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Morto uno Steve Jobs, se ne fa un altro
Il mondo ha perso uno dei padri fondatori dell’informatica funzionante, un cervellone osannato da queste nuove generazioni assetate di tecnologia e progresso. Intere orde di giovini, che si sfidano a chi ce l’ha più piccolo (lo smartphone) o a chi ha l’applicazione più (in)utile, in piena crisi d’identità. I media non hanno fatto altro che parlare della dipartita di Jobs, dedicandogli addirittura interi format, raccontando di un uomo che ha rivoluzionato il mondo, un semidio con un relativo tripudio di condoglianze virtuali e mediatiche, che non s’è visto nemmeno quand’è morto Gandhi.
Nello stesso giorno, a Barletta, cinque donne muoiono sotto le macerie di una palazzina. Erano delle operaie che guadagnavano poco meno di 4 euro l’ora e sui social network quasi nessuno riporta la notizia, i tg ne parlano appena. Nessuno scrive quanto nel 2011 sia assurdo morire per sopravvivere alla miseria. Muore Steve Jobs, e sul social network più famoso del west parte il contest a chi mette lo stato più strappalacrime, la citazione più stucchevole. Tutti scrivono quanto sia triste che sia morto “un genio”con un patrimonio da 6 miliardi di dollari. Non è che io ce l’abbia con il povero (si fa per dire) Jobs, ma credo che tutto questo meriti una riflessione. In sostanza, in un mese, facendo un calcolo approssimativo, una sola delle donne di Barletta costava al datore di lavoro quanto un iPhone ad un consumatore qualsiasi. Se poi consideriamo che alla Apple un iPhone, sfruttando la manodopera e la componentistica made in China, costa quanto cinque chili di patate, i conti tornano solo e sempre a favore di uno. Assurgere a genio un buon stratega commerciale, equivale ad accettare un sistema che si fonda su falsi miti. Il mito dello stereotipo e dell’etichetta vuota, di chi ti fa credere “essenziale” qualcosa di cui metà del pianeta fa a meno. La strega di Hansel e Gretel che nutre i due fratellini per poi divorarli. Ciancio alle bande, io che utilizzo orgogliosamente un Nokia antidiluviano, dal momento che sono una fervida assertrice della separazione delle carriere -il telefono serve per telefonare, il pc per tutto il resto- potrò ritenermi veramente soddisfatta quando una ditta informatica produrrà una tastiera per pc, con:
Colui che inventerà tutto questo per me sarà il vero genio! Scherzi a parte, sulla base di cosa si misura il genio? In base al mercato? Al profitto che l’inventore è in grado di ricavarne ? O in base all’utilità effettiva della scoperta, della sua applicazione e della sua essenzialità? Per stessa ammissione di Jobs i prodotti che creava avevano una “durata massima di 2 anni”, mentre le idee di Fleming (penicillina), di Tesla (corrente elettrica), Leonardo da Vinci, Gandhi, Madre Teresa di Calcutta, Stephen Hawking, che scadenza hanno? Ci sarà mai un nuovo Shakespeare, un nuovo Alessandro Volta, un nuovo Galilei? Dunque, fatemi pensare un attimo: no. E invece ci sarà un altro Steve Jobs? Sì, basta aspettare il nuovo Googlefonino.
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Maestra nell'altissima arte del brontolio, regina dei rimuginamenti, paladina del nichilismo da retrobottega...mia madre voleva darmi in affidamento a Satana.
Il mio secondo lavoro di casa preferito è cucinare. Il primo è sbattere la testa sulla sponda del letto fino a svenire.
Le certezze che gli altri mi mettono addosso mi fanno venire una voglia insopprimibile di deludere.
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