presenza di 90 miliardi di barili di petrolio e 600 miliardi di metri cubi di gas, ovvero più di un quinto delle attuali riserve mondiali). In secondo luogo lo scioglimento dei ghiacci avrebbe reso navigabile per parecchi mesi la rotta artica tra l'Atlantico e il Pacifico permettendo al traffico commerciale euro-asiatico di accorciare i tempi di navigazione, e quindi rendendo di fatto superfluo il canale di Suez e il Mediterraneo (basti pensare che la distanza tra Shangai e Amburgo si sarebbe ridotta di ben 5000 km). Fu così che nei mesi seguenti il ministro della difesa Serdjukov disloco' due speciali brigate artiche con basi nell’estremo Nord del paese, in particolare a Murmansk e ad Arkhangelesk, e inizio' una lunga serie di manovre sottomarine e militari (culminate poi nel 2012 con l'esercitazione congiunta russo-norvegese "Pomir"). Contemporanemante il ministero delle infrastrutture inizio' i lavori di ampliamento del porto di Yamal, ancora più a Nord, (completamento previsto per il 2018 insieme al progetto di una nuova centrale di liquefazione del gas). In particolare, in questo disegno geostrategico il nuovo porto di Yamal, insieme al nuovo porto di Sabetta dovrebbe servire come base principale di attracco lungo la navigazione artica, ovvero la via marittima tra il porto di Rotterdam e Shangai passando a Nord della Siberia. A queste azioni la federazione Russa accompagnò anche una decisa iniziativa diplomatica presso le Nazioni Unite, di fatto rivendicando per sè lo sfruttamento di un'amplissima porzione dell'artico, e suffragando tale richiesta proprio con le conclusioni della missione Arktika. In base a quelle risultanze scientifiche l'estensione geologica sommersa del cosiddetto Scudo Siberiano costituirebbe infatti una parte integrante della piattaforma continentale russa delimitata da quella che viene chiamata dorsale di Lomonosov. Questa scoperta scientifica darebbe quindi alla Russia i diritti per poter annettere una vasta area dell'Artico (fino quasi ad arrivare al centro e grande 1,2 milioni di km², ricchissima di petrolio e di gas). Questa rivendicazione poggerebbe a livello di diritto internazionale su di un emendamento della Convenzione Internazionale ONU del 1982, secondo la quale per poter annettere un territorio, bisogna dimostrare che la struttura della sua piattaforma continentale sia simile alla struttura geologica del proprio territorio. La Russia avanzò questte prestese pur consapevole che si sarebbero scontrate a ivello di diritto internazionale con una tesi opposta, contenuta anch'essa nella Convenzione del Diritto del Mare di Montego Bay del 1982, in base alla quale i paesi rivieraschi possano godere esclusivamente dello sfruttamento esclusivo della ZEE (Zona Economica Esclusiva), compresa a non più di 200 miglia dalla costa. Una simile sfida portata avanti dalla Russia non potè che determinare la reazione di tutti i paesi artici, ma non solo. Anche i grandi paesi europei si sentirono coinvolti per via dell'enorme posta in gioco. Ma la risposta più inaspettata e determinata venne da un nuovo attore dello scenario internazionale, la Cina. Quest'ultima capì che i suoi interessi vitali negli anni a venire sarebbero passati inevitabilmente anche dall'Artico: sfruttamento delle risorse energetiche e nuova rotta marittima polare. Ne seguì da parte della Repubblica Popolare un'intelligente attività di lobbyng presso i paesi artici più piccoli al fine di poter essere accolta in qualità di osservatore esterno nel Consiglio dell'Artico. Questi sforzi culminarono nel 2012 con il primo sì della Svezia, seguito dall' Islanda, (stranamente il primo paese europeo ad essere visitato da Wen Gibao nel suo tour europeo e preceduto dall'ampliamento dell'ambasciata cinese a Reykjavik, portata a 500 addetti contro i settanta degli USA). Nel 2013 venne poi il sì della Groenlandia, da poco diventata paese indipendente. A far propendere per tale scelta l'avvio in loco di un progetto minerario da 2,3 miliardi di dollari gestito dalla britannica London Mining, per rifornire la Cina con 15 milioni di tonnellate di minerale di ferro ogni anno. Un business tale da richiedere l'arrivo di 3 mila lavoratori cinesi su una popolazione complessiva di 57 mila persone, ovvero il 5 per cento degli abitanti della Groenlandia. Infine, nel 2013, arrivò anche l'assenso anche della tradizionalmente apatica e diffidente Norvegia nella persona dell'ex ministro degli esteri di Oslo, Espen Barth Eide. Tuttavia, nel frattempo la Repubblica Popolare lavorò per costruire l'asse più importante e proficuo: quello con la Russia. Infatti, in merito allo sfruttamento dell'Artico vi erano una pluralità di interessi in comune e ben pochi motivi di attrito tra le due superpotenze. Innanzitutto, entrambe avevano assoluto interesse a sviluppare la Northern Sea Route, (ovvero il famoso passaggio a nord sfruttando la finestra estiva di un paio di mesi). Nelle previsioni cinesi si parlava già allora di far passare da Nord entro il 2020 il 15% del loro traffico commerciale (nel 2009 furono solo due le navi a riuscire a varcare i ghiacci, nel 2010 4 mercantili con un carico complessivo di 110 mila tonnellate, nel 2011 34 navi, mentre nel 2012 46 navi per un carico complessivo di 26 milioni di tonnellate). In secondo luogo la Cina aveva assoluto bisogno di garantirsi per l'avvenire nuove riserve di idrocarburi non essendo di per sè autosufficente. Da qui la convenienza reciproca: da parte della Cina a diventare il principale mercato di esportazione del petrolio russo (si parla di 1 milione di barili al giorno per i prossimi 25 anni), da parte della Russia a spostare verso oriente i suoi affari petroliferi visto la crisi del mercato eruropeo e le crescenti rivendicazioni contrattuali dei vecchi clienti. Seguirono i primi accordi tra la compagnia petrolifera russa RosNeft e quelle di stato cinesi in merito a progetti di nuove piattaforme nell'Artico, in particolare sul Mare di Pecora e sul Mare di Barents, così come quello di costruire con China National Petroleum una raffineria congiunta a Tianjin. Accordi culminati recentemente in una vera e propria alleanza ufficialmente concretizzatisi nel giugno 2013 con la firma a Pechino tra il presidente di Rosneft Igor Sechin e i tecnocrati di CNPC, circa la vendita alla compagnia cinese del 49% di una società petrolifera acquisita nella siberia orientale. Sempre Rosneft si è impegnata con l'altra compagnia cinese Sinopec per una fornitura di 200.000 barili al giorno per i prossimi 10 anni. Gli USA inizialmente colti alla sprovvista, reagirono però in maniera assai determinata: di fronte a loro si palesava uno scenario geopolitico totamente mutato e rischiosamente ostile. Non solo l'iniziativa Russa del 2007 e il nuovo protagonismo Cinese avevano messo definitivamente fine al lungo secolo americano e all'epoca dell'unilateralismo di Washington aprendo di fatto un'era multipolare; ma in questo nuovo contesto gli USA rischiavano addirittura la marginalizzazione. Infatti, l'asse Russo Cinese e lo sviluppo della Northern Sea Route tra Amburgo e Pechino avrebbero saldato ancora più a fondo gli interessi commerciali dell'Europa a quelli del blocco euroasiatico, di fatto sottraendola alla tradizionale orbita di sudditanza Atlantica. Fù così che sul piano militare venne aumentata la presenza nell'Artico della flotta USA, sia con nuove missioni di sottomarini nucleari, sia con esercitazioni militari coinvolgendo sempre più spesso i partner NATO (la più recente, "Cold Response" è stata di fatto la risposta simbolica a quella Russo-norvegese "Pomir"del marzo 2012, con più di 