Creato da giulio.stilla il 21/04/2014
Un po' per celia, un po' per non morire...

Area personale

 
 

Archivio messaggi

 
 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

Cerca in questo Blog

 
  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 

Ultime visite al Blog

 
rio33giulio.stillabrunagaglianoalessiamarcolinamagistri1aieiebraso_2015cicalagpsagredo58topobimbo.66mlr777Fanny_Wilmotgiovanni80_7Tony_058Elemento.Scostante
 

Chi può scrivere sul blog

 
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

 

 
« DUE COMMENTILA PRESENZA DEL MALE NEL... »

LA PRESENZA DEL MALE NEL MONDO (1)

Post n°94 pubblicato il 02 Aprile 2017 da giulio.stilla

LA PRESENZA DEL MALE NEL MONDO    (1)

 

Ricercare per via razionale la spiegazione della presenza del male nel mondo come hanno tentato di fare 2000 anni di filosofia è una impresa tanto difficile quanto impossibile. Eppure su questa strada si sono messi in cammino straordinarie intelligenze senza approdare, in verità, a risposte e criteri logici e persuasivi. Il filosofo tedesco Goffredo Leibniz, scrivendo l’opera Essais de Théodicée sur la bonté de Dieu, la liberté de l'homme et l'origine du mal e cioè “Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell'uomo e l'origine del male”, pubblicata ad Amsterdam nel 1710, intendeva rispondere al filosofo francese Pierre Bayle, morto nel 1706, che, con il suo Dictionnaire historique et critique, “Dizionario storico e critico”, sosteneva la tesi che non è umanamente razionale ammettere la esistenza del Dio unico, Sommo Bene, Onnipotente ed Onnisciente, che avrebbe creato l’uomo, dotato di libertà, pur sapendo in anticipo che avrebbe fatto del male a se stesso e agli altri. In altri termini, per il filosofo francese ci si pone in patente contraddizione ammettere contemporaneamente la suprema Bontà di Dio e la sua Prescienza, cioè la sua consapevolezza che l’uomo sarebbe stato una sorgente non solo di bene ma anche di male in forza della sua libertà.

Leibniz, invece, sostiene esattamente il contrario e, cioè, che non c’è contraddizione nel sostenere la esistenza della Bontà e della Prescienza di Dio e la Libertà dell’uomo, a cui il filosofo tedesco, sulle orme di Sant’Agostino, fa risalire l’origine del male nel mondo.

Il titolo della sua Opera di Teodicea, termine che fu coniato da Leibniz  -  (dal greco: ϑεός – théos: «dio» e δίκη – dìke: «giustizia») - intende dimostrare la conciliabilità della somma bontà di Dio con la libertà dell’uomo e la presenza del male nel mondo.

Egli parte dalla distinzione già pensata dal Santo d’Ippona sulle tre forme di male:

a)   Male ontologico o metafisico;  (Proprio della creatura)

b)   Male morale;  (Il peccato)

c)Male fisico.  (La conseguenza del peccato)

Per ambedue i filosofi, uomini di fede e di santità, il Male ontologico non esisterebbe e, quindi, non sarebbe stato creato da Dio. Questo tipo di male, cioè, non avrebbe sostanzialità, nel senso che non avrebbe una sostanza ontologica originaria, creata come gli altri Enti, da un presunto Dio malvagio e, come tale, in contraddizione con il concetto di Dio, che per definizione non può non essere che Sommo Bene e Perfezione Assoluta.

Se il male metafisico non può esistere come “sostanza”, esiste però come “mancanza”, come “mancanza” di Bene. Gli Enti esistenti, cioè, compreso l’essere “uomo”, non sono Enti infiniti, ma finiti. Sono stati creati con una serie di limiti strutturali, non valicabili né dalla intelligenza né dalla volontà né dall’istinto. Se fosse stata possibile l’autocreazione, l’uomo si sarebbe creato infinito, senza limiti e senza fragilità.

Il finito, quindi, per sua natura e per richiamo dialettico si relaziona all’infinito, la creatura al Creatore, il relativo all’Assoluto, il contingente all’Eterno. Potrebbe sembrare un mero esercizio retorico, ma se la logica dell’uomo ha un senso, necessariamente essa è la manifestazione più evidente di un rapporto concreto ed ontologico tra l’uomo e Dio, tra il Mondo creato e l’Autore del Creato, tra il finito e l’Infinito. Come per logica matematica 2 + 2 fanno 4, e cioè due patate + altre due patate fanno 4 patate, così per deduzione logica l’effetto ha una causa, il risultato presuppone un’azione, l’oggetto di un’azione rimanda ad un soggetto agente, sulla cui natura possiamo discutere quanto vogliamo, ma, di certo, dobbiamo ammettere la sua esistenza.

