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« Giovenale contro le donne 2Articoli di Marco De Ber... »

Giovenale contro le donne 1

Post n°30 pubblicato il 18 Luglio 2007 da Giubizza

http://bacheca.lett.unisi.it/master/valentina/livello%20A/Modulo%20letterario/BELTRAMI%20MENCACCI%20Folder/giovenale.pdf
 
GIOVENALE

Contro le donne

(Satira VI)

a cura di Franco Bellandi

Credo proprio che Pudicizia abbia soggiornato in terra ai giorni del regno di Saturno e a lungo si sia lasciata vedere, allorché una fredda spelonca offriva una modesta dimora e racchiudeva insieme sotto la stessa ombra il focolare e il Lare e il bestiame e i padroni, allorché la moglie montanara preparava un rozzo giaciglio con fronde e paglia e con le pelli delle belve dei dintorni, certo non simile a tè, o Cinzia, ne a tè, a cui gli splendidi occhi turbò la morte d'un passero, ma pronta ad offrire ai robusti figli le mammelle da succhiare e spesso più scarmigliata del marito che rutta rigurgitando il suo pasto di ghiande. Certo allora, quando il mondo era appena nato e giovane era il cielo, ben diversamente vivevano gli uomini, che - sbucati da una fenditura delle querce o plasmati col fango - non ebbero genitori umani. Molte tracce dell'antica (Pudicizia) forse (o alcune almeno) si saranno mantenute ancora sotto il regno di Giove, ma certo quando a Giove non era ancora spuntata la barba, quando ancora non c'erano i Greci pronti a giurare sul capo... altrui, allorché nessuno aveva da temere ladri per i suoi cavoli e le frutta e perciò si viveva senza chiudere l'orto. Ma poi, a poco a poco, Astrea cominciò a ritirarsi presso gli dei superni in compagnia di Pudicizia e le due sorelle finirono per fuggire insieme dal mondo. E usanza invalsa da assai gran tempo, o Postumo, quella di sconquassare il letto altrui e farsi beffe del Genio del sacro talamo nuziale. Ogni altro delitto fece spuntare in seguito l'età del ferro: ma già l'età d'argento vide i primi adulteri.

E tuttavia, coi tempi che corrono, tu prepari il contratto il patto nuziale e la cerimonia di fidanzamento e già ti fai acconciare i capelli da un maestro parrucchiere e forse hai già messo al dito della futura sposa l'anello che ti impegna? Certamente tu eri sano di mente: prendi moglie, o Postumo? Dimmi da quale Tisifone, da quali serpi sei sconvolto. Puoi sopportare una qualsivoglia padrona, quando al mondo ci son tante corde per impiccarsi, quando i si spalancano nel vuoto alte e vertiginose finestre, quando ti si offre nelle vicinanze il ponte Emilio? oppure, se fra le tante possibili proprio nessuna forma di suicidio ti piace, non ritieni forse meglio far dormire con tè un ragazzino? Un ragazzino che di notte non imbastisce litigi, non pretende regalini di sorta per il solo fatto di giacersi lì con tè, nè si lamenta che tu risparmi i tuoi fianchi e non ansimi secondo i suoi ordini.

Ma a Ursidio piace la legge Giulia: medita di riconoscere, sollevandolo in braccio, un dolce erede, anche se questo comporterà la rinuncia alle grasse tortore, alle triglie barbate, alle lusinghe interessate del mercato. C'è cosa che ti sentiresti di escludere se qualcuna si sposa con Ursidio? Se colui che un tempo è stato il più famigerato fra gli adulteri già è in atto di porgere lo stolido capo al cappio del matrimonio, lui che tante volte, come in scena Latino sul punto di essere ucciso, per salvarsi si nascose in una cesta? E che dire del fatto che ha anche il coraggio di cercare una moglie dai costumi all'antica? o medici, praticategli un salasso! ehi, tu, bei tomo: prosternati adorante sulla soglia del tempio capitolino e offri in sacrificio a Giunone una giovenca dalle corna indorate, se mai ti sarà toccata in sorte una sposa dalla bocca non contaminata ( tanto poche ormai sono le donne degne di toccare le bende di Cerere, le donne dei cui baci non abbia paura lo stesso padre!): su, appendi una corona alla porta e stendi fìtti festoni di edera attraverso la soglia! Un solo uomo basta a Iberina ma più alla svelta otterresti da lei che si accontentasse di un solo occhio! Eppure gode di gran fama una tale che vive in campagna, nel podere paterno. Viva a Gabii così come ha vissuto in campagna, viva così a Fidene ed io faccio tanto di cappello al campicello paterno!