16.000 uomini NATO impegnati). Contemporanemante gli USA agirono a livello diplomatico al fine di imbrigliare nelle maglie degli organismi internazionali il nuovo protagonismo di Russia e Cina. In particolare, l'amministrazione americana spinse affinchè l'ONU intervenisse in prima linea nella questione artica, limitando ogni rivendicazione territoriale russa, e fissando per il 2014 l'anno ultimo per la presentazione di ogni forma di richiesta, con conseguente decisione ONU. In secondo luogo, gli USA diedero di nuovo forza e autorevolezza ad un altro organismo sovranazionale, ovvero il Consiglio dell'Artico (un'organizzazione fondata dagli otto paesi polari a Ottawa nel 1996: USa, Russia, Canada, Danimarca, Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia). In particolare gli USA si mossero affinchè questo organismo non accogliesse solo la Cina in qualità di osservatore, ma anche i propri tradizionali alleati atlantici. Fù così che su pressione americana il Consiglio dell'Artico riunitosi in Svezia nel 2012 decise di aprire le proprie porte a Gran bretagna, Francia, India, Giappone, Italia, Corea del Sud e ovviamente Cina. Sarebbe però sbagliato e ingeneroso ritenere l'entrata dell'Italia nel consesso dei paesi chiamati allo sfruttamento dell'Artico come una gentile concessione americana, seppur avvenuta con la benevolenza dei Russi e dei Norvegesi. Se il nostro paese ha raggiunto questo status, pur essendo tra tutti quello geograficamente più lontano, è perchè vi sono delle regioni storiche ed economiche che superano quelle di natura geopolitica, e che conferiscono all'Italia indiscutibili diritti morali. Innanzututto, il nostro paese tramite ENI, ovvero la sua compagnia petrolifera di bandiera, è stato tra i primi a investire ingenti risorse nella perforazione dei fondali artici e nella implementazione di nuovo tecniche per lo sfruttamento dei suoi profondi giacimenti. Eni è impegnata da anni con la compagnia di stato novergese Statoil nella esplorazione dei giacimenti del mare di Barents, nel bacino di Skrugard-Havis. Inoltre a 150 km di distanza Eni sta sviluppando Goliat, il primo maxi deposito di Petrolio e gas a ridosso del Polo. Eni insieme ad Enel attraverso il veicolo finanziario Arctic Russia possiede al 49% con Gazprom (al 51%) la joint venture SeverEnergia, che da poco ha vinto la gara per l'acquisizione di immense riserve di gas nell'Artico da parte di Artikgas, e Urengoil. Impossibile poi, per i paesi membri del Consiglio dell'Artico non prendere in considerazione l'immenso contributo dato dall'Italia nell'esplorazione geografica e scientifica del polo Nord. Basti pensare che nel quattrocento Piero Querini capitano da Mar della Serenissima naufragò con un carico di 800 botti di Malvasia alle isole Lofoten, riportando in Europa le prime notizie dell'Artico. Nel seicento il sacerdote ravennate Francesco Negri fu il primo europeo a raggiungere da solo in inverno via barca Capo Nord. Fu un altro Italiano nel 1799 il primo europeo a raggiungere capo nord via terra, Giuseppe Acerbi, conosciuto come direttore del mensile "Biblioteca Italiana". Nel 1900 con la spedizione stella polare il duca degli Abruzzi si fermò a 86° 34 segnando un nuovo record nella corsa verso i fatidici 90°. Meta che venne poi raggiunta in sorvolo 26 anni dopo col dirigibile Norge ancora una volta capitanato da un Italiano, Umberto Nobile. Due anni dopo sempre Nobile dal dirigibile Italia lanciava un tricolore sul punto centrale del polo nord geografico, facendo della nostra bandiera nazionale il primo vessillo a toccare l'estremo nord del pianeta. (M. Zambelli per Pensiero Nazionale) |
Post n°413 pubblicato il 11 Maggio 2013 da giovanedestra_lecco
DIPLOMAZIE PARALLELE L'AUTONOMIA GEOSTRATEGICA DI ENI . . La vicenda dei due Marò ancora reclusi nelle carceri indiane ha dimostrato al mondo la palese debolezza internazionale del nostro paese, in particolare la sua totale ininfluenza nel campo della diplomazia. Qualche acuto osservatore ha fatto notare che qualora l'intera vicenda fosse stata delegata agl'invisibili canali di ENI, gli esiti sarebbero stati ben diversi (la nostra compagnia petrolifera è presente in India dal 2005 dando lavoro a più di 5000 persone). In effetti, a tutt'oggi sono due le organizzazioni potenzialmente in grado di proiettare una politica di influenza italiana nel mondo: la Farnesina e appunto ENI, la prima azienda tricolore per dimensioni e profitti. Quest'ultima, da anni svolge un ruolo primario nella difesa dell'interesse nazionale talvota operando di concerto col ministero, talvolta (sempre più spesso) in maniera autonoma. La posta in gioco è troppo alta perchè si possa aspettare la lungaggine burocratica degli apparati ministeriali: in ballo vi è il controllo delle fonti energetiche che l'Italia non possiede. Proprio nelle ultime due decadi i rapporti di forza sembrano essersi invertiti a favore di ENI: basti pensare che nessun nuovo ambasciatore parte per una nuova destinazione senza aver prima consultato i vertici della compagnia. Inoltre, da una decina d'anni un diplomatico del ministero è distaccato presso l'azienda formalmente come consigliere delle relazioni internazionali, in realtà per prendere atto più rapidamente dei suoi bisogni e dei suoi piani. Agli albori del dopoguerra invece, lo schema era opposto: le scelte aziendali pur formalmente autonome, avvenivano sotto il rigido controllo del Ministero degli Esteri. Fu così che nei primi trent'anni di vita la geostrategia di ENI coincise con le impostazioni dei governi democristiani: una politica terzomondista, pacifista,e filo-araba. Del resto, questo era ciò che auspicavano anche i vertici aziendali perchè l'immagine di alterità rispetto al blocco anglo-franco-americano consentiva adi ENI di recuperare lo svantaggio competitivo rispetto alle sette sorelle con un vantaggio di tipo geopolitico. Fu così che la nostra azienda petrolifera inizio' a strappare contratti e concessioni proprio nei territori culturalemte e politicamente più ostili agli interessi dell'occidente: prima in Egitto, poi in Libia e Marocco, poi in Angola Nigeria, Congo, Togo, Ghana e Mozambico, diventando la prima compagnia d'idrocarburi nel continente africano. Sebbene nessuno dei paesi Nato potesse permettersi di uscire dalla concordata politica atlantista e anti-sovietica, Eni fu quindi abilissima a smarcarsi in Africa sfruttando la polticia terozmondista della Farnesina, riuscendo a fare affari con paesi più vicini al blocco sovietico che alla Nato. Gli interessi di ENI puntarono anche spregiudicatamente sui vecchi regimi autoritari come garanti della stabilità geopolitica e degli investimenti petroliferi. A rendere ancora più forte l'immagine di unicità di ENI vi era poi il particolare modello di cooperazione proposto ai governi locali: non solo sfruttamento dei giacimenti ma anche azioni svolte a favorire lo sviluppo economico e locale. Il ruolo autonomo e indipendente conquistato in Africa, ha poi di conseguenza favorito l'ingresso di ENI come principale compagnia partner in altri due teatri politicamente ostili agli Stati Uniti: il Venezuela e l'Iran. In particolare in quest'ultimo paese ENI ha dovuto recentemente abbandonare lo sviluppo dei giacimenti del Darquain proprio su fortissime pressioni americane, con immediata ritorsione iraniana (blocco di 2 miliardi di euro di crediti) Nel solco di questa tradizione d'indipendenza geopolitica va infine ascritto il recente asse di ENI con Gazpron, tale da renderla il primo partner commerciale in Europa della corazzata russa. Ecco allora che ai giorni nostri col venire meno di