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UNIONI CIVILI, FAMIGLIE "ARCOBALENO" E DIRITTI NATURALI (4)

Post n°73 pubblicato il 13 Maggio 2016 da giulio.stilla

 

UNIONI CIVILI, FAMIGLIE “ARCOBALENO” E DIRITTI NATURALI    (4)

 

Ci si deve sempre riguardare dal rischio reale e quotidiano di strumentalizzare l’umanità che è in noi e negli altri, perseguendo i nostri personalissimi obiettivi, interessi ed utilità, che in genere offendono la dignità nostra e quella degli altri.

Spesso, non ce ne accorgiamo nemmeno, perché riteniamo le nostre interrelazioni umane eticamente lecite e giustificate dal fatto che così fan tutti. Non è “così”. La dignità degli altri non va strumentalizzata. La nostra umanità non è fatta di scalini sui quali possiamo ascendere per raggiungere la sommità della scala, che, quasi sempre, nella nostra società, la si confonde con il successo, immeritato, con la carriera del talento, inesistente, con la promozione sociale, sempre sorretta dalla “raccomandazione, con le ingenti ricchezze, quasi sempre accumulate con il furto, con il crimine, con il calpestio della dignità altrui.

Bisogna tendere a istituire “il regno dei fini”, prescrive la massima kantiana. Noi per gli altri e gli altri per noi devono essere dei “fini”  e mai dei “mezzi” per appagare il nostro egoismo, la nostra “sensibilità”,  dimensione assolutamente umana, dalla quale, però, dobbiamo decondizionarci, ogni qual volta dobbiamo assumere la veste della moralità.

La natura dell’uomo, ricorda Kant, è bidimensionale. E’ fatta di sensibilità e ragione. Se prevale la prima sulla seconda, prevale la nostra irrazionalità, il nostro egoismo, e non siamo in pace con la morale, che richiede il dovere di superare le tentazioni e contribuire ad istituire una società fatta da uomini liberi e razionali, in cui la dignità dell’essere, sommo valore dell’umanità, è sacra ed inviolabile.

Con l’esempio riportato sopra della cosiddetta “maternità surrogata”, una pratica, a mio modesto parere, assolutamente prostitutiva, si offende per tre volte la dignità dell’essere uomo.

Una prima volta, nel momento in cui una donna vende al costo di decine di migliaia di dollari il proprio utero, offende la propria dignità di essere “mamma”.

Una seconda volta, quando il neonato è sottratto alla sua madre naturale ed affidato a chi l’utero non l’ha mai avuto, si offende la dignità del figlio, che non può essere oggetto di mercimonio.

Una terza volta, quando il bimbo sarà cresciuto da una psicologia di famiglia, che non implica la diversità di generi, si offende ancora la dignità del figlio che ha il diritto naturale di essere cresciuto ed educato dalla complementarità di due coniugi: mamma e papà.

Né valgono per confutare questa mia deduzione, le logiche surrettizie volte a garantire al figlio adottato un amore genitoriale, tanto grande quanto inteso e preteso come “diritto”.

No! Non è un diritto. E’ un desiderio quanto vogliamo comprensibile, comprensibilissimo, ma non è un diritto. E’ un’aspirazione alla propria felicità, che le leggi positive, però, non possono tradurre in diritto civile, perché manca a quest’ultimo il sostegno del diritto naturale o razionale.

 Il concepimento di una vita dà luogo al diritto alla vita e non al soddisfacimento di un nostro desiderio di avere un figlio. "L'utero in affitto" - che brutta espressione - è una tecnica che scambia i diritti naturali con i nostri desideri. Personalmente, amo una donna, anche perché concepisce nel suo utero mio figlio, che ha il diritto ad una crescita integrale, cioè biologica, psicologica, culturale, sia nel contesto famigliare sia in quello sociale. Per favore, non confondiamo i nostri diritti con i nostri desideri. Anch’io, che deambulo su sedia a rotelle, desidero ardentemente vivere l’emozione di scalare le vette alpine, ma ho qualche dubbio che questo mio desiderio possa essere inteso come un diritto.

Tutti - donne, uomini, omosessuali - abbiamo diritto alla vita, all'assistenza, all'amore, all'integrità fisica e psicologica, alle libertà civili, alle “unioni civili”, di cui è stata varata, l’altro giorno, in Parlamento la Legge, che rende giustizia alle cosiddette coppie “di fatto”, ma per ciò stesso a questi diritti accede per natura il concepito, cioè il germoglio, che cresce solo per virtù naturale nell'utero, non preso in affitto come il corpo di una prostituta, ma di una madre che lo vive, che lo sente, che le piace in piena commozione d'amore e di affetti con il suo papà. Tutto il resto è frutto delle astuzie degli uomini che piegano la morale alle proprie convenienze edonistiche e sociali.

La dignità della persona, condizione ontologica, cioè costitutiva, dell’umanità, non può essere offesa in qualsivoglia condizione esistenziale essa si trovi né dallo Stato né da un privato cittadino, né nei ghetti né nelle affollate carceri italiane né nei bracci della morte dei penitenziari americani, né sui marciapiedi né nei tuguri, né a Lesbo né a Lampedusa, e nemmeno negli uteri materni.

La dignità della persona trascende la sua condizione spazio-temporale e postula il rispetto della sua vulnerabilità soprattutto da parte delle tecniche e delle scienze, che devono rimanere al servizio e alla tutela dell’umanità, e non questa al servizio di esse, il cui progresso può andare all’infinito, sempre, però, sotto la responsabilità etica della natura dell’uomo.

Non smarriamo i lumi della ragione con il rischio di perdere per sempre l’Umanità. Scrive il filosofo d’Alembert, grande collaboratore di Diderot nella realizzazione della famosa Enciclopedia, alla voce “filosofo”:

“La ragione, rispetto al filosofo, è ciò che la grazia è rispetto al cristiano: La grazia determina il cristiano ad agire; la ragione determina il filosofo. Gli altri uomini sono trascinati dalle passioni senza che i loro atti siano preceduti da riflessione: sono uomini che procedono nelle tenebre; mentre il filosofo, anche nelle passioni, agisce soltanto dopo aver riflettuto; avanza nella notte, ma una fiaccola lo precede”.

E’ la fiaccola della razionalità e della corretta socialità che deve guidare ogni uomo e soprattutto il legislatore, ai tempi di oggi, nelle tenebre dei Valori.

 

  

 

 

 

 

 

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