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« L'UNITA' IDENTITARIA D...NIETZSCHE E IL NICHILISMO (2) »

L'UNITA' IDENTITARIA DELMPOPOLO ITALIANO (2)

Post n°43 pubblicato il 30 Marzo 2015 da giulio.stilla

 

 

                           L'UNITA' IDENTITARIA DEL POPOLO ITALIANO    (2)

 

Io, invece, per spirito di paradosso, consiglierei ai giovani, che si avviano a corrompere o ad essere corrotti, il poemetto del filosofo del Settecento inglese, Bernard de Mandeville,  il cui titolo soltanto  - "L'alveare scontento, ovvero i furfanti divenuti onesti", ripubblicato una seconda volta con il titolo "La favola delle api:  ovvero Vizi privati, pubbliche virtù",  -  darebbe parvenza di legittimità alla corruzione, alla concussione, alla violenza declinata in tutte le sue sottili dimensioni, non in mezzo ai briganti tradizionali, ma in mezzo alle Istituzioni e alle Corporazioni, che controllano con spocchia e  cipiglio burocratico i meccanismi di accesso al mondo del lavoro, alla carriera professionale, alla progressione politica ed amministrativa in tutti i gangli vitali dello Stato.

Non è più tempo per indugiare, per rimandare e per dilapidare le poche, scarse risorse economiche della nostra società. Non è più sopportabile una disoccupazione giovanile che supera il 40% dei giovani. L'Italia per la sua posizione geopolitica ha una grande responsabilità di fronte all'Europa e al Mondo. Bisogna ricuperare ingenti ricchezze e grandi investimenti economici per fronteggiare i pericoli, dalle dimensioni imprevedibili, che volteggiano come giganteschi spettri sulle onde del Mare Mediterraneo.

 L'Italia deve ritrovare subito la sua capacità di svolgere un ruolo di grande Paese di confine con le sponde settentrionali dell'Africa, incrementando il libero scambio commerciale, culturale, interreligioso, turistico e politico con le nascenti democrazie della cosiddetta "Primavera Araba". In particolare con la Libia e la Tunisia, dove sembra che, proprio in questi giorni, la sua democratica "Rivoluzione del Gelsomino" sia messa in pericolo dalla strage di Tunisi, al Museo del Bardo.

L'Italia deve signoreggiare sul "Mare nostrum", non come supponevano di fare i fascisti di Mussolini, che non furono capaci di sottrarre nemmeno l'isola di Malta all'Impero Britannico, ma con le armi della intelligenza, della economia, del libero interscambio di risorse e di talenti scientifici.

 Se aspettiamo che per fare tutto questo ci venga in aiuto la UE o la Germania della cancelliere Angela Dorothea Merkel, vuol dire che non abbiamo capito ancora una volta un cavolo. Siamo noi che dobbiamo prendere le iniziative e le intraprese, per riecheggiare, questa volta, in senso metaforico, "Tripoli, bel suol d'amore!", la canzonetta che si cantava in Italia, nel 1911, per magnificare la conquista della Libia, salutata da Giovanni Pascoli con il discorso: "La grande Proletaria si è mossa".

Ma per fare questo, dobbiamo essere governati da grandi Statisti con gli attributi virili scientificamente provati e sorretti da una serietà collettiva, pervasa tutta da onestà, onore, educazione, istruzione, solidarietà e capacità di sacrifici.

 Ostracizzare la corruzione e i corrotti e i politici di accatto. Infierire sui ladri, svergognare i furbi e cacciare i mercanti dal tempio.

Ma forse io sto farneticando! Allora, è inutile chiedersi: "qual è il carattere fondamentale del popolo italiano?".  La domanda è retorica, perché la risposta è implicita in tutto quello che ho detto.

Aveva ragione Benedetto Croce, quando scriveva, nella sua opera "Teoria e storia della storiografia", che il profilo identitario di un popolo è "la sua storia, tutta la sua storia, nient'altro che la sua storia". (Cfr.: Adelphi, Milano, 1989, pp.378-380).

 Un popolo, come ciascun di noi, è figlio del proprio tempo. Il passato, che ci ha dato i natali, è stato edificato con gli strumenti della prevaricazione e della sopraffazione ma anche con le capacità di intelligenza con cui piccole minoranze poterono reagire per dare un indirizzo più umano e più civile al tortuoso corso degli eventi, lottando ed immolando eroicamente le proprie esistenze per l'affermazione delle leggi dello spirito su quelle della violenza.