Condivido in forma totale la critica rivolta da Kant alle prove tradizionali dell’esistenza di Dio, ritenute dal filosofo di Konigsberg del tutto insufficienti a dedurre una realtà ontologica dall’analisi di un semplice concetto logico, come argomentavano Sant’Anselmo prima e poi Cartesio.

La verità, obietta Kant, è che non si può saltare dal piano mentale a quello reale senza passare attraverso l’esperienza. Quando noi abbiamo definito tutte la proprietà di “cento talleri”, dice Kant, resta da dimostrare che essi esistono. E questo può accadere solo attraverso la verifica dettata dall’esperienza. Non è sufficiente “pensare” i cento talleri, cioè avere di essi un “concetto”, per possederli realmente in saccoccia.

Così sul piano logico noi possiamo pensare tutte le perfezioni di un concetto, ma questo non significa che quelle perfezioni esistono realmente sul piano ontologico. Una dimostrazione tradizionale, quindi, dell’esistenza di Dio è scientificamente impossibile. La riflessione del filosofo non fa una grinza.

La dimostrazione dell’esistenza di Dio non è la formulazione di un giudizio analitico a-priori, all’interno del quale la verità del concetto del predicato è tutta contenuta nell’analisi del concetto del soggetto. Nel concetto di Dio non c’è la sua esistenza. La idea di Dio non garantisce la sua reale esistenza. Noi di Dio possiamo predicare tutti i possibili predicati, ma alla fine la sua esistenza aspetta ancora di essere dimostrata. “Dio esiste”, non è una proposizione “identica”, direbbe Leibniz, poiché il concetto di esistenza non è racchiuso nel concetto di Dio. Il concetto del predicato non è deducibile dal concetto del soggetto, come nella proposizione “il triangolo ha tre angoli”. Questa, assevera Kant, non aumenta la nostra conoscenza di un millesimo di millimetro. E’ semplicemente un giudizio analitico a priori, poiché dall’analisi del concetto del soggetto deduciamo il concetto del predicato del tutto identico al primo. Ma il concetto del predicato non aggiunge nulla di nuovo al concetto del soggetto, il quale, per il principio d’identità, è anche il soggetto di un giudizio universale e necessario, perché tutte le menti, dotate di raziocinio, sono capaci di questa analisi. Ma è un giudizio sterile, perché non fa crescere la nostra conoscenza.

Per la dimostrazione dell’esistenza di Dio abbiamo bisogno di un giudizio scientifico, che kantianamente deriva dalla sintesi di due elementi fondamentali: la materia e la forma. Per materia deve intendersi l’oggetto dato dall’esperienza, senza la quale non si va da nessuna parte, e per forma deve intendersi l’elemento universale che ci deriva dai “giudizi sintetici a priori”, senza i quali non esistono giudizi scientifici.

La proposizione “Dio esiste” non è un giudizio scientifico, perché la esistenza di Dio non la possiamo ricavare dall’analisi del semplice concetto, ma non è nemmeno un “giudizio sintetico a posteriori”, perché della esistenza di Dio mai nessuno ha fatto reale esperienza. Potrebbe essere un “giudizio sintetico a priori”, se identificassimo Dio con la causa dell’esistenza del Mondo. Ma se aspettiamo la dimostrazione della esistenza di Dio, come possiamo erigere Dio a causa del mondo? Tutti gli uomini sanno a priori che “ogni evento ha una causa” e che non esistono eventi incausati. Ma questo non significa che Dio sia la causa del Mondo. Tutti gli eventi hanno una causa e capitano nel tempo e nello spazio, ma la causa di tutti gli eventi va sempre ricercata nell’esperienza e nel tempo e nello spazio. Dedurre l’esistenza di Dio dall’esistenza del mondo è un passaggio indebito e privo di capacità dimostrativa. Ecco perché, riflette Kant, anche la prova cosiddetta cosmologica o causalistica, che dir si voglia, di origine tomistica, è una prova del tutto simile a quella ontologica. Si parte cioè dal concetto di Dio per dimostrare la sua esistenza già presupposta dal concetto stesso. E’ un ragionamento ingannevole e privo di fondamento.

Asserire, quindi, l’esistenza di Dio per via razionale non è affatto possibile. La proposizione “Dio esiste” è una mera ipotesi, che aspetta di essere verificata, così come tutte le teorie pensate, prima di diventare scientifiche, sono sottoposte galileianamente a sperimentazioni o, se si preferisce, restano valide fino a dimostrazione “popperiana” della loro fallibilità. La teoria della relatività, pensata da Albert Einstein, sarebbe rimasta una pura teoria, se non fosse stata verificata dalla misurazione matematica dei fenomeni.   (CONTINUA)

La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/GiulioStilla/trackback.php?msg=13517039

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
Nessun trackback

 
Commenti al Post:
Nessun commento
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963