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Quale rapporto metafisico ha questo sentimento con la parola, col linguaggio parlato?”. Tale enigma, che Benjamin collega direttamente all’essenza del dramma barocco tedesco, è il medesimo presente nei componimenti di Trakl (ma io ci metterei dentro anche Pessoa), il quale - paradossalmente - lo risolse con un antitetico mutismo (legga, in proposito e se il lavoro pastorale le lascia un minimo di tempo, G. Contini, in Varianti e altra linguistica, Torino, 1970, 55 - 57). La gente, oggi, è muta perché ha paura. Paura d’amare, paura di avere sofferenza (e magari è attratta irresistibilmente dalla positività dell’amore), mancata accettazione dei rischi insiti nel sentimento, timore del buio emozionale, dell’oscurità notturna, il tormento scuro e muto di chi altro non può fare se non risolvere le proprie contraddizioni in un pianto disperato. Lei rievocava la “resignatio ad infernum”: concetto, prima che luterano, orfico (il passaggio nell’Ade per la salvezza della donna amata), e in seguito caro alla cinematografia d’oggi, fors’anche troppo influenzata da certo romanticismo deteriore (il Dracula di Coppola, tanto per fare un esempio, o l’Annakin Skywalker del lucasiano Star wars III, e mi perdonerà per le citazioni frivole)… |
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