E tuttavia chi può affermare con sicurezza che non abbia fatto proprio nulla sui monti o nelle spelonche? a tal segno sono invecchiati Giove e Marte? Sotto i portici ti si può forse indicare una donna che corrisponda degnamente alle tue richieste? o forse il teatro in tutti i suoi settori possiede la donna che tu possa fare oggetto di un amore scevro da preoccupazioni e di lì scegliere per tè? Quando con movenze effeminate Battilo danza la pantomima di Leda, Tuccia non domina più gli stimoli del basso ventre, Apula emette guaiti come nell'amplesso, all'improvviso e con un lungo gemito; Timele, invece, sta a guardare tutta intenta: Timele appetto a quelli inesperta... apprende! Ma altre, quando ogni anno i sipari chiusi in deposito giacciono a riposo e — una volta vuoto e chiuso il teatro - solo i fori risuonano di voci, e dalla fine dei ludi Plebei all'inizio dei ludi Megalesi manca ancora un bei po' di tempo, afflitte stringono fra le mani, palpeggiandoli, la maschera e il tirso e le... mutandine di Accio. Urbico nella farsa finale dell'atellana eccita il riso con i gesti di Autonoe: è questi che Elia ama, nella sua povertà. Ma per queste altre è a suon di soldoni che si scioglie la fibbia di castità dell'attore di commedia, vi sono poi di quelle che rendono impossibile a Crisogono di cantare, Ispulla si gode un tragico: o ti aspettavi forse che amassero Quintiliano? Tu accogli in casa una sposa da cui sarà reso padre il citaredo Echione o Glafìro o Ambrosio, flautista del coro. Innalziamo lunghi palchi negli stretti vicoli, si adornino gli stipiti e la porta di grandi corone d'alloro, perché a tè, o Lentulo, dalla sua culla a baldacchino, intarsiata di tartaruga, il nobile pargoletto rammenti, riproducendone esattamente le fattezze, Eurialo il mirmillone! Sposa di un senatore, Eppia ha seguito una squadra di gladiatori sino a Faro, al NiIo e alle famigerate mura di Lago, spingendo persino Canopo a condannare scandalizzata la mostruosa immoralità di Roma. Immemore della casa, dello sposo e della sorella, essa nulla concesse all'amor di patria, e sciagurata abbandonò i figli in pianto e – cosa ancora più degna di stupore - i giochi e Paride! Ma sebbene, fanciulletta, avesse dormito in mezzo allo sfarzo fra le piume del nido paterno, in una culla adorna di ricami, seppe sprezzare i pericoli del mare (già da un bei pezzo aveva mostrato disprezzo per il suo buon nome, la cui perdita, del resto, tra le morbide poltrone dei salotti è considerata cosa da nulla). E dunque sopportò con animo fermo i flutti del Tirreno e il lungirisonante Ionio, sebbene per tanti mari diversi dovesse passare. Se c'è una ragione giusta e onorevole per affrontare un pericolo, sono preda del timore e si raggelano nel pavido petto, ne sono in grado di reggersi sui tremolanti piedi: ma piena forza d'animo esibiscono quando c'è da osare qualche vergognoso misfatto. Se è su ordine del marito, è duro imbarcarsi; allora sì che la stiva emana un fetore insopportabile e vortica il sommo cielo attorno a loro: ma colei che va dietro all'amante, non ha problemi di stomaco! Quella di colpo inonda di vomito il marito, questa fra i marinai e prende la sua razione di cibo e passeggia su e giù per la nave e prova un vero godimento nel palpeggiare le ruvide gomene.

