il sesso dell'auto

Post n°136 pubblicato il 19 Dicembre 2005 da Grilcantino

Giusto a ribadirlo, s'inserì l'Accademia di Francia, e correva l'anno 1959:
 
l'automobile è femmina.
 
Sull'alata scia di Gabriele, che lo stesso  scrisse nel '26 (e il senatore Agnelli, grato incorniciò).
 
Poi s'interpose Daniele Protti, ed è cronaca:
 
l'automobile è bisex, se stiamo parlando della nuova Toyota Yaris.
 
Non fa una grinza, anzi ne fa più d'una:
 
tondeggiante, perimentralmente; aguzza, se si va per nervature.
 
La virilità degl'angoli decisi; la dolcezza della morbidezza, curvando.
 
Più morbidezza, il modello in via di pensionamento elargì:
 
piacque & piace molto alle Femmine, sarà per la bluetooth version che consente loro di ciarlare cojn tutt'emani sul volante.
 
Questa qui nuova, dice Daniele, invece contempera i due generi, nell'alternare sferzità & smussitudini.
 
Oltre all'estetica, un bell'affare:
 
piano piatto, Zafira/style.
 
Il robotizzato sul TD, forse prima della Punto.
 
Lo scorrevole, che fa valere di più i 375 cm.
 
Solo qualche trepidazione circa il clima, i sensori, l'eessepì.
 
E poi, quell'altezza lì, aumentata.
 
Si, ho capito, mercè essa forse non ci faranno neanche la Verso.
 
Ma l'altezza, per quelli a cui - e sono tanti - non serve, non è nè maschio nè femmina.
 
Non occorre, nevvero, che specifichi l'illusinghiera attribuzione?
 
Cordialmente
 
Claudio Trezzani

 
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pedali

Post n°135 pubblicato il 14 Dicembre 2005 da Grilcantino

 

Neanche partito, il suo dito era già sul fiocco di neve. Od almeno sul suo simbolo, il cristallo. Si, aveva deciso d'inserire la modalità invernale, Protosforo, ma la temperatura non c'entrava. La souplesse, piuttosto. Pennellare su seta l'uscita dal cortile - gas pudicamente rilasciato - per non offendere pistoni con aperture di farfalle. Due gradi di pendenza, non voleva infliggere al rapporto lungo la ferita del carico. Sentire costante il minimo, piuttosto. Giri inalterati, ma con guadagno di velocità. Quest'incanto voleva riperpetuato, Protosforo. L'innaturalità della variazione cinetica sopra l'impassibilità dell'ago contagiri. L'ebrezza di partire in seconda, coll'automatico. Come a vela, di bolina. Tenue incorrispondenza di causa ed effetto, straniante onnipotenza di governare l'obliquo. Poi il carraio, l'immissione. L'invito dello scivolo, ora poteva affondare. L'attimo d'un rantolo, e subito la servofrizione cessava di mediare: ora chilometri e giri danzavano insieme. E pochi decibel, in più. Perchè la pilotava ancora la cambiata, Protosforo, ma senza leve. Giust'un rilascio, ed ecco i millesei pronti ad accogliere la staffetta dei duemilaecinque. Si, col joystick avrebbe potuto imporre cifra tonda, al ribasso. Invece no, il sedicivalvole non avrebbe gradito. Si, per Pritosforo il suo benzinino sapeva gradire. Forse, anche amare. Di certo, l'amava lui. Amori cangianti, al cambiare di lui, e di loro. Loro, le semoventi scatole gommate. Non c'era più d'appassionarsi al gorgoglio d'un cono, od intenerirsi ad un rifiuto gassoso. O sfoggiare l'abilità d'un amanuense nel trattar l'arricchitore, o debrayare coll'orecchio - porschista - d'un Karajan. Altri piaceri, altre età, di tutti e due. Ma algore, non ancora. Si, plastica invece d'alluminio, un triste titanium look da mercanteggiare con intattile radica.Ma pulsare, pulsa ancora. Non più l'elettricità del doppio corpo ch'esplode ai quattromila, non ancora l'elettricità del tutto a zero giri. Solo diversa, la progressione. Più velluto, ma curve ancora seducenti. E il manuale robotizzato, non meno carnale di quello col pedale in più. Dentro un dare precedenza, colonne ai fianchi. Vera sospensione marina, con tutti gl'altri boccheggianti in solfeggi subìti. Loro credono, voluti. Avessero provato, la sensazione di galleggiamento. Loro a vangare sopra il tappetino, obsoletamente sottratti a ciò ch'importa, sopra. La scena oltre il temperato, quella importa. Ci si può ancora navigare, pensava Protosforo, per quanto convulsa il montante ce la restituisca. Basta affrancarsi da quella roba lì, masturbatoria. E maschilistica, anche. Dovranno passare generazioni, da noi. Neppure l'Illuminato, in questo fu precursore. Lui pure, l'Illuminato Riccardo Bacchelli, che sentiva le pieghe, delle semoventi scatole gommate. Gioiva delle elargite sfumature, ma di questa roba qui s'era bagnato non immerso. Roba da americani, diceva. Si, non nego che sia utile, et cetera et cetera. L'emozione, gli sfuggì, tra tante delicatamente colte e magistralmente propalate, lui honoris causa di letteratura. Eppure c'è l'emozione, e si rinnova ogni volta. Col filosofare, basterebbe l'idea che deve essere la macchina a servire l'uomo, e non viceversa, con quel puriritornellato minuetto lì, di braccio e piede. No, c'è dell'altro. Lo pensava Protosforo, lui ch'il Garelli lo prese a tre marce, loro concependo come il luogo della creatività. E, lo sono, il luogo della creatività, le marce. Andare per decine e sceglierli, dopo averli delibati, i giri, chè duemilasettecentocinquanta respira diverso, di poco più sotto. E progettarla la progressione: tracciar diagrammi meglio di geometri, pianificare quali provetti architetti, il brandello di vita tra il semaforo e la strada aperta. Si, il luogo della creatività. Goderne. Interagire con l'imprevisto, metterci pure sagacia, nella scelta, ed eseguirla con perizia artigiana. Quando si vuole, però, non quando crediamo che ci voglia. E la creatività, Protosforo, se l'era diversamente ritagliata. Basta piede sinistro, se l'operazione deve essere bovina. Modulare la pressione sul freno con tocco da neurochirurgo, in quella coda in cui l'oscillazione da tornire è tra i due e i tre chilometri all'ora, quell'ora. L'agreste fruscio di scivolare tra materici starnazzi, agli stop. Le due mani sul volante, a disegnare traettorie come svolazzi su tela. Si, non c'è bisogno della falliconica leva, per godere. Sfumature tante, da ritagliarsi. Anche di più, nel traffico. Non una rinuncia: un guadagno. Liberi di fare, e di creare. Casomai, pensava Protosforo seguitando l'aristocratica navigazione, aridatece 'o termometro, magari i giri del differenziale (lo fece, lo ebbe, lo strumento indicatore, un bizzarro texano). Il pedale, no. Ce n'è da fare, da creare, anche senza. E si assapora anche di più. Di nuovo a casa, Protosforo. L'invito del carraio all'incontrario, piccolo sforzo da superare. Prima inserita manualmente, un'unica volta. Ruote sopra, dentro il portone. Il dito di nuovo sul fiocco di neve, e il rapporto s'allunga con lieve gemito, gas non concorrendo. Una folata euro quattro, ed è subito box.

