Scrivere

Racconti, poesie, canzoni, pensieri, mugugni

Creato da graphitis il 27/11/2008

Area personale

 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

Ultime visite al Blog

graphitisholidaybeach0alpha888makavelikaStolen_wordsil_pablooscardellestelleIrisblu55tobias_shufflevololowsereangel99gryllo73lunarossa_2009Sky_Eagle
 

Ultimi commenti

Chi puņ scrivere sul blog

Solo l'autore puņ pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« Cessione eserciziosmemorandum »

SANGUINELLE

Post n°17 pubblicato il 20 Gennaio 2010 da graphitis
 

Li rilevò dal molo, che era già notte, un tipo che pareva un caporale e gridava senza alzare la voce. Dava calci nelle gambe a quelli che si erano addormentati, stesi sui blocchi intrisi d’acqua salmastra. Lo seguirono in silenzio, dietro lo schiocco dei suoi passi. Fuori dei cancelli del porto aspettava un vecchio autobus. Il viaggio nella notte risvegliò i morsi della fame, il bisogno di sonno. Nella notte buia, a guardare dai finestrini, non si vedevano che luci lontane; talvolta incrociavano fari abbaglianti di macchine. Il bus attraversò paesini addormentati e fermò ai margini di una piazza accanto ad un capannone. Sarà stata la mezzanotte.

 Li fecero scendere, entrare. L’interno era enorme, al buio. Il tetto forse non c’era o era tanto alto da non vedersi. Il caporale li guidò verso una fila di baracche, che assegnò per gruppi di sei. Parevano di cartone e non avevano tetto. C’era appena posto per sei letti, in due file a castello.

Poi fece un cenno verso un casotto. Dovevano esserci i gabinetti. 

 “Acqua?” – chiese uno con le labbra screpolate, facendo il gesto di bere.

Il caporale indicò ancora là.

“Mangiare?” – chiese un altro in inglese. Non fu capito e fece il cenno di portare la mano alla bocca.

“A quest’ora vuoi mangiare? A dormire!” – rispose l’altro bruscamente. E girò sui tacchi. Il rimbombo dei passi si allontanò verso l’uscita. Le lamiere della paratia stridettero e si scontrarono con frastuono.

“Susitivi! A travagghiari!”

Si strapparono dal sonno, ed era più buio di quando erano arrivati. Poco dopo, mentre cercavano di orientarsi, videro alcuni che già si avviavano verso l’uscita.

“Sbrigatevi!” – gli disse uno sconosciuto compagno. “Il bus sta per partire.”

Aspettava già con il motore in folle.

“Due e cinquanta” – gli chiese l’autista mentre metteva piede sul predellino. Daniel non li aveva. Il lavoratore che lo seguiva, glieli mise in mano.

“Me li dai stasera” – disse nella lingua del suo paese.

Ora il mare specchiava il lucore dell’alba. Il bus s’inoltrò nella valle, tra giardini infiniti d’aranci.

Scesero. Un caporale diede ad ognuno un paio  di cesoie e una cassetta di plastica. Si mise alla guida del gruppo, spiegò vociando, come le arance andavano tagliate sul gambo con due foglie, sistemate delicatamente nelle cassette. Non fosse stato per i gesti, non avrebbero capito un accidenti.

E cominciò la raccolta, nel profumo inebriante delle bucce turgide, dei rametti acri.

Queste, dunque, erano le arance, il lavoro per cui era partito. Daniel sbirciò un compagno che con l’unghia del pollice sbucciava un’arancia e ficcava in bocca a due, tre spicchi per volta il frutto succoso, mentre col piede seppelliva le bucce cadute. Pareva guardingo e Daniel capì che era proibito mangiarne.

Da ore raccoglieva arance. Le braccia, le spalle dolevano, sempre tese verso l’alto; i muscoli della schiena si strappavano ad ogni chinarsi sulla cassetta. Ne aveva raccolte parecchie e presto sarebbe crollato.

“Basta raccogliere, tu. Porta le cassette”. Il cambio di lavoro diede un certo sollievo. Così li tenevano in funzione, alternando un’attività con l’altra, ma sempre più in fretta. “Muoversi! Muoversi!”

Da quando non mangiava? Passò un tizio con una cassetta di panini.

“Un euro” – gli chiese. Lui non l’aveva. “Me lo dai stasera”.

Quanto avrebbe guadagnato?

La notte stava calando quando diedero l’ordine di smettere.

“Domani non si batte la fiacca. Veloci! Veloci!” – disse il caporale, agitandogli in faccia un biglietto da venti, prima di lasciarglielo. Che cosa volesse dire nel suo linguaggio strano e nel gesticolare, non si capì; ma certamente aveva da ridire.

Venti euro per dodici ore di lavoro? Meno due euro e cinquanta all’andata e due e cinquanta per il viaggio di ritorno, meno un euro per il panino. E ancora non aveva mangiato decentemente.

Nel baraccone, un macellaio magrebino aveva scannato un montone e vendeva lacerti di carne per pochi centesimi. Più in là su legna di fortuna ardeva un fuoco di bivacco. I lavoratori gli si stringevano attorno per scaldarsi, allungando sulla fiamma pezzi di carne infilati su stecchi. Il fumo gravava sulle baracche di cartone con un pesante odore di sego.

Più in là qualcuno si struggeva di tosse. Uscì dalla baracca un uomo con il giubbotto bianco; Daniel riconobbe il distintivo dei medici senza frontiera. Passò accanto al gruppo che si aprì un istante. Parve volesse dire qualcosa. Che cosa dire? Il freddo e il fumo distruggevano i polmoni; ma lui che cosa poteva offrire oltre ai suoi medicinali?

Steso in branda, Daniel contava a memoria i soldi rimasti e stentava ad addormentarsi, perché il suo cervello e il suo corpo sfinito, le baracche e i filari di aranci ruotavano su una domanda: li avevano reclutati per questo?

Poi sognò o forse ancora vegliava, e c’era il suo bambino. Lui tagliava l’arancia a metà, la spremeva nel bicchiere. Il succo sprizzava come sangue.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963