Eppure, per qual mai bellezza s'infiammò, da qual fulgore di gioventù fu conquistata Eppia? che mai ha veduto che valesse la pena di sentirsi chiamare la «gladiatora»? in effetti il suo Sergetto già aveva cominciato a radersi la gola e a sperare nel congedo per via delle ferite riportate al braccio; per non parlare delle numerose deformità visibili sul suo volto, come, per esempio, proprio in mezzo al naso un enorme bozzolo sfregato dall'elmo e il fastidioso malanno per cui uno dei suoi delicati occhietti colava di continuo. Ma era un gladiatore: ed è questo che li rende altrettanti Giacinti; questo ella antepose ai figli e alla patria, questo alla sorella e al marito. E il ferro quel che amano. Questo medesimo Sergio - una volta ricevuto il bastone del congedo - di colpo sarebbe cominciato a sembrarle tale e quale a Veientone! Ma tu ti curi di quel che è avvenuto in una casa privata, di quel che ha fatto un'Eppia? Volgi il tuo sguardo ai rivali degli dei, senti quel che ha dovuto sopportare Claudio! Quando sua moglie si accorgeva che il marito stava infine dormendo, sfrontata al punto di anteporre al talamo del Palatino un pagliericcio, da indossare nella notte un mantello con ampio cappuccio, l'Augusta meretrice lo lasciava, uscendo accompagnata da una sola ancella. Ed ecco, con una bionda parrucca a celare i neri capelli, entra nel caldo lupanare riparato da una vecchia tenda e nella stanzetta tenuta vuota apposta per lèi; e a quel punto nuda, con i capezzoli indorati, si offre ai clienti sotto lo pseudonimo di Licisca," e fa mostra del ventre che tè portò, o nobile Britannico. Accoglie con moine chiunque entra e chiede il prezzo delle sue prestazioni e giacendo senza interruzione assorbe in sé il seme di tutti. Infine, quando il lenone ormai congeda le sue ragazze, afflitta s'allontana e, non potendo ottenere di più, almeno strappa il permesso di chiudere la sua stanza per ultima, ancora in fiamme per la tensione dell'eccitata vulva e, spossata dai maschi ma non ancora sazia, si ritira e con le guance oscenamente luride, insozzata dal fumo della lucerna, porta l'odore del lupanare al talamo imperiale.

[Dovrei forse parlare dell'ippomane e delle formule magiche e del filtro fatto bollire e somministrato al figliastro? Più gravi colpe commettono spinte inesorabilmente dall'istinto imperioso del loro sesso e la libidine è solo il minore dei loro peccati]

«Ma come mai Cesennia è sposa irreprensibile, a sentire lo stesso marito?» Gli ha portato in dote un milione di sesterzi. A così alto prezzo egli è ben disposto a definirla pudica; non è che sia emaciato a causa dei dardi di Venere o che avvampi d'amore al tocco della sua torcia: è dal gruzzolo che sono accese le fiaccole, dalla dote provengono le frecce. La libertà si compra. Sotto gli occhi del marito può far cenni d'intesa e rispondere ai bigliettini d'amore dei corteggiatori: è vedova la donna ricca che si è sposata con un uomo avido di soldi!