 

Cordialmente

 

Claudio Trezzani

 

 

 
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virtuoso utilitarismo

Post n°134 pubblicato il 08 Dicembre 2005 da Grilcantino

Prima, si sa, vennero gl'americani:
 
la station - abbia o meno, fuori, inserti in mogano - è politically correct.
 
Poi gl'europei altri da noi; poi - molto dopo - noi.
 
Per fortuna che ci siamo emancipati dal concetto della Rispettabilità del Terzo Volume:
 
ci siamo risparmiati (ma non la Grecia, la Turchia, il Portogallo) la Corsa col bagagliaio, ma abbiamo avuto la Duna.
 
Tutto questo per dire:
 
utilitario è disdicevole, sembrava sino all'altro ieri (secondo la nota equazione: portellone = idraulico).
 
Tutto questo per dire, parte seconda:
 
utilitario è disdicevole, un po' ancora oggi.
 
Come altrimenti spiegare (in una nazione che compete col Mondo in Via di Sviluppo per diffusione pro capite di telefonia mobile e ricezione telesatellitare, nella peggiore tradizione d'ostentazione dello pseudo-lusso) l'inerzia di Fiat?
 
Eccola qui, l'inerzia di Fiat:
 
è mai possibile che il primo gruppo aut'industriale d'Italia perseveri nel forzato abbassamento del valore di coppia massima erogata dai propulsori a gasolio ai fini d'adeguamento alle capacità dellle trasmissioni, sui modelli di derivazione industriale o di uso promiscuo?
 
Chiarisco subito:
 
200 newtonmetri dal 1300, dal 1900 di base, dal 1900 in cui la girante soffia un po' di più sono ridicolmente gli stessi.
 
Sto parlando della Doblò, ma una cosa del genere già avvenne (e permane) sulla Multipla.
 
E' una faccenda culturale, che non ha riscontro oltre il Brennero.
 
Chiarisco subito, parte seconda, con una parola:
 
Touran.
 
Ebbene, il cambio della  VW Touran supporta agevolmente 320 newtonmetri, e ciò in quanto così hanno ragionato, lassù:
 
veicolo utilitaristico, promiscuo?
 
Non stiamo a sottilizzare, anzi sottilizziamo (dicono sempre loro):
 
verrà comprato anche da chi vuole coniugare esigenze di carico con aspettative di mobilità e di confort.
 