Spetta a noi, alle nostre generazioni presenti, raccogliere la consegna di tutti quei valori che esaltano la vita, i diritti razionali e le libertà delle persone e dei popoli per continuare a progredire sulle vie delle civiltà.

Spetta a noi edificare la storia del futuro che possa consentire alle generazioni che verranno una libera coesistenza sociale, sorretta da una reale coscienza democratica e da vincoli culturali, religiosi, umani, talmente saldi da sconfiggere sul nascere non solo qualsiasi atto di violenza e di barbarie ma soprattutto la ignoranza, che era e resta la radice tossica di tutti i mali.

Matteo Renzi parla del Partito della Nazione, quando delinea il suo programma di riforme sociali, economiche ed istituzionali ed io, se intendo correttamente il valore semantico della sua espressione, mi avverto compiaciuto nel sentire che un giovane Primo Ministro della Repubblica abbia abbandonato lo spirito settario della politica dei partiti tradizionali per informare le sue azioni di governo al grande spirito di popolo-nazione che aspetta da 154 anni di trovare la sua coesione come popolo e come nazione.

Avranno un seguito concreto le parole e i propositi dell'ex-Sindaco di Firenze? Molti Italiani se lo augurano, anche se, a giudicare dalle esperienze del passato, gli enunciati e i proclami nella politica nostrana hanno sempre avuto il carattere provvisorio della contingenza e l'astuzia del machiavellismo, finalizzato a perseguire molto di più gli interessi privati del gruppo di appartenenza che il bene e gli interessi collettivi di una società complessa, come quella italiana.

Il Partito della Nazione deve partire da una grande riforma della Scuola e della Cultura tradizionale, occupate entrambe da una presenza soffocante dei Partiti politici, che a rotazione hanno depresso le libertà, le iniziative individuali e lo spirito di immaginazione dei cittadini italiani.

Abbiamo ancora una Scuola che in larga misura è diretta sul campo da burocrati incompetenti ed arroganti, che non hanno mai letto un libro di didattica, di pedagogia, di gestione dei talenti.

Abbiamo ancora una Scuola in cui un notevole numero di "Dirigenti" ha occupato le presidenze per effetto automatico della promozione loro elargita in virtù del servaggio prestato alla influenza di questo o di quell'altro mercante di voti elettorali.

Abbiamo ancora una Scuola in cui gli Insegnanti fanno parte integrante del comparto sindacale dei bidelli e degli operatori delle pulizie dei locali in nome di un collettivismo di settore, che deprime il merito, umilia la intelligenza, scoraggia la ricerca, offende la didattica.

Abbiamo ancora una Scuola in cui spesso hanno trovato rifugio occupazionale operatori privi di attitudini insegnative, senza alcuna preparazione psico-pedagogica, e rispettabilissime signore senza eccessive pretese salariali, contribuendo a svalutare il delicatissimo ufficio dell'insegnante, che dovrebbe essere pagato per la sua intelligenza, la sua dignità sociale e per i suoi meriti, così come viene pagato in altri civilissimi Paesi europei.  

 Si è prestata, così, per decenni, materia di rappresentazione alla farsa, alla commedia, alla parodia della scuola di certa filmografia che quasi mai ha lasciato spazio ad inchieste e considerazioni sociali sulla serietà, la delicatezza, la importanza di avere una Scuola che possa e debba essere reputata da tutti il volano di sviluppo di un grande Paese all'avanguardia della scienza, della tecnica e del progresso.

Il Partito della Nazione dovrebbe espellere subito i partiti politici dalla Radiotelevisione pubblica, che, per decenni, ha addomesticato lo spirito critico e addormentato le coscienze con programmi "nazional-popolari" e divulgazioni politiche, economiche, finanziarie, dettate dalla lottizzazione partitica delle emittenze.

Il Partito della Nazione dovrebbe risvegliare lo Spirito di trenta secoli di Civiltà: da quella etrusca a quella greco-romana, a quella medioevale, a quella umanistico-rinascimentale, a quella romantica e contemporanea, liberando lo spirito racchiuso nelle città sepolte dell'antichità, nei monumenti, nelle testimonianze delle gesta eroiche, nello sterminato patrimonio archeologico e nelle grandi Opere della scultura, della pittura, della musica, nei Musei e nelle Città d'Arte.