una vera e propria politica estera italiana per via della debolezza degli esecutivi, ora totalmene proni ai disegni americani, ora schiacciati dalle decisioni di Bruxelles, ENI si è praticamente trovata ad agire da sola nel tentativo di disegnare un piano di influenza italiana nel mondo. In questo senso, Eni dimostra una grandissima abilità geopolitica a tenere i piedi in più scarpe: contro Europa e Usa ma con i Russi per la costruzione del Nabucco, iniseme con Europa e contro USA per il petrolio iraniano. Insieme ad USA per il TAPI, il gasdotto che dal Turkmenistan arriverà in India via Afganistan. Coi Russi per il gas da importare in Europa, coi cinesi per esportare il gas dei giacimenti angolani nell'estremo oriente. Questa consapevolezza da parte dei vertici aziendali di portare con sè i destini internazionali dell'Italia è quindi una costante nella storia di ENI (basti pensare quando nei primi anni cinquanta venne creata la scuola post-universitaria sugli Idrocarburi (la SDA della Bocconi venne fondata solo 16 anni dopo). Quest'ultima intitolata a Mattei oggi rilascia il MEDEA (Master in economia dell'Energia e Ambiente) a 2700 allievi di 110 nazionalità diverse, assolvendo prima ancora che uno scopo didattico, uno scopo geopolitico: quello di favorire l'Italia nelle relazioni internazionali, costruendo reti personali proprio con le giovani promesse dei paesi in via di sviluppo che un domani diventeranno i protagonisti dell'industria energetica. |
Post n°412 pubblicato il 20 Gennaio 2013 da giovanedestra_lecco
SOFT POWER: LA FINANZA DI STATO IL RUOLO GEOPOLITICO DI CDP E FONDO STRATEGICO ITALIANO .
Ormai la competizione globale tra stati e popoli per il mantenimento o l'accrescimento del proprio status economico, non avviene più tramite operazioni di carattere militare, ma attraverso complesse operazioni economiche dove politica industriale e politica estera si fondono assieme. Per questo, i governi dei paesi industrializzati oppure di quelli emergenti si sono dotati di strumenti tali da operare in questa nuova dimensione competitiva. In particolare si è trattato di creare veicoli finanziari capaci di mettere insieme delle vere e proprie forze d'urto industriali. Tutto questo al fine di conquistare primati sui mercati internazionali, fare blocco rafforzando il sistema paese, e infine non farsi colonizzare da multinazionali straniere, trasformate in moderne portaerei dell'export altrui. Nel caso italiano questo veicolo finanziario non è stato creato ex novo, ma si è provveduto a modificare un ente già esistente, ovvero la Cassa Depositi e Prestiti. Quest'ultima in virtù del suo nuovo ruolo di perno centrale, con l'acquisizione di snam, sace , simest e fintecna è stata a sproposito paragonata a una moderna IRI, una rediviva riproposizione della creatura di Beneduce e Carli. Tuttavia, la CDP italiana, come quella in Francia e Canada, si distingue dall' IRI, perchè non svolge una semplice funzione riorganizzativa di un apparato industriale in declino, semmai attua un'azione propulsiva sullo scacchiere internazionale indirizzando il risparmio verso attività strategiche dal punto di vista economico e geopolitoco, ovvero in termini di mantenimento dell'influenza e del posizionamento del nostro sistema paese. In secondo lugo rispetto all'IRI vi è una diversità in termini di stazza: CDP ormai è grande il doppio con ben 300 miliardi di attivo contro i vecchi 138 dell'istituto di ricostruzione industriale. Nei paesi del golfo o in quelli cosidetti Brics, si è provveduto invece a creare ex novo simili veicoli finanziari, sotto forma di fondi strategici d'investimento. Tipico è il caso norvegese, dove il governo annualmente stanzia il proprio surplus di bilancio nel fondo sovrano "Norvegian Government Pension Fund Global" ( il secondo in assoluto per grandezza, ovvero 432 miliardi di dollari in portafoglio). Quest'ultimo è oggetto a una rigida regolamentazione; un tetto massimo di prelievo del 4% annuo oltre il quale non è possibile attingere, così in modo da conservarlo per le future generazioni. Esso rappresenta forse il meno caratterizzato in senso geopolitico, per via della notà neutralità della madrepatria. Non a caso risulta massicciamente investito nell'immobiliare europeo e in bond sudcoreani. Al lato opposto troviamo la Cina che utilzza i suoi fondi strategici per dispiegare un calcolato piano di influenza. La Repubblica Popolare ha iniziato nel 2007 con ben quattro fondi strategici (national social security fund; honk kong investment portfolio; SAFE; China investment corporation) i quali tutti inisieme superano i mille miliardi di dollari di potenza di fuoco. Nel mezzo vi sono poi i veicoli finanziari dei paesi del golfo, la cui natura è soprattutto conservativa, anche se non mancano di obiettivi politici (in primis ridurre la dipendenza dall'occidente). Tra questi si contano: Abu Dabi (627 miliardi di dollari), Arabia Saudita (415) Kuwait (228). Sono però i veicoli di investimento europei ad assommare la massima pluralità di fini perseguiti. Qust'ultimi si possono così riassumere: mantenere il controllo in settori strategici come trasporti e infrastrutture, telecomunicazioni, energia e difesa. In secodo luogo essi svolgono la funzione di apri-pista dell'espansione commerciale del proprio paese, al fine di incrementare le quote di mercato dei propri campioni nazionali. Infine, con acquisizioni mirate di partecipazioni all'estero marcano le proprie sfere d'influenza su paesi ormai in decadenza: la debolezza finanziaria del debitore può diventare vulnerabilità strategica. Questo può avvenire anche in maniera indiretta quando il fondo strategico acquisisce partecipazioni nelle banche nazionali, inducendo quest'ultime a finanziare acquisizioni estere o a supportare investimenti di imprese oltreconfine. Tipico è stato il caso del passaggio del controllo del porto di Atene a un colosso cinese del trasporto marittimo. Per quanto riguarda il caso italiano, la valenza geopolitica dell'istituto CDP si nota maggiormente nell'azione del Fondo Strategico Italiano, da essa controllato. Basti pensare alla recente sortita (sebbene non riuscita) concretizzatasi nel tentativo di acquisire il controllo di AVIO, al fine di evitare il passaggio alla General Electric; mentre risulta ruscita in tal senso la difesa dell'italianità di Ansaldo Energia contro la vendita ai tedeschi di Siemens. In senso offensivo invece va registrata da parte di CDP e FSI il recente accordo col fondo sovrano del Qatar al fine di fare dell'Italia la metà principale del turismo internazionale, scippando il primato alla Francia. Ma il principale progetto resta quello di fare dell'Italia il principale hub europeo del GAS, soprattuto in virtù dei cambiamenti del mercato avvenuti con l'avvento dello shale gas, ovvero il metano estratto con le nuove tecniche non convenzionali. CDP, attraverso un ruolo attivo nella stesura del piano energetico nazionale e nella sua promozione lobbystica ha premuto per fare dell'Italia il punto di inizio e arrivo di un unico grande gasdotto internazionale, affiancato da imponenti impianti di rigassificazione in grado di accogliere lo shale gas trasportato via nave nei porti del sud Italia. Sempre in ambito di proiezione della nostra influenza CDP e FSI lavorano per accompagnare le aziende italiane all'internazionalizzazione con le loro controllate, in particolore Sace e Simest; mentre col braccio interno Fintecna operano per la valorizzazione immobiliare degli 8000 comuni italiani; cercando di sostituire le latitanti banche nel credito all'edilizia sociale con ben 89 progetti avviati.