«Perché Sertorio arde di passione per Bibula?» In verità, se vai infondo alla cosa, non è la moglie che ama, ma soltanto la sua bella faccia. Fa solo che le vengano tre rughe e la sua pelle si inaridisca e s'afflosci, le si iscuriscano i denti e gli occhi le si facciano più piccoli: «Fa' fagotto - le farà i dire da un suo liberto - e vattene fuori. Ormai ci hai stufato e poi ti soffi il naso di continuo. Vattene alla svelta e marsh! E’ in arrivo un'altra che ha il naso ben asciutto». Nel frattempo, però, è lei che, al calduccio, fa la regina ed esige dal marito pastori e pecore di Canosa e olmi di Falerno (suvvia... che sarà mai tutto ciò?!), tutti i giovani schiavi, interi stabilimenti servili, e tutto quel che manca in casa ma il vicino possiede, «si compri»! E a dicembre, quando ormai Giasone fattosi mercante è bloccato... alla vista e la bianca bancarella si leva come un ostacolo di fronte ai suoi marinai equipaggiati d'armi e bagagli, ella acquista e si fa portare a casa grandi vasi di cristallo e ancora più grandi vasi di murra, e poi il diamante più celebre e divenuto ancor più prezioso per aver ornato il dito di Berenice. Il barbaro Agrippa lo regalò un tempo all'incestuosa sorella perché lo sfoggiasse, là nella terra dove i sovrani celebrano le loro festività coi piedi scalzi e un'antica clemenza risparmia i porci, consentendo loro di invecchiare.

«Ma davvero nessuna trovi che t’appaia degna pur fra.così grandi schiere?» Sia pur bella, aggraziata, ricca, feconda, possa pur disporre in bella mostra sotto il suo porticato avi vetusti, sia più casta di qualunque fra le Sabine che un tempo, coi crini scarmigliati, seppero metter fine alla guerra (uccello raro sulla faccia della terra e davvero in tutto simile a un cigno nero!), chi potrà mai sopportare una moglie in cui si assommano tutte le qualità? Preferisco, sì, preferisco Venustina a tè, o Cornelia, madre dei Gracchi, se tu insieme con le tue grandi virtù mi porti il tuo gran cipiglio e mi metti nel conto della dote anche i trionfi della tua famiglia.

Riprenditi il tuo Annibale, te ne prego, e Siface sconfitto nel suo accampamento e con tutta la tua Cartagine trasloca di qui. «Pietà, ti scongiuro, o Peana, e tu, o dea, deponi le frecce; nessuna colpa hanno i fanciulli, trafiggete piuttosto la madre!» Così grida Anfione, ma Peana tende il suo arco. E dunque Niobe fece il funerale alle schiere dei suoi figli e al loro stesso padre, per essersi ritenuta più nobile della stirpe di Latona e pure più feconda della scrofa bianca. Quale serietà, del resto, quale bellezza può valer tanto da sentirtela metter sul conto ogni momento?

Persino da un bene raro ed eccezionale come questo non deriva alcun piacere, tutte le volte che in lei, guastata dalla superbia dell'animo, si trova più aloe che miele. Chi è soggiogato a tal punto dalla moglie da non averne ribrezzo e fastidio almeno per sette ore al giorno, anche se a parole la leva al cielo? Taluni difetti sono certo modesti, e tuttavia risultano intollerabili per i mariti.

Cosa c'è di più disgustoso del fatto che nessuna si reputa bella a meno che da Etrusca non si sia trasformata in Grecula, da Sulmonese in Ateniese verace? Tutto in greco e alla greca! [benché sia più vergognoso per le nostre donne ignorare il Latino] E’ in questa lingua che esprimono i loro tremori, in questa lingua danno sfogo alla loro ira, alle loro gioie, alle ansie, in questa riversano tutti i segreti palpiti dell'animo. Che dir di più? a letto ci vanno in greco! e si concedano tali vezzi alle ragazzine: ma tu, anche tu che senti battere alla porta gli ottantasei anni, ancora in greco...? in una vecchietta non suona pudica questa lingua! Ogni volta che ti lasci sfuggire quel lascivo intercalare «Vita e anima!», tu usi in mezzo alla folla parole lasciate or ora sotto le coltri. «Ma quale inguine non sarebbe in grado di eccitare una voce insinuante e lasciva?... ha le dita!!» E, tuttavia, per farti afflosciare tutte le penne: per quanto tu.possa pronunciare queste parole con più mollèzza di Emo e Carpoforo, la tua faccia presenta il conto esatto dei tuoi anni.