In questi templi a cielo aperto verrebbero ogni anno milioni di visitatori stranieri e cittadini italiani "ad ispirarsi", come Vittorio Alfieri in Santa Croce a Firenze, obliando "sul volto il pallor della morte" e coltivando viva "la speranza" che l'Italia ritrovi, come ai tempi del Rinascimento, la missione umanistica e civilizzatrice sul Mare Mediterraneo e nel Mondo.

Giovanni Amedeo Fichte, il filosofo dell'Idealismo Etico e dell'Infinito, il filosofo dello "Streben" dello Spirito  che non  si arresta di fronte alle difficoltà, anzi pone a se stesso gli ostacoli per affermare la sua attività creatrice ed infinita, scrisse, nel 1807, "I Discorsi alla nazione tedesca", una delle Opere più famose e concettualmente penetranti della letteratura filosofica universale.

 In essa Fichte argomenta le ragioni perché la Germania debba svolgere un ruolo-guida per il mondo intero, avendo conservato intatto, per tanti secoli, il primato spirituale di un grande popolo, riconducibile alla purezza e alla unitarietà nel tempo della lingua, veicolo della grande cultura tedesca e struttura portante della filosofia tradizionale, della letteratura e dell'idealismo romantico.

Il messaggio spirituale di questo filosofo sarà poi scientemente frainteso dalle generazioni future nel senso che le politiche infami ed abiette, intese a magnificare la potenza militare della Germania, porteranno con il Nazismo a parlare di "primato biologico e razzista", che nulla c'entrava con la missione etica e razionale di spiritualizzare il mondo, di cui parlava Fichte.

Ho voluto consapevolmente richiamare alla memoria storica i "Discorsi" di Fichte per significare che a noi Italiani di oggi mancano le grandi guide spirituali e morali,  i grandi carismi politici che trascinano il popolo ad impersonare le grandi virtù civili, i grandi valori morali e razionali, di cui parla la Filosofia.

Questa, anzi, nelle scuole italiane non la si insegna più. Viene spesso derisa come uno "studio inutile, che non serve a niente", cadendo così in una grave ed inavvertita contraddizione da parte degli stupidi che l'affermano. La Filosofia, infatti, "non serve a niente", perché è una scienza nobile e libera; non è serva di altri interessi, non è schiava del potere politico, economico e finanziario, non serve alla scarsa lungimiranza della nostra Classe dirigente, dei nostri parlamentari, dei nostri consiglieri regionali, dei nostri governanti e dei nostri ministri della pubblica istruzione, che ripongono le ragioni della loro esistenza nel cinismo, nella strafottenza, nella rissa dei partiti di appartenenza, nella ricerca morbosa dei propri affari privati e nella greppia della corruzione.

La Filosofia non serve a nessuno e a niente, perché è serva soltanto della Libertà, della Intelligenza, della Moralità e della Razionalità per la creazione di una Società fatta di persone libere e razionali.

D'altronde, a confortare queste mie modeste ma sentite considerazioni è di grande aiuto ricordare un altro "Discorso", scritto da Giacomo Leopardi in un altro contesto socio-culturale ed etnico-civile dell'Italia dei primi decenni dell'800, molto simile anzi identico a quello nostro attuale. Mi riferisco al "Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani", scritto dal poeta-filosofo di Recanati nel 1824 e pubblicato solo nel 1906, in cui il cantore dei Grandi Idilli, pur scusandosi con i fratelli d'Italia, mette a nudo tutti i vizi, abitudini, usanze e consuetudini non affatto edificanti del popolo italiano.

L'oggetto di questo importante trattato di filosofia, che fa il paio ma in senso opposto ai "Discorsi alla nazione tedesca" di Fichte, è che una società civile, in Italia, semplicemente, non esiste:

........ "lo spirito pubblico in Italia è tale, che, salvo il prescritto dalle leggi e ordinanze de' principi, lascia a ciascuno quasi intera libertà di  condursi in tutto il resto come gli aggrada, senza che il pubblico se ne impacci, o impacciandosene sia molto atteso, né se n'impacci mai in modo da dar molta briga e da far molto considerare il suo piacere o dispiacere, approvazione o disapprovazione. Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segua l'uso e il costume proprio, qual che egli si sia"

In Italia, le Leggi da sole non bastano a  contrastare la corruzione e il disonore, le Leggi non sono sufficienti a regolare i costumi, per il semplice fatto che "gli Italiani hanno piuttosto usanze ed abitudini che costumi" e sono avvezzi a distruggersi fra di loro che a stringersi in fratellanza per il bene comune:

"...... per le dette ragioni, il cinismo è tale che supera di gran lunga quello di tutti gli altri popoli, parlando proporzionatamente di ciascuna classe. Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d'altronde con più società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini, piuttosto degli assenti che dei presenti, perché una società stretta non può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo".