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Post n°411 pubblicato il 29 Novembre 2012 da giovanedestra_lecco
...GLI AMICI YANKEE DEL BELPAESE RETROSCENA DI UNA VUOTA DEMOCRAZIA (II PARTE) .
Del viaggio di Monti a New York lo scorso settembre l'opinione pubblica non potè che farsi un'idea vaga e confusa, dimenticando ben presto l'avvenimento. Questo perchè il sistema dei media volle presentarlo come una semplice toccata e fuga, ovvero un brevissimo viaggio di un giorno, giusto per fare una passerella di rito alla borsa di Wall Street e poi per incontrare primari investitori isttuzionali al CounCil of Foreign relations. Ovviamente il tutto nell'interesse del Paese. Invece, il viaggio di Monti durò ben tre giorni, tutti fitti di incontri non istituzionali di cui sia la Farnesina sia la Presidenza del consiglio non dettero mai comunicazione ufficiale. Forse per ingenuità , o eccessiva superficialità dai parte dei censori del Bildenberg group, venne lasciato sfuggire sul blog personale di Mario Platero (inviato del Sole24) che il 26 sera, ovvero prima dei pubblici impegni programmati per il giorno dopo, avvenne un incontro privato tra Monti e il noto speculatore George Soros al ristorante Le Cirque di Manhattam. Perchè avvenne questo sodalizio con un personaggio così discusso? E sopratutto perchè Monti non ebbe remore a riunirsi in privato con chi costruì la propria ricchezza personale speculando sulle sfortune della lira? E' consentito chiedersi se tra un bicchiere e l'altro di romanè-conti, Monti sì sì lasciò sfuggire informazioni privilegiate sulle prossime scelte macroeconomiche del Paese tali da favorire l'amico Soros, anch'egli membro dell'Aspen Institue ? Perchè queste domande la stampa italiana non si sentì in dovere di porle? Eppure, quella anglossassone, seppure in maniera superficiale, diede notizia che la mattina del 28, ovvero il giorno successivo agli incontri pubblici, Mario Monti si incontrò presso la sede di Bloomberg con John Paulson, il più grande speculatore immobiliare mondiale, gestore del fondo Paulson & .Co... (quest'ultimo solo nel 2007 guadagnò quattro miliardi di euro scommettendo sullo scoppio della bolla immobiliare) E' noto per chi sta a Wall Street che Paulson, la cui ricchezza personale è stimata in circa 8 miliardi di euro, stia cercando occasioni di investimento nel campo immobiliare, scommettendo sulla ripresa del mercato mondiale. Di cosa parlò Mario Monti con Paulson? Forse dei progetti della nostra amministrazione pubblica di svendere il patrimonio immobiliare italiano al fine di risanare il debito pubblico? Proprio in quei giorni, dall'altra parte dell'oceano, a Roma, il ministro dell'economia Grilli affermò lasciando particolarmente sconcertata la comunità finanziaria italiana, che il totale degli immobili in capo allo Stato assommassero a non più di 50 miliardi di euro, quando pochi mesi prima nella legge di stabilizzazione i tecnici indipendenti del ministero gli avevano iscritti per un valore di 250 miliardi di euro... |
Post n°409 pubblicato il 14 Ottobre 2012 da giovanedestra_lecco
...E SCHIAVA DI GOLDMAN IDDIO LA CREO' RETROSCENA DI UNA VUOTA DEMOCRAZIA (I° PARTE) .
La puntata newyorkese di Monti al Council on Foreign Relations dello scorso 27 settembre è stata alquanto illuminante. Intervistato per l'occasione da David Rubenstein cofondatore e ceo del Carlyle Group, il premier si è sentito in dovere di rendersi disponibile per un altro mandato rassicurando così i suoi padrini transatlantici. I poteri che lo hanno sostenuto non vogliono sorpese: se Roma vuole vendere 400 miliardi di titoli di stato nel 2013, e restare nel consesso internazionale devono essere ancora Goldman, City e soci a decidere chi dovrà governare. Niente Bersani , ne Grillo, ne Berlusconi; è quello che hanno fatto intendere a Monti personaggi del calibro di Paulson (della Paulson & CO. colosso degli hedge fund), Hilmar Schaumann (ceo di di Fortress investment group) Suhir jain (ceo Citygroup), Doug Paul (credit Suisse), Ruth Porat (ceo Morgan Stanley), Antonio Weiss (Lazard). Sono questi i veri poteri detentori della sovranità del paese, altro che elezioni, albi degli scrutatori, presidenti di seggio e cazzate varie, tipo camper di renzi o rete del movimento cinque stelle. Per capire i rapporti di forza in campo, basti pensare che la sola Citygroup realizzerà nel 2012 12 miliardi di euro di utile, ovvero più della manovra correttiva detta legge di stabilità che il governo si prepara a varare svuotando le tasche di 60 milioni di Italiani. "Dovessero esserci speciali circostanze, che spero non ci saranno, e mi sarà chiesto, considereri la situazione seria" ha scandito monti come a urne già scrutinate. Ovviamente oltreoceano qualcuno sta già brindando perchè quelle circostanze sa che si verificheranno. Così come anche al ministero del Tesoro : l'aggiornamento del def parla chiaro: pil in negativo anche nel 2013, debito pubblico e spesa per interessi ancora in crescita, come la spesa corrente che sfonderà i 378 miliardi.. A new York lo sanno, le speciali circostanze si verificheranno, certo che si verificheranno. |
Post n°408 pubblicato il 02 Settembre 2012 da giovanedestra_lecco
ATTENDENDO L'AUTUNNO (CALDO) CIO' CHE NON DISTRUGGE, CI RENDE PIU' FORTI .