Se non sei in grado di amare colei che con regolare contratto di fidanzamento ti è promessa e congiunta, davvero non c'è nessun motivo per concludere le nozze, ne c'è ragione di sprecare la cena e i pasticcini che si usa regalare ai convitati a stomaco pieno al termine della cerimonia, ne il dono che si fa per la prima notte, quando da un sontuoso vassoio l'immagine del Dacico e del Germanico manda bagliori dalle monete d'oro che recano inciso il suo nome. Se, invece, sei per naturale ingenuità conciliante con la tua sposa e di una sola donna è schiavo il tuo animo, abbassa il capo col collo pronto a portare il giogo. Non ne troverai una sola che abbia pietà di chi l'ama. Anche se brucia d'amore essa stessa, prova godimento nell'infliggere tormenti a chi l'ama e nello spogliarlo. Perciò quanto più uno sarà marito ammodo e desiderabile, tanto meno gli gioverà una moglie.

Non potrai mai più fare un regalo senza il consenso della sposa, mai più effettuare una vendita se essa si oppone, niente più si potrà acquistare se lei non vorrà. Sarà lei a stabilire i tuoi affetti; si chiuda la porta in faccia a quel tuo amico ormai in là cogli anni, di cui la tua porta aveva veduto la barba. E mentre ruffiani e lanisti hanno facoltà di redigere il testamento come vogliono, e lo stesso diritto spetta ai gladiatori, tu più di un rivale sarai costretto a designare come erede sotto dettatura di lei. «Infliggi la pena della croce a questo schiavo!» «Ma per quale delitto lo schiavo s'è meritato questo supplizio? Chi si presenta come testimone? chi l'ha denunziato? Sta' a sentire: quando si tratta di mettere a morte un essere umano, non c'è mai esitazione che basti». «O sciocco, e che, forse, uno schiavo è un essere umano? Ammettiamo che non abbia fatto nulla, sia pure così: questa è la mia volontà, cosi io comando, sia il mio volere la sola ragione». Cosi essa domina sul marito. Ma ben presto abandona questo regno e cambia di casa e calpesta il velo da sposa; ma anche di là se ne vola via e torna sulle tracce del talamo sprezzato.

Lascia le porte poco prima adornate, i tendoni ancora montati e i rami che, sulla soglia, ancora non hanno perso il verde. Così cresce il numero, così si totalizzano otto mariti in cinque autunni, impresa degna davvero di essere registrata nell'iscrizione sepolcrale.

Non c’è da sperare concordia familiare finchè è in vita tua suocera. E’ lei che le insegna a godersi le spoglie del marito riducendolo sul lastrico, lei che le insegna a rispondere ai bigliettini che il seduttore le invia senza usare espressioni goffe o troppo esplicite, è lei che inganna i custodi, oppure li piega al suo volere col denaro. Poi, pur in stato di perfetta salute, manda a chiamare Archigene e scalcia sotto le coltri troppo pesanti. Nel frattempo, l'amante se ne sta ben nascosto e rimpiattato e, impaziente dell'indugio, senza fiatare si manovra il prepuzio. Non ti aspetterai mica che la madre le trasmetta costumi onesti e diversi da quelli che sono i suoi? Ma poi... è anche un affare vantaggioso per una vecchia spudorata far venire su spudorata anche la figliola!

Quasi non c'è processo in cui non sia una donna ad aver messo in moto l'azione legale. Manilla avanza l'accusa, se non è lei l'accusata. Approntano da sole e stendono in bella forma gli atti, pronte a dettare a Gelso l'esordio e i punti salienti dell'argomentazione.