La morale in Italia è distrutta e Dio solo sa quando vi nascerà un'etica pubblica tale che possa fare degli Italiani un popolo e una società civile. E' una diagnosi impietosa, lucida, inesorabile e freddamente distaccata, questa del Leopardi, che sembra essere stata scritta in questi giorni in cui si discute in Parlamento delle nuove Leggi anticorruzione.

"Le classi superiori d'Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico di tutti i popolacci. Quelli che credono superiore a tutte per cinismo la nazione francese, s'ingannano. Niuna vince né uguaglia in ciò l'italiana. Se gli stranieri non conoscono bene il modo di trattare degl'italiani, massime tra loro, questo viene appunto dalla mancanza di società in Italia, onde è difficile a un estero il farsi una precisa idea delle nostre maniere sociali ordinarie".

 

Se l'Italia è rimasta il Paese di cui parla il Leopardi, due secoli fa, Il Partito della Nazione di cui parla il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non può essere considerato una barzelletta o motivo di vana propaganda elettorale. Esso dovrebbe avviare un lungo processo di palingenesi culturale ed addirittura antropologica del popolo italiano, perché trasformare la struttura e la statura intellettuale e morale di un popolo è possibile, ma è una impresa tanto difficile quanto grandiosa.

Richiede tempo e perseveranza da parte di Uomini coraggiosi e da parte di un popolo che deve essere educato da una grande Idea pedagogica a coltivare nelle scuole ed attraverso i media di comunicazione i Valori intramontabili delle Conoscenze, dell'Etica della polis, della Religione, della Moralità individuale, della Politica intesa come ricerca razionale del Bene dei Cittadini.

Questo era il messaggio del Leopardi, che l'Italia potesse assurgere a grande Nazione, se solo avesse coltivato, oltre che la immaginazione e la fantasia, il senso dell'onore, del pudore, della solidarietà e della pubblica moralità.

Il carattere fondamentale di un popolo sta, dunque, nel suo divenire," nella sua storia, nient'altro che nella sua storia", la quale, per quanto, dialetticamente travagliata possa essere stata, deve tendere sempre ad una sintesi che possa fare giustizia delle tragedie e degli errori del passato.

Giuseppe Prezzolini, che di storia d'Italia e d'Italiani se ne intendeva, in una conferenza tenuta a Lugano, nel 1979, dov'era in volontario esilio, sosteneva con icastica rappresentazione che l'individualismo è il carattere fondamentale degli Italiani, che ha sempre impedito la costituzione dell'Italia in nazione.

 Lo storico Giordano Bruno Guerri, il 10/04/2010, pubblicava sul "Giornale", per la prima volta, la conferenza di Prezzolini, dalla quale mi permetto di stralciare  alcuni  significativi passaggi che ci aiutano a riflettere ancor meglio sulla Italia di oggi.

Diceva Prezzolini:

"Quali sono le grandi creazioni politiche dell'Italia? La prima è il comune. Il comune è una cosa straordinaria: dal buio del Medioevo, dal buio della fine dell'impero romano, dalla confusione, dal disordine sorgono qua e là in Italia dei piccoli centri che si chiamano città. A un certo momento hanno il diritto di chiamarsi «città»: Modena, Parma, Piacenza, Lucca, Pisa, Fierenze.
Ognuna cerca di avere dal potere di allora, dall'imperatore, dal Papa, il diritto di essere uno Stato. E questi Stati si fanno la guerra, per secoli, fino che uno non inghiotte l'altro, quando può.
  [.....]
Chi ha evidenziato questa importanza della città nella storia italiana, non solo nella storia politica, ma nella storia morale del popolo italiano, fu una persona che è stata presso di voi vent'anni e, nonostante che fosse cittadino di Milano, ebbe anche delle cariche cittadine - perché allora la Svizzera permetteva a degli stranieri di avere delle cariche pubbliche -: Carlo Cattaneo, il quale partecipò alle vostre polemiche locali, com'era lui attaccabrighe, rivoluzionario e quindi anche con un grande ingegno, ma quasi sconosciuto in Italia
L'Italia non ha mai accettato Cattaneo per la semplice ragione che Cattaneo era propagatore del concetto che il migliore Paese, la migliore amministrazione, il migliore sistema politico è quello della Confederazione, quello che aveva visto qui in Svizzera. Lo propose all'Italia, ma l'Italia gli prepose Mazzini, che voleva l'unità.
Perché? Perché per Mazzini la politica dipendeva da Dio, cioè da un concetto di unità universale. [....]
.Il concetto di un governo generale, uguale per tutti, è un concetto mazziniano: non è un concetto di Cattaneo.