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Così come un paese può industrializzarsi nel giro di 15-20 anni (vedi il boom economico), così può altrettanto velocemente de-industrializzarsi. E' quello che sta avvenendo in Italia. La causa è la mancanza di una politica industriale che sappia adattare la nostra economia alle sfide del nuovo mondo globalizzato; ma questa non si può pretendere da una classe politica tra le peggiori dell'occidente dedita solo alla cura dell'esistente e delle emergenze. Ecco allora che assisteremo a un autunno caldissimo simbolo del nostro degrado industriale:Alcoa licenzierà 501 addetti più 900 persone nell'indotto tra sardegna e Veneto. Sempre nel Sulcis Euroallumnia altri 400 dipendenti . In generale le vertenze riguardeanno 180.000 persone con oltre 30.000 esuberi certi solo nella grande industria. Fincantieri con 1300 esuberi, la Lucchini con 1943 lavoratori da lasciare a casa. La ex merloni rischia di chuidere tre stabilimenti, electrolux ha 700 esuberi su 7000 dipendenti, indesit 360 posti inutili. Fiat e irisbus hanno in eccesso 1300 posti, come 1300 i sono i lavoratori inutili ormai per la Natuzzi. Si aggiungono in ordine Omsa, Miroglio, la recente Windjet con 250 licenziamenti e la ormai prossima meridiana fly. E tutto questo solo nella grande industria, ma numeri uguali si preannunciano nella piccola e media. Il settore bancario è un altro fronte: Monte paschi si prepara a licenziare 4300 lavoratori, popolare milano 800, BBVA Italia ne ha licenziati da poco 60, il mese scorso banca network ne aveva lasciati a casa già 54. A fronte di questi dati gravissimi, le considerazioni sono due. Quello che resterà del sistema industriale nazionale dovrà essere sostenuto nel processo di espansione all'estero al fine di renderlo capace di sopravvivere nel nuovo contesto globale. In secondo luogo vista la crescita esponenziale della disoccupazione dovranno essere bloccati i flussi immigratori ricorvertendo i nostri disoccupati nelle mansioni un tempo svolte dagli immigrati. Come la storia insegna, la crisi ci restituirà nel medio periodo un paese più forte, con una classe politica delegittimata, ormai sostituita dalle nuove elites che avranno saputo cavalcare gli sconvolgimenti in atto. |
Post n°407 pubblicato il 09 Giugno 2012 da giovanedestra_lecco
CARA VECCHIA NEMICA ANCORA OPPOSTI I DESTINI D'ITALIA E GERMANIA .
. Sono già due le volte che l'Italia ha dimostrato di essere l'unico paese europeo in grado di reggere la competizione tedesca: svalutando nel 1992 per fronteggiare la riunificazione tedesca e poi in ambito euro dal 2002 fino al 2008. Fino alla crisi del 2008 l'Italia è stata con i conti in regola; ha ridotto il debito pubblico rinunciando alla crescita, ha mantenuto in equilibrio il proprio sistema bancario senza lasciarsi andare a bolle immobiliari, ha registrato un consistente avanzo commericiale infraeuropeo. Con la crisi del 2008 le cose sono cambiate: l'italia ha fatto una manovra di bilancio dietro l'altra, indebolendo l'economia reale e accettando i diktat tedeschi. Dalla Germania avrebbe dovuto pretendere una clausola di controassicurazione: risanamento a condizione di garanzie da parte della BCE di difendere il nostro debito contro attacchi speculativi. Oggi, l'Italia ha il dovere di porre questa condizione sine qua non per la sua permanenza nell'euro, perchè è l'unica ad avere il peso di mandare a fondo tutti, Germania compresa, e nel caos che ne seguirebbe una delle poche a potersi salvare. In uno scenario di distruzione dell'euro l'Italia svaluterebbe del 20% recuperando competitività e il debito estero sarebbe meglio sostenibile vista la conseguente ripresa economica. Per la Germania i tempi d'oro sarebbero solo un lontano ricordo. |
Post n°404 pubblicato il 04 Febbraio 2012 da giovanedestra_lecco
IL '68, SUBDOLA UTOPIA LE IDEE CHE APRIRONO IL VARCO AL MATERIALISMO . . A distanza di anni è possibile esprimere un giudizio storico obiettivo su quello che fù il '68, in particolare nella sua forma più autentica, ovvero il movimento nato e cresciuto in Usa, nell'università di Berkley e poi diffusosi nell'Europa occidentale. Scavando nell'oggi, per ritrovare i possibili lasciti , le tracce culturali del movimento si trova ben poco: forse solo la presenza di un nero alla casa bianca può essere ascritta a conquista ideale del '68...Ma il resto è nulla, visto che l'America e il mondo si sono sviluppati lungo altre direttrici. Sono invece i protagonisti del '68 a lasciarci stupiti, per come nel giro di pochi anni seppero abbandonare la loro tensione utopica e riconvertirsi al nuovo mondo che involontariamente contribuirono a creare. Qualche maligno potrebbe pensare che quella tensione ideale fosse tuttaltro che autentica, nascondendo in realtà solo una richiesta umana, troppo umana: una più equa soddisfazione di bisogni materiali negati. E ciò spiegherebbe tanta facilità di adattamento dei giovani rivoluzionari al nuovo mondo globalizzato: il consumismo è materialismo realizzato, giacchè il capitalismo assicura la soddisfazione dei bisogni. Ma è anche una sorta di moderno egualitarismo: io sono ciò che consumo, e tutti consumando possono essere qualcuno. Non importa ai giovani del '68 se questo comporta una ri-animalizzazione dell'uomo, una caduta dei confini tra uomo e animale, perchè l'uomo divenuto "consumatore" pone fine alla sua evoluzione dialettica per opposizioni e contraddizioni. Finisce con ciò il suo slancio per la libertà e la lotta contro la natura che lo caratterizzava in passato; scompare l'individuo libero, storico, protagonista delle guerre e delle rivoluzioni e delle lotte per il lavoro. Il fatto è lì da vedere: dopo le rivolte del '68 le masse si sono convertite al consumismo. Da quel momento la fine della storia coincide con la fine dell'emancipazione dell'uomo e con l'americanizzazione del mondo.
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Post n°402 pubblicato il 19 Dicembre 2011 da giovanedestra_lecco
DACCI DENTRO ITALIA EXPORT ED ESPANSIONE, UNICA VIA CONTRO LA CRISI
. E' indubbio che la manovra economica di Monti determinerà una crisi dei consumi e della domanda interna senza precedenti. L'unica via per uscire da una spirale recessiva è quindi quella di mobilitare l'intera filiera produttiva rimasta (che è pur sempre una delle maggiori al mondo) verso la conquista dei mercati esteri. Due Dati: l'alimentare si salva grazie all'export in aumento del 10% e così anche la nautica con un 75% di fatturato estero. L'altro dato consiste nel crescente importo degli investimenti delle multinazionali italiane all'estero: non più diretto verso paesi dell'unione europea (ormai saturi di prodotti tricolori), ma verso India, Stati Uniti, Sud America (la Cina resta stazionaria). Basti pensare che Luxottica ha appena fatto la sua ultima acquisizione in Brasile, di fatto realizzando ormai solo il 20% del fatturato in UE. Purtroppo le multinazionali italiane sono poche e non sono in grado di trascinare tutto il paese: bisogna quindi obbligare le medie imprese italiane a fare il grande salto internazionale: ora o mai più, pena la loro scomparsa entro un decennio. Dal canto suo lo stato deve fare sistema e sostenere le esportazioni delle medie imprese; questo il compito ormai non più rimandabile. |
Post n°401 pubblicato il 13 Novembre 2011 da giovanedestra_lecco
SOLI CONTRO TUTTI IL RESTO DEL MONDO CI VUOLE IN GINOCCHIO . . In questi momenti drammatici è meglio mettere da parte l'atavico frazionismo che da sempre contraddistingue il costume Nazionale. Serve coesione, unità d'intenti, coordinazione delle forze verso un unico scopo. Come già detto su questo blog circa due mesi or sono (leggasi "attacco all'Italia") individuammo chiaramente il progetto sovversivo che si celava dietro l'ondata speculativa nei confronti del Belpaese. I mandanti erano e sono oltreoceano, dietro le società di rating si cela in primis l'amministrazione americana, e dietro di essa le grandi lobbies del potere economico finanziario. Il progetto è chiaro: far cadere l'Euro. L'Italia, essendo il punto debole di quel sistema monetario, è stata scelta quale agnello sacrificale: distruggerla, piegarla economicamente, per scatenare un effetto domino su tutta l'area Il contrattacco deve quindi essere immediato: va reso pubblico un piano di rientro del debito: con date, scadenze e fonti di riduzione certe e documentate. Solo tagliando l'erba sotto i piedi della speculazione, sarà quindi possibile riconqistare la nostra indipendenza economica e politica. |
Post n°400 pubblicato il 06 Novembre 2011 da giovanedestra_lecco
UNA STORIA ITALIANA IN MOSTRA 60 ANNI DI ARCHIVI DELL' ANSA .