Chi ignora le tuniche da ginnastica (ma in porpora tiria!) e l'unguento per atlete? o chi non. ha veduto le ferite inferte al palo? con incessanti colpi di bastone essa lo incava, lo provoca con lo scudo ed esegue tutte le mosse previste, matrona degna in tutto e per tutto della tromba dei giochi di Flora, a meno che non nutra in quel suo ardito petto qualche progetto di maggior respiro e non si prepari per l'arena vera e propria! Quale pudore può mai mostrare una donna con l'elmo in testa, che rifugge dal suo sesso? Ama il vigore fisico: e tuttavia si guarderebbe bene dal voler diventare uomo, e a ragione giacché... che piccola cosa è il piacere di noi maschi! Che figura, se si facesse un'asta delle cose di tua moglie: il cinturone di cuoio e i bracciali, l'elmo crestato e mezza gambiera per la sinistra! oppure, se deciderà di dedicarsi a un differente tipo di combattimento, che felicità per tè quando la tua giovane sposa metterà in vendita gli schinieri! Eppure sono proprio queste le donne che sudano ad avere indosso una veste sottile, a cui persino un velo di seta brucia le delicate bellezze! Osserva con che sbuffi esegue a puntino i colpi che le sono stati insegnati e quanto sia pesante l'elmo sotto il quale si piega, quanto larga e di che spessa scorza sia la fascia che le recinge i polpacci e fatti una bella risata quando, deposte le armi, prende il suo pitale a navicella per orinare! Ditemi voi, donne discendenti da Lepido o da Metello cieco o da Fabio Gurgite, quale donna di gladiatore ha indossato mai tali vesti? quando ansima davanti al palo la moglie di Asilo? Il letto in cui giace una moglie è sempre teatro di liti e di reciproci insulti: vi si dorme pochissimo. Ma soprattutto allora è intollerabile per lo sposo, allora è più feroce di una tigre cui abbian strappato i cuccioli, quando simula i singhiozzi, avendo sulla coscienza una colpa segreta, o se la prende con i paggetti del marito o s'inventa una sua concubina per poter piangere a dirotto, con un fiume di lacrime sempre pronte al loro posto di guardia ad aspettare soltanto l'ordine di colare nei modi da lei voluti. Tu lo credi amore, tu bruco, ti compiaci di tè stesso e con la tua boccuccia asciughi il suo pianto: eppure che belle lettere e quanti bigliettini potresti leggere se ti si dischiudessero gli scrigni dell'adultera che si mostra tanto gelosa! Ma eccola a letto fra le braccia di uno schiavo o di un cavaliere. «O Quintiliano, suggerisci tu, ti prego, suggerisci a questo punto qualche attenuante». «Non saprei proprio. Dilla tu stessa!» «Avevamo convenuto un tempo - dice - che tu potessi fare quel che volevi, ma che anch'io potessi concedermi qualche diversivo. Puoi strillare e arrovesciare mare e cielo, anch'io sono un essere umano!» Nulla al mondo è più sfrontato di loro quando sono còlte in flagrante: traggono, ira e coraggio dal loro stesso delitto.