Il che comprende cambi che reggano coppie elevate (per chi vuole trarsi d'impaccio nelle influide situazioni di traffico).
 
O anche cambi automatici, o anche motorizzazioni di generosa cubatura e resa.
 
Della serie:
 
utilitario non è disdicevole.
 
Per la staion e per le tre volumi, lo abbiamo capito.
 
Per le trasmissioni, ancora no.
 
Cordialmente
Claudio Trezzani
 

 
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stelle contro stelle

Post n°133 pubblicato il 23 Novembre 2005 da Grilcantino

C'è stato un tempo nel quale in punta di cofano apparivano - vere lame, più ch'affilate come - frecce, uccelli, financo aeroplani.
 
Potenziali seviziatori di pedoni, e Quattoruote lo disse, mezzo secolo or è.
 
Poi le protudenze si diradarono, o si comandarono a distanza.
 
Solo la stella, imperterrito mirino.
 
E ora sono stelle a rinnegare una loro consimile.
 
Inidirettamente, certo.
 
Perchè le 4 stelle euroNCAP attribuite alla Citroen C6, inedito virtuoso raggiungimento non provengono dalle vetture dall'imperterrito mirino.
 
E quanto poi alle diradate protudenze, evidente causa  - ma non dimentichiamo il recente studio dello scozzese Trinity College, sull'intrusività per i pedoni dei SUV, in ragione della loro altezza -di guai agli umani, non tutto quel popo' di roba che c'era in punta di cofano rimpiango.
 
Non rimpiango il termometro dell'acqua.
 
Si, proprio lui, campeggiava sopra il radiatore dell' Alfa Romeno 1750, dei ruggenti 50.
 
Dico, lo rimpiango perchè sta scomparendo dalle plance delle moderne vetture...
 
Cordialmente
Claudio Trezzani

 
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il pane& l'allestimento

Post n°132 pubblicato il 22 Novembre 2005 da Grilcantino

La storia inizia adesso e si conclude ...cinquant'anni fa.
 
Ci sono quelli che - italiani - usano l'inglese e distanziano i prezzi.
 
Ci sono quelli che - tedeschi - usano l'inglese e distanziano i prezzi, ma con una forbice meno ampia.
 
Ci sono quelli che - tedeschi - usano l'italiano e i prezzi un po' li distanzano e un po' no.
 
Ci sono queli che - francesi - usano l'inglese e distanzano i prezzi, epperò dai nomi la progressione ascendente s'intuisce.
 
Ci sono quelli che - figli d'americani - usano l'inglese e vanno sull'artistico, però almeno ci hanno la versione top di gamma con un nome identificabile, da decenni.
 
Ci sono quelli che - giapponesi - vanno per sigle e qunado ci mettono il nome la vocazione s'intuisce più ch'altrove.
 
Ci sono quelli che - inglesi - usano la loro lingua e una codifica identificatoria pressochè internazionale, quanto a posizionamento di gamma.
 
Ci sono quelli che - italiani - si danno ai metalli preziosi anche per una piccolina, anche se poi la versione base ne è onestamente spoglia.
 
Ci sono quelli che - figli di tedeschi - sono così in alto che basta un numero, e nemmeno esiste la gamma, dentro il modello.
 
Ci sono quelli che - giapponesi - per la spyderina hanno composto tutto un poema, da leggersi dal basso verso l'alto.
 
Ci sono quelli che - francesi - il nome curiosamente s'affianca alla sigla solo nella versione base.
 
Ci sono quelli che - tedeschi - basta la parola, purchè sia collocata a sbalzo sull'asse posteriore.
 
Ci sono quelli che - francesi - i quattro salti in discoteca li fanno con la piccolina.
 
Ci sono quelli che - svedesi - hanno nomi più gelidi d'una plancia d'alluminio.
 
Ci sono quelli che - tedeschi - la sigla è ...pura astrazione.
 
Ci sono quelli che - giapponesi - la sigla è la funzione.
 
Ci sono quelli che - giapponesi - gielle, porte, trazione e via andare.
 
Ci sono quelli che - svedesi - salta fuori il latino ma non la lapidarietà ciceroniana.
 
Eppoi ci sono quelli che il giochetto lo iniziano a metà gamma, e quelli che il fumo lo gettano sin dall'utilitaria.
 
Insomma, avete capito: i nomi degl'allestimenti, sempre evocanti mirabilie, quasi mani facenti indovinare la collocazione dentro gamma.
 
E l'invocazione qui sorge spontanea:
 
allestimento all'allestimento, come pane al pane!
 
Basti ricordare cinquant'anni fa, la Fiat 500:
 
quelli del marketing d'allora (anche se non sapevano quel nome lì inglese), il pane all'allestimento lo dicevano:
 
economica quella sotto le 500.000 mila lire; normale quella appena sopra.
 
Non si aveva paura delle parole; di gettare fumo, invece sì.
 
Cordialmente
 
Claudio Trezzani

 
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