. Si intitola "Fotografandoci" la mostra allestita al complesso del vittoriano di Roma dalla prima agenzia di notizie nazionale, l'ANSA. L'ingresso è libero fino al 11 dicembre. La mostra racconta 60 anni di vita nazionale attraverso gli occhi dei fotografi dell'Ansa. In particolare risultano esposte una parte rilevante delle immagini trasmesse dal 1945 a oggi per documentare il vorticoso cambiamento degli abitanti della Penisola. (Ad esempio nello scatto di cui sopra, operai intenti nella costruzione del supetransatlantico REX). Le fotografie, si tratti di singoli volti o di manifestazioni di massa, di tragedie o di avvenimenti sportivi sono particolarmente rappresentative per via della loro bellezza dell'evolversi della storia del nostro popolo. |
Post n°395 pubblicato il 18 Settembre 2011 da giovanedestra_lecco
ESERCITO, SCUOLA DELLA NAZIONE LE SCUOLE MILITARI, FUCINE DI CLASSE DIRIGENTE .
. Le scuole militari Nunziatella, Teuliè, Morosini e Douhet sono Vere e proprie istituzioni del nostro Paese che svolgono un ruolo significativo nella formazione di quelli che saranno i cittadini di domani, ai quali offrono un valore aggiunto: la conoscenza e l’interazione con il mondo delle Forze Armate, le sue strutture, la vita della caserma. Indubbiamente quando si pensa alle scuole militare può venire alla mente un sistema di rigide norme regolamentari. Quella “disciplina militare” che non sembra conciliarsi con la “vita borghese”. Un sistema di regole che a dire il vero deriva da esigenze civili, da quella buona educazione che troppo spesso latita. È anche vero che “scuola” e “militare” sono termini che separatamente indicano due mondi diversi: il primo è sinonimo di formazione e istruzione e riguarda tutti i settori della società, mentre il secondo descrive un particolare tipo di attività, un percorso di vita. In realtà sono due mondi che si completano, anche se occorre fare una distinzione sui vari livelli di formazione. Infatti, se le accademie militari o le scuole di specializzazione e di formazione della “vita con le stellette” sono interne all’istituzione militare e pertanto sono orientate verso i relativi fabbisogni cognitivi, diverso è lo status delle scuole militari della prima età dove i programmi di studi sono gli stessi ai quali devono attenersi tutti i licei nazionali. I giovanissimi ragazzi (dall’anno scolastico 2009/2010 anche ragazze) che decidono di completare la loro preparazione scolastica superiore all’interno di una scuola militare, allo studio delle materie previste dai programmi scolastici ministeriali affiancano l’attività sportiva e quell’addestramento necessario per acquisire le nozioni tecnico militari di base. Nelle due scuole dell’Esercito (Nunziatella di Napoli e Teuliè di Milano), in quella della Marina Militare (Freancesco Morosini di Venezia) e in quella dell’Aeronautica Militare (Giulio Douhet di Firenze) si entra sedicenni per completare gli studi già intrapresi nei Licei Classico, Scientifico o Scientifico Europeo (quest’ultimo solo per la Teuliè). A differenza di quanto si potrebbe pensare, non tutti i ragazzi che escono da queste scuole intraprendono la carriera militare. Anzi, a ben guardare, le percentuali sono molto basse e non superano la quota del 10-15%. Solo una parte ridotta degli ex allievi decide infatti di continuare la vita militare. In sintesi, quindi, l’esistenza di posti riservati nelle Accademie non rappresenta l’unico motivo per il quale un adolescente decide di concorrere per un posto negli istituti militari. Nonostante siano nate per avviare i nostri ragazzi prevalentemente alla carriera delle armi, alle scuole militari va riconosciuto il ruolo di centri di eccellenza per tutti quei giovani destinati a ricoprire incarichi di rilievo nell’amministrazione statale, nelle università, nella libera professione e nelle imprese. Lo stesso presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati, Edmondo Cirielli, è un ex “nunziatello”. L’elenco dei “celebri” ex allievi contemporanei del Rosso Maniero (così viene chiamata amichevolmente la sede di Pizzofalcone a Napoli) è lungo e va dai vertici della magistratura, fra tutti Ettore Gallo, Presidente della Corte Costituzionale (scomparso nel 2001), all’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, per giungere al generale Michele Franzè neo vicecomandante dell’Arma dei Carabinieri. Sempre la Nunziatella annovera nomi importanti, entrati nelle storia del nostro Paese, anche tra i suoi docenti. Su tutti basti citare Carlo Lauberg, definito da Benedetto Croce come il “primo cospiratore del moderno Risorgimento italiano”, e Francesco De Sanctis, ancora oggi riferimento indiscusso della cultura italiana. Una storia lunga e gloriosa quella della Nunziatella, il cui motto è “preparo alla vita ed alle armi”. Scuola di antichissime tradizioni, trae origine dall’accademia costituita nel 1787 da Ferdinando IV di Borbone per preparare gli ufficiali da impiegare presso i reggimenti dell’Esercito borbonico fino al 1798. La sede prescelta fu l’ex convento di Monte Echia a Pizzofalcone (dove i gesuiti facevano il loro noviziato) comunemente indicato come Nunziatella per via della chiesa dedicata all’Annunziata ad esso annessa. Secolare anche la storia della Teuliè, l’altra scuola dell’Esercito che ha sede a Milano. Nonostante sia stata istituita nel marzo del 1996, vanta infatti una lunga tradizione. Il 15 gennaio 1802 il generale napoleonico e ministro della guerra della Repubblica Cisalpina, Pietro Teuliè, fondò il Collegio degli orfani: il primo e unico ente di istruzione militare rivolto ad adolescenti a Milano. Alterne vicende determinarono la sua chiusura in più occasioni, fino al 1935 quando venne istituita la Scuola Militare di Milano, chiusa nel 1943 per poi essere riaperta 53 anni dopo, nel 1996 appunto, quale