Sguscio via, rapida, indolore. Non c'è niente qui dentro che mi interessi, questa scatola di confusione, suoni sovrapposti, vistose e imbarazzanti e sguaiate risa, scatti imbizzarriti di gambe impazienti, tutta una frenesia nell'aria, un'eccitazione che non mi tocca. Mi soffoca, quest'aria carica di testosterone animale e umido e fumo. Mi lascio schiaffeggiare dall'aria fresca della notte, su questo balcone che guarda la mia città. La guardo anche io, luci che disegnano linee, percorsi per tenere aperti i miei occhi , percorsi da seguire con lo sguardo , per andare altrove, per andare. Basterebbe tornare a casa, oppure girare in lungo e largo, solcare strade desolate, perdersi per le vie. Invece resto lì, paralizzata, in balcone. Aspetto qualcuno, contro cui scagliare la colpa della mia inappetenza, della mia malnutrizione, della mia abulia. E come sempre la vittima si autoimmola, lo fa con piacere, un piacere a sè, un piacere per sè. Non mi sarà mai dato di capire e ritengo sia molto meglio non farlo. Andare a fondo , andare in fondo. Vecchia conoscenza, movimento sghimbescio, incedere inevitabile, mano in tasca, bieco, Sei sempre stato bieco. E avido. Solo con la sfrontatezza dei tuoi occhi mi hai sempre spogliata, pretesa e poi presa. Ma io, io...indietro non devo tornare più, malgrado la lusinga di un'illusione, malgrado il calore di una notte, malgrado la promessa di piacere. Non mi volto neppure, mi limito ad intuirti accanta. Guardo ancora quelle linee luminose, il luccichio metropolitano senza una forma, se non quella di qualunque città. Una qualunque città. Una qualunque, come me. Come tutti.
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