Ma vuoi sapere da dove o da qual fonte scaturiscano queste mostruosità? Un tempo l'umile condizione di vita assicurava la castità delle donne Latine ne permettevano ai vizi di contaminare le piccole dimore la fatica e la brevità del sonno e le mani sciupate e indurite dalla lana etrusca e la vicinanza di Annibale alla città e i mariti di guardia sulla torre Collina. Adesso subiamo i danni di una pace troppo lunga; più crudele della guerra, il lusso è piombato su di noi e vendica il mondo da noi sottomesso. Non manca un solo delitto o misfatto dettato dalla libidine dacché è svanita la Povertà romana. E da allora che presero a rovesciarsi su questi nostri colli e Sibari e Rodi e Mileto e Tarante, adorna di corone e sfacciata e madida di vino. Per primo l'osceno denaro ha introdotto i costumi stranieri e le molli ricchezze hanno fiaccato le generazioni col lusso vergognoso. Di che mai si fa scrupolo la libidine esaltata dall'ebbrezza? Non conosce più la differenza fra inguine e bocca colei che, ormai a metà della notte, prende a morsi ostriche enormi, quando spumeggiano i profumi riversati a profusione nel Falerno non annacquato, quando si beve dal vaso a forma di conchiglia, quando ormai per via del capogiro il soffitto se ne va a spasso e si solleva la tavola, mentre le lucerne si raddoppiano di numero. Coraggio, su, abbi ancora dei dubbi sul senso della smorfia con cui Maura sibilando aspira l'aria, quando passa accanto al vecchio altare di Pudicizia, sul senso delle parole che Tullia, la sua sorellina di latte, rivolge alla famigerata Maura. La notte proprio qui fanno fermare le loro lettighe, proprio qui vogliono orinare e mondano dei loro lunghi zampilli la statua della dea e a turno si cavalcano e si agitano al lume vigile della luna, poi se ne tornano alle loro case: e tu al nuovo giorno, mentre ti rechi a far visita ai tuoi importanti amici, calpesti l'urina di tua moglie!

Ben noti sono i riti segreti in onore della dea Bona, quando il flauto eccita i lombi e, stravolte insieme dal suono del corno e dal vino, queste menadi di Priapo si scatenano, e fanno roteare le chiome e lanciano ululati. O che smisurata frenesia d'amplesso allora nelle loro menti, come diventa la voce quando palpita in loro la libidine, che immenso fiume di vino puro e vecchio scorre a bagnare le loro gambe! Saufeia sfida le ragazze del bordello, messa in posta una corona, e vince il premio della gara di ancheggiamento, ma poi essa stessa resta in contemplazione adorante dell'ondeggiare di Medullina che dimena i fianchi: la palma della vittoria è divisa equamente fra le due matrone, il valore risulta proporzionale alla nobiltà di nascita. Non c'è atto che ivi si fìngerà per gioco, ma tutto avverrà per davvero, sì che si potrebbe infiammare d'eccitazione il figlio stesso di Laomedonte, ormai raggelato dall'età avanzata, e Nestore con tutta la sua ernia.

A quel punto la foia non sopporta più indugio, allora la femmina si mostra veramente per quel che è, e all'unisono un grido riecheggia da tutti gli angoli dell'antro: «ormai è lecito, si dia accesso ai maschi!» Se l'amante è a letto che sonnecchia, ella fa ordinare al giovane di incappucciarsi nel mantello e di venire in tutta fretta; se proprio non si trova, si da l'assalto agli schiavi; se non c'è da sperare negli schiavi, si fa venire - magari anche preso a nolo - l'acquaiolo; se questi si deve cercarlo e intanto, mancano gli uomini ella non ha nessuno scrupolo a stendersi con chiappe sono un asinello.

E almeno gli antichi riti e le pubbliche cerimonie sisvolgessero al riparo da queste degenerazioni! ma tutti i Mauri e gli Indiani sanno che razza di suonatrice di cetra sia , stata quella che introdusse il suo pene - più grosso del rotolo coi due libri dell'Anticatone di Cesare - là donde fugge perfino il topo consapevole di avere i testicoli, e dove c'è ordine di velare ogni pittura che rappresenti figure dell'altro sesso. Eppure allora chi mai fra gli uomini soleva disprezzare la divinità o chi aveva mai osato farsi beffe della coppa di Numa e del suo nero catino e dei fragili piatti fabbricati sul monte Vaticano? Ma ora a quali altari non si presenta un Clodio?

[Sento il consiglio che da tempo voi, vecchi amici, mi date: «metti il catenaccio, tienila chiusa!» Ma chi farà la guardia ai guardiani stessi? La sa lunga la moglie e proprio da loro comincia.]

E ormai la stessa libidine,accomuna le donne di più alta condizione e le piu umili, e non è migliore quella che batte a piedi il nero selciato di colei che, in lettiga, si fa portare in spalla dagli spilungoni di Siria.

 
 
 
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