sede distaccata della Nunziatella. Dal 1998 è diventata scuola autonoma. L’isola di Sant’Elena, a Venezia, ospita invece dal 1961 il collegio navale intitolato all’ammiraglio Francesco Morosini, stratega della Repubblica Veneta che si distinse nel ’600 nella guerra di Candia contro l’Impero Ottomano. Solo nel 1998 il collegio ha assunto lo status di Scuola Militare. Con il nuovo ordinamento istituzionale gli Allievi portano anche loro le stellette e sono equiparati, a livello economico, ai marinai comuni di seconda classe. Ultima nata la scuola dell’Aeronautica che prende il nome dal generale Giulio Douhet (uno dei più importanti teorici dell’impiego militare dell’aeronautica). È stata istituita nel 2006 a Firenze ed è ospitata nel complesso dell’ex scuola di guerra. Alla formazione prevista per il triennio conclusivo del Liceo Classico e Scientifico, la scuola affianca attività sportive ed istruzione a carattere aeronautico, che include anche la familiarizzazione al volo. Studio, attività fisica e disciplina accompagnano per tre anni questi giovanissimi ragazzi che con tanto orgoglio indossano il kepì e portano al fianco lo “spadino”. Quest’ultimo è un vero e proprio emblema degli allievi delle scuole militari che lo ricevono nel corso di una solenne cerimonia dai colleghi “anziani”: Lo spadino, che ogni “cappellone” deve custodire gelosamente, è un simbolo della tradizione e segna ufficialmente l’ingresso nella compagine della scuola. Usanze che si tramandano da tantissimi anni e che testimoniano l’importanza che tutt’ora riveste il passato in queste scuole che, comunque, non dimenticano di guardare al futuro. Un futuro per il quale già si pensa a iter formativi concepiti su modello europeo ed identici per tutti e quattro gli istituiti. Le scuole militari, quindi, pur operando nel solco di tradizioni militari centenarie costituiscono oggi un vero e proprio centro di eccellenza per avviare i nostri giovani sul difficile ma splendido cammino che è la vita. |
Post n°394 pubblicato il 11 Settembre 2011 da giovanedestra_lecco
ITALICA CENTOCINQUANTA DA VETTA D'ITALIA A CAPO PASSERO 2100 KM IN CAMMINO .
. Va reso il giusto merito agli organizzatori di questa splendida iniziativa presa in occasione del centocinquantesimo anno dell’Unità nazionale. Quale modo migliore per percepire il senso della Nazione, conoscerne lo spirito e le atmosfere se non quello di compiere a piedi un viaggio dall’Alto Adige alla Sicilia?
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. Il Percorso di oltre 2100 chilometri è stato suddiviso in 90 tappe nella buona stagione del 2011: i coraggiosi patrioti sono partiti dalle pendici innevate della Vetta d’Italia, nell’alta valle Aurina, il 7 aprile, per arrivare a Capo Passero, in provincia di Siracusa, in un torrido pomeriggio di metà luglio .
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Post n°392 pubblicato il 06 Settembre 2011 da giovanedestra_lecco
GRANDI NAVI ITALIANE FINCANTIERI VERSO LA SFIDA DECISIVA . . Tra le proposte dell'ultima manovra correttiva, come da un cilindro è stato tirato fuori il nome di Fincantieri. Quest'ultima potrebbere essero oggetto di privatizzazione come altri pochi gioielli rimasti di proprietà dello stato. Tuttavia, la faccenda è molto delicata ed è bene che i nostri politici ben poco illuminati si muovano con attenzione. Fincantieri rappresenta un caso a sè, visto che l'aleatorietà delle commesse rende la gestione ordinaria spesso in crisi, con conseguenti risvolti a livello occupazionale, che in linea teorica ne sconsiglierebbero la privatizzazione. In tal senso porterebbero anche considerazioni di ordine strategico: Fincantieri non produce solo navi commerciali, ma tra le poche in Europa è in grado di produrre da sola navi miitari d'avanguardia, come Portaerei, sottomarini, e le recenti fregate classe fremm. Una soluzione allora realistica sarebbe quella di farne collocare solo un 60% sul mercato borsisitico lasciando al tesoro o alla CDP una maggioranza qualificata del 33% per cento con relativa golden share, così come avvenuto già per Enel ed ENI. l'obiettivo sarebbe quello di creare un nuovo campione nazionale, questa volta operativo nel campo della cantieristica, che scrollatosi di dosso il controllo politico inizierebbe a operare secondo criteri di efficenza e di mercato.. L'ultimo ordine arrivato da Costa crociere per la costruzione di una nuova nave passeggeri da 5000 ospiti (la più grande nave italiana) è stata una boccata d'ossigeno, ma per un colosso come Fincantieri serve una proiezione internazionale che solo un managment immune da logiche politiche potrebbe perseguire. Infine, un'ulteriore considerazione spingerebbe verso la tutela della più grande compagnia armatoriale del mediterraneo, oltre a considerazioni economiche e militari. E' una questione di geopolica: in un mondo dove i rapporti di forza tra gli stati si vanno ridefinendo proprio in merito alla predominanza dei mari: rotte commerciali, principali porti commerciali, ecc.. In tal senso detenere una grande impresa nella campo della costruzione navale, eviterebbe all'italia e in generale al sistema paese la completa emarginazione dal futuro commercio mondiale: (la cina detiene ormai i primi 8 su 10 porti nel globo). Eccco perchè è necessario intervenire al più presto su Fincantieri, patrimonio necessario della Nazione, nata dall’IRI nel lontano 1937 come società finanziaria di stato per la cantieristica sul modello della Finmare, finanziaria per la flotta mercantile attraverso cui lo stato assumeva il controllo di tutti i grandi gruppi cantieristici dell'epoca (CNR, CRDA, OTO e Ansaldo).
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Post n°390 pubblicato il 14 Agosto 2011 da giovanedestra_lecco
VITE DA PATRIOTI: ENRICO TOTI ITALIA, CAUSA DELL'ANIMA .
