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Post n°30 pubblicato il 12 Agosto 2012 da L.Onely
 

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Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
cosi' da poter brillare di foglie a ogni marzo,
ne' sono la belta' di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovro' perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero e' immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma piu' clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.

Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo piu' perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata e' per me piu' naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e saro' utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

(28 marzo 1961)

*

Sylvia Plath nacque a Jamaica Plain (Boston) nel 1932, da genitori di origine austro-tedesca. La sua carriera scolastica fu esemplare e brillante. A soli nove anni ottenne il primo riconoscimento letterario per la pubblicazione di una sua poesia; al termine della junior high school fu la migliore studente dell'anno; al conseguimento del diploma risultò la prima tra tutti gli studenti del corso; in seguito frequentò tre borse di studio ove spiccò per meriti. Anche da questo passato si può comprendere il senso di inadeguatezza e la paura di non essere all'altezza delle aspettative altrui nei suoi confronti.
Iniziò a scrivere con successo e conseguì molti premi, uno dei quali la condusse a New York, ospite di un'importante rivista del tempo, ma la metropoli, col suo ritmo di vita frenetico ed ossessionante, la condusse presto ad un tracollo emotivo.
Tornata a casa non riuscì più a dormire, a mangiare, a scrivere. Andò da uno psichiatra che le praticò l'elettroshock, tentò il suicidio, fu salvata, entrò in manicomio.

"Chiusi gli occhi. Ci fu un breve silenzio, come un respiro trattenuto.
Poi qualcosa calò dall'alto, mi afferrò e mi scosse con violenza sovraumana. Uii-ii-ii-ii-ii, strideva quella cosa in un'aria crepitante di lampi azzurri, e a ogni lampo una scossa tremenda mi squassava, finché fui certa che le mie ossa si sarebbero spezzate e la linfa sarebbe schizzata fuori come da una pianta spaccata in due. Che cosa terribile avevo mai fatto, mi chiesi."

*
La psicoterapia e gli elettroshock le consentirono di abbandonare presto la clinica, e la sua vita riprese con l'Università, i corsi di poesia, la tesi di laurea su Dostoevskij. Arrivano anche, in rapida successione, il matrimonio con il poeta inglese Ted Hughes e la maternità. La vita familiare si trasforma, quasi subito, da fonte di gioia in responsabilità asfissiante e frustrazione continua. Sylvia è combattuta tra il suo essere madre e moglie e la volontà di essere donna e poetessa innanzitutto. Infine scoprì che il suo Ted la tradiva. Si separò e portò i figli con sé, cominciando a vivere in gravi ristrettezze economiche.

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“Sono un groviglio di nervi senza identità. Ora so cos’è la solitudine, credo. Parte da un punto indefinito dell’Io: come una malattia del sangue che si diffonde in tutto il corpo sicchè non si può localizzarne il focolaio.[...] Non ho consistenza, sono vuota, dietro gli occhi sento una caverna pietrificata, un abisso infernale.”

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E' proprio in questo periodo che esplose la sua attività letteraria; nel 1960 pubblicò The Colossus e, come tentativo di liberazione andando indietro nel tempo, testimonianza del suo crollo psichico, scrisse il suo primo e unico romanzo, La campana di vetro, che pubblicò nel 1963 con lo pseudonimo di Victoria Lewis. Definito anche la storia di una schizofrenica, più che la ricostruzione di una patologia, "La campana di vetro" è la testimonianza del disperato bisogno di affermazione di una donna lacerata dal conflitto irrisolto tra le aspirazioni personali ed il ruolo imposto dalla società.

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L’astratto uccide, il concreto protegge. […] Quanto aiuta spolverare, lavare i piatti tutti i giorni, parlare con gli amici che non sono matti e [che] spolverano, lavano e pensano che questa sia la vita che c’è da vivere…”. [da Diari] Un anelito lacerante di soddisfazione e tregua, riversato nella scrittura con una dedizione ossessiva, vorticosa. Ecco cosa significa per lei la scrittura: una sorta di "rito religioso".

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[un tributo video ispirato al poema "Mirror"]

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"Luglio 1950. Forse non sarò mai felice...ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna (...) in momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più." [da Diari]
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S’intitola “Sylvia” il film di produzione inglese (2003), per la regia di Christine Jeffs, che ha portato sul grande schermo la vita della Plath, interpretata da una credibilissima Gwyneth Paltrow. Bella, nervosa e solare come doveva essere la Plath.

“Mi sembrava che la cosa più bella del mondo doveva essere l’ombra, le mille mobili forme e i mille anfratti dell’ombra. C’era ombra nei cassetti delle scrivanie, negli armadi, nelle valigie, ombra sotto le case, gli alberi, le pietre, ombre dietro gli occhi e i sorrisi della gente, e ombra, miglia e miglia e miglia di ombra, sulla faccia notturna della terra.” [da La Campana di vetro]
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Un mese dopo la pubblicazione de "La campana di vetro", preparò fette di pane imburrato per i figli, li mandò a giocare dai vicini, poi rientrò in casa, sigillò porte e finestre con del nastro adesivo, scrisse l'ultima poesia, “Orlo“, aprì il gas, infilò la testa nel forno e si tolse la vita.
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Dedica del cantautore inglese Ralph McTell

“Come un gatto ho nove vite da morire. Questa è la numero tre. La prima volta successe che avevi dieci anni. Fu un incidente. Ma la seconda volta ero decisa a insistere, a non recedere assolutamente. Mi dondolavo chiusa come conchiglia. Dovettero chiamare e chiamare e staccarmi via i vermi come perle appiccicose. Morire è un’arte, come ogni altra cosa. Io lo faccio in un modo eccezionale. Io lo faccio che sembra come un inferno. Io lo faccio che sembra reale. Ammetterete che ho la vocazione” [da Lady Lazarus]

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 Sylvia Plath
(Boston 1932 - Londra 1963)

Sulla sua lapide è inciso:
"Anche tra fiamme violente si può piantare il Loto d'oro"

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