Cattaneo è stato un apostolo, invano - ed anche un grande scrittore per conto mio - della amministrazione locale. Ed infatti, quando si parla con gli italiani,... questi italiani non si sono mai rassegnati a quello che gli è venuto dal di fuori.
Questo Risorgimento è stato un vestito straordinario, un vestito non comune, messo sopra delle persone che non lo potevano portare.

Oggi si vede che cosa è accaduto con il Risorgimento.
L'Italia attuale è una triste cosa... triste: per un italiano è una triste cosa, un triste momento, e speriamo che si sollevi da questo.

Ma questa tristezza viene anche dalle sue origini: false. L'italiano non ha mai sentito, come gli inglesi, il bisogno della libertà.
La libertà, nei comuni italiani, era semplicemente l'indipendenza dai comuni vicini. Quando i fiorentini si dichiararono «liberi», lo fecero perché non volevano che venisse il governo spagnolo a comandarli. Oppure, nel caso di Siena, i cittadini di Siena combattevano per la «loro» libertà.

La parola «libertà», in Italia, ha per significato «il comodo mio»: io faccio il comodo mio, voglio la mia libertà, non la libertà degli altri, non la libertà delle altre idee, non la libertà di polemica, non «la libertà»...

 

Il richiamo che fa Giuseppe Prezzolini al progetto del Federalismo coltivato, negli anni '50 del 1800, da Carlo Cattaneo per l'Italia, inteso come  "la migliore amministrazione", "il migliore sistema politico" sull'esempio della Confederazione Elvetica, da preferire alla "UNITA' mazziniana, è di grande importanza attuale, se solo si  considera che il "regionalismo", sancito dalla Costituzione e realizzato dalla cosiddetta Prima Repubblica, è fallito miseramente in un oceano di corruzioni e in uno sperpero incalcolabile di danaro pubblico, che da solo basterebbe a gratificare la vergognosa piaga sociale di 11 milioni di cittadini (anziani, disoccupati e giovani disperati) che sopravvivono in uno stato di estrema povertà.  

Il richiamo di Giuseppe Prezzolini al Progetto della Confederazione di Carlo Cattaneo è altresì di grande importanza e lucido ammonimento   per la organizzazione politica, amministrativa e finanziaria dell'Unione Europea, che, proprio in questi nostri anni, rivela tutti i gravissimi limiti di una gigantesca Costruzione dalle fondamenta sabbiose.

Si sta compiendo o forse si è già compiuto l'errore commesso per la Unificazione nazionale dell'Italia, non voluta dalle popolazioni, cioè dal basso, ma calata dall'alto, dalle esigue minoranze economiche e finanziarie che solitamente passano per classi illuminate.

Io ritengo che questo sia già accaduto per la costituzione dell'UE, nel senso che grandi Poteri Finanziari hanno messo, dicevano gli antenati, un basto nuovo su un asino vecchio, hanno creato una moneta unica, l'EURO, in un contesto di Paesi associati, senza Stato, senza Popolo, senza Nazione.

E' accaduto già sulla Penisola italiana, che, a distanza di 154 anni dalla proclamazione dell'Unità nazionale, sembra proprio, in molte circostanze, che non ci sia né lo Stato né un Popolo né una Nazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Commenti al Post:
rudi63
rudi63 il 15/04/15 alle 14:47 via WEB
Mio fratello è una delle vittime della strage di tunisi. Il terrorismo é un Tumore che ci riguarda tutti e va combattuto in tutti i modi possibili. Senza mai abbandonare la razionalità. Perché la fede senza razionalità conduce alle più grandi tragedie. Ma anche la razionalità senza la fede produce cose terribili (come per esempio i venditori di armi). ........ L'elenco dei responsabili della morte di mio fratello è molto molto lungo.
 
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