. Nato a Roma, nell'agosto del 1882, giovanissimo (1897) si imbarcò come mozzo sulla nave Ettore Fieramosca, poi sulla corazzata Emanuele Filiberto ed in seguito sull’incrociatore Coatit (navi classificate come esploratori). Nel 1905 venne assunto come fuochista nelle Ferrovie dello Stato e nel 1908 mentre stava lubrificando una locomotiva a Colleferro, che doveva anche agganciarsi ad una doppia locomotiva, proprio a causa dello spostamento delle locomotive stesse, Toti perse l’equilibrio e la sua gamba sinistra venne incastrata e stritolata dagli ingranaggi in movimento. L’arto purtroppo dovette essere amputato fino al bacino. Sorretto da una grande forza di volontà nel 1911, pedalando in bicicletta con una gamba sola, raggiunse varie località: Parigi, il Belgio, l’Olanda, la Danimarca, fino a raggiungere la lontana Finlandia e la Lapponia e proseguì ancora verso la Russia e la Polonia, il suo rientro in Italia avvenne nel giugno del 1912. Ma la sua impresa non era terminata l’anno successivo partì nuovamente in bicicletta: da Alessandria d’Egitto raggiunse il confine con il Sudan, ma le autorità inglesi, giudicando pericoloso il percorso, lo obbligarono a porre termine al viaggio e lo rimandarono al Cairo da dove fece ritorno in Italia. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l’Italia, che precedentemente si era dichiarata neutrale, dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il 24 maggio del 1915 e alla Germania quindici mesi più tardi; Enrico Toti volle arruolarsi, ma tutte le sue domande furono respinte, decise quindi di raggiungere ugualmente il fronte in bicicletta arrivando nella località di Cervignano del Friuli, dove venne accettato come volontario civile e destinato ai “servizi non attivi”: ma fermato dai carabinieri di Monfalcone fu costretto da questi a tornare alla vita usuale. Solo nel 1916, in seguito all’interessamento del Duca d’Aosta, venne destinato al Comando Tappa di Cervignano del Friuli come volontario civile nella brigata “Acqui”, riuscì ad ottenere il trasferimento nei bersaglieri ciclisti dove ottenne l’elmetto da bersagliere e le stellette. Giunto al Fronte, nella battaglia dell’Isonzo che decise la presa di Gorizia, mentre stava svolgendo un attacco ad est di Monfalcone con il suo reparto, venne colpito dal nemico ed egli eroicamente scagliò la propria gruccia verso l’avversario. Venne poi decorato alla memoria con la Medaglia d’Oro al Valor Militare il 4 dicembre del 1916 con la seguente motivazione: “Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’arme dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone). Lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana. Monfalcone,6 agosto 1916.” |
Post n°389 pubblicato il 06 Agosto 2011 da giovanedestra_lecco
ATTACCO ALL'ITALIA COMPLOTTO GLOBALE CONTRO L'EURO E IL BELPAESE .
. In queste ore la portata della posta in gioco si è fatta molto alta. E lo stanno iniziando a capire in molti, sebbene con troppo ritardo. Finalmente il presidente della BCE sta spingendo affinchè i capi politici dei paesi europei diano il via libera alla Banca Centrale di comprare titoli di stato italiani e tagliare così le gambe così alla speculazione. (Verrebbe da chiedersi il perchè di tanto ritardo nel compiere una mossa di carattere preventivo che avrebbe dovuto essere fatta già mesi prima). Anche la classe politica nordeuropea ha realizzato che dietro all'attacco all'italia si nasconda oltre a un disegno speculativo, anche la volontà politica di far saltare l'Euro. Perchè qualora saltasse l'Italia, come in una reazione a catena salterebbero tutte le economie del continente , Francia e Germania incluse. Basti pensare che ogni aumento di 1% sullo spread dei titoli italiani comporta un aggravio per il contribuente del Belpaese di 20 miliardi di euro. In una spirale di questo tipo lo stato italiano non potrebbe più onorare gli impegni assunti, dovendo dichiarare bancarotta. Conseguentemente si aprirebbe una crisi economica gravissima a livello europeo, visto chel'Italia è la terza economia del continente e terza finanziatrice dell'unione. Nessuno si salverebbe anche uscendo dall'Euro visto che la Germania deve la sua crescita sia alle forniture che alle esportazioni nel sud europa, Italia in testa. Proprio ieri è divenuto palese il motivo politico dell'attacco all'Italia e all'Euro: l'abbassamento del giudizio sul debito pubblico americano, mai avvenuto nella storia degli ultimi due secoli. In uno scenario d'indebolimento del ruolo americano nel mondo, il dollaro rischia di perdere la sua funzione di moneta di riferimento, ormai già messa in discussione apertamente dai cinesi (che dopo il declassamento del suo debito, e i recenti dati di un'economia stagnante ne chiedono la sostituzione con la creazione di un paniere di valute internazionali, euro, dollaro, yen, uan). Ecco allora che oltreoceano non resta che auspicare la fine prematura dell'euro , per depotenziare da subito il piano cinese. Perchè la battaglia per la moneta non è solo una questione di prestigio: qualora il dollaro dovesse perdere il suo ruolo centrale negli scambi internazionali, si aprirebbe un declino socioeconomico inimmaginabile per il traballante impero americano.
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Post n°386 pubblicato il 09 Luglio 2011 da giovanedestra_lecco
NUOVA SINISTRA E ABISSO MORALE LA LIBERTA' COME NEGAZIONE DI TUTTO . .
Pochi uomini attenti si sono chiesti dove abbia portato l'umanità l'affermazione del pensiero della nuova sinistra e i conseguenti misfatti compiuti in nome dell'uomo democratico. In altre parole dove ci abbia portato la sinistra postmarxista e post sessantottina, una volta che conscia del fallimento del comunismo, ha diretto se stessa e tutti noi verso l'abisso del relativismo culturale, del pensiero debole, del politicamente corretto. La cosa non è di poco conto visto che la supponenza del catechismo progressista non ha mai lasciato spazio a questa domanda, e tantomeno a qualsiasi critica, pena l'isolamento e la quarentena, o peggio la bollatura come prezzolato neofascista. Eppure a ben vedere la retorica egualitaria e multiculturalista che ammorba le università di mezzo mondo, già di per sè dovrebbe far nascere il dubbio che anch'essa si tratti di un sistema di pensiero relativo, fallace, di parte. La finta apertura della mente progressita è invece la più impermeabile chiusura nei confronti della ragione, perchè in quelle menti, annebbiate dalla moda culturale del momento, "la relatività della verità" non è una percezione teorica ma un postulato morale. Nella retorica relativista, il desiderio razionale di essere comunque nel giusto, pur in assenza di verità assolute, la porta a negare di stabilire che qualcosa sia migliore o peggiore di un altra. E se qualcosa alla fine ci deve essere di migliore, questo non può che avere le forme della massima libertà possibile, ciòè la libertà di negare tutto. Ecco allora che di fronte a una domanda fatta apposta per confutare l'uomo della nuova sinistra e farlo pensare, del tipo se tu fossi stato un amministratore inglese in India avresti permesso agli indigeni sotto la tua giurisdizione di bruciare la vedova al funerale di un uomo che era morto? Ecco che il progressista tace oppure risponde che in primo luogo gli inglesi non avrebbero dovuto trovarsi lì. Sarà il massimo dell'apertura relativista nei confronti dell'Altro ma il nuovo conformista non sa rispondere alle domandi fondamentali. La sua è una nuova religiosità superstiziosa, apparentemente aperta a tutte le specie di uomini e a tutte le specie di stili di vita, a tutte le ideologie. Che non ha nemici se non l'uomo che non è aperto tutto: ma in questo modo il massimo dell'apertura , il massimo del relativismo si stravolge nel suo contrario: nel massimo della chiusura, nel massimo dell'intolleranza per chi non si inchina ai dogmi del relativsimo. E proprio nel sistema universitario, che in una società governata dall'opinione pubblica avrebbe dovuto essere un'oasi di libertà intelletuale, si evince questa chiusura mentale del progressismo: gli atenei sono fulcro dell'asservimento delle giovani generazioni all'opinione dominante. O meglio l'opinione della non opinione. |
Post n°385 pubblicato il 02 Luglio 2011 da giovanedestra_lecco
SQUARCI D'ITALIA: TORINO TRATTO DA "LETTERA A H. KOSELITZ" DI F. NIETZSCHE .
. " Che posto serio e solenne! I più bei caffè ch'io abbia mai visto. Questi portici, con un tempo così mutevole sono indispensabili: sono spaziosi, non opprimono. La sera sul ponte del Po: magnifico! Al di là del bene e